venerdì 26 novembre 2010

piove? La mediocrità ha un suo fascino

Tutta questa pioggia autunnale riaccende puntualmente le mie fobie di alluvione (da quando vivo sotto il livello dell'Arno mi sento nella stessa situazione di quelli che vivono abbarbicati sulle pendici del Vesuvio, diciamo, statisticamente tranquilli, psicologicamnete non troppo...).
Non solo: tutto questo umido ti entra nelle ossa, tutto questo grigio ti penetra negli occhi e nel cervello... per forza si suicidano di più gli abitanti della civilissima Europa del nord!
Io sono metereopatica, c'è poco da fare, e, se non fosse che a novembre ci sono un mucchio di compleanni (compreso il mio) e a dicembre il Natale, io li leverei dal calendario questi due mesacci umidi e bui.
Ecco, perchè non solo la pioggia rompe le scatole, ma soprattutto l'assenza della luce, la notte che incombe dalle 5.00 di pomeriggio...
premesso quindi che recentemente non salto di gioia, l'altro giorno mi stavo appunto dolendo del fatto che è quasi impossibile conciliare i miei sogni d'art
ista maledetta con la vita reale (sarà perchè quest'anno ho tempo quasi pari a zero per dipingere e per modellare la creta...), che in un'esistenza fatta di priorità, puoi sperare di realizzare il tuo sogno solo se sei pronta a calpestare tutto il resto e solo se il tuo sogno si trova, da solo e sempre, sullo scalino più alto dei tuoi pensieri...
sul mio scalino c'è Elia, poi Theo, poi la mia serenità interiore, poi la necessità di uno stipendiuccio che ci garantisca un'esistenza dignitosa, poi l'arte... addio sogni di gloria!
Va anche detto però che il grigiume non solo induce ad essere un po' tristarelli, ma anche più profondi e meditativi.
Così, in una delle mie meditazioni forzate (che, per mancanza di tempo, di solito si manifestano mentre stò raggiungendo le mie due scuole, stracollandomi in bici tutta imbacuccata sotto la pioggia, oppure in auto, in coda sui viali intasati sempre causa pioggia) mi è venuta in mente una grande verità: i colori sgargianti, le luci accese e brillanti conquistano, ma il grigiume e la mediocrità hanno un proprio fascino.
Ma chi se ne frega delle gloria!

Pensiamoci bene: ma che importanza può avere se degli sconciuti conosceranno mai le mie sculture? L'importante è che siano nate da me e che, ogni volta che le guardo o le accarezzo, riprendano vita, solo per me.
Che bello non svendere se stessi per arrivare in cima, in cima a cosa poi?
Che bello vivere nell'ombra, tranquilli, onesti, sereni...
Esiste un libro sull'argomento, "l'eleganza del riccio", mentre lo leggevo non è che mi convincesse troppo, mi sembrava che ostentasse fastidiosamente il suo lato colto e ricercato, poi però, sul finale, mi è sembrato di cogliere questo messaggio, al di là di che tipo di diversità si stesse parlando, e mi ha rapito completamente.
Che bello essere diversi, andarne anche fieri e non sentire per forza il bisogno che gli altri, tutti gli altri, conoscano la tua diversità, la approvino o la osannino...
che bello...

certo, non so se io sarò abbastanza forte e sicura di me per poter continuare ad esprimere me stessa senza l'appoggio del resto de mondo.
Va anche ammesso che il resto del mondo è molto vasto, vario e non sempre disponibile ad osannare chiunque ne senta il bisogno...

lalla

P.S. Sto scrivendo la sceneggiatura, ma disegnare mi mancava, così questo è il primo studio per Elena, la servetta che entrò nella casa e nella vita di Emma quando erano entrambe adolescenti.

Era passato qualche anno dalla scomparsa della madre Margherita e la giovane Elena... ne prese il posto! Ebbe anche un figlio dal padre di Emma... mio nonno Alberto, ebbene si: questa è la mia bisnonna e a proposito di mediocrità: "siamo tutti figli della serva".
Secondo i racconti di mia madre e delle sue sorelle Elena era bellissima, ma tirchia e meschina. Nata povera e morta ricca, ma condannata a rimanere per tutta la vita la "serva" del suo padrone, geniale anatomo e onesto primo cittadino di Firenze, che se la sposò ma non si degnò neanche, in tanti anni, di insegnarle a leggere...



venerdì 5 novembre 2010

il fumetto di Emma va avanti

Il fumetto di Emma va avanti, piano piano, ma va avanti.
Dopo aver pensato al soggetto, l'ho sviluppato in storia e poi suddiviso in tavole (il mio fumetto dovrebbe averne 45 circa).
Per creare una tavola si dovrebbe partire da una sceneggiatura dettagliata che io, per la rabbia e il disappunto di Theo, non sono ancora arrivata a scrivere... la definisco via via, orrore!
Ho buttato giù un canovaccio nel quale ho specificato che cosa debba raccontare ogni tavola, ma devo ancora affinare i dialoghi e ogni volta pensare alla suddivisione in scene.

Ho fatto un po' di conti: lavorando a tempo pieno con la scuola posso riuscire a terminarlo in 2 anni.
Cavolo, sembra un tempo lunghissimo...
E' che fare un fumetto non è per niente una passeggiata.
Ci vogliono dedizione e pazienza, molta pazienza. Ci vuole molta forza di volontà per resistere al lato oscuro della forza: la tentazione di tirar via.
Ogni tavola è una nuova sfida e per affrontarla devi pensare fin dall'inizio che darai il massimo e che sarà la migliore di sempre. Se tutto è andato bene, appena la finisci, è davvero questa la sensazione che provi: quella di esserti migliorata, di aver fatto un buon lavoro.
Poi interviene il fattore tempo: passano i giorni, i mesi, e solo pochi disegni resistono, gli altri perdono ai tuoi occhi di charme e completezza, denunciano i loro errori, sembrano rigidi, incompleti. A questo punto puoi decidere di far finta di non vedere, sopportare questi "mezzi insuccessi" in nome dell'andare avanti, oppure puoi decidere di rifare delle parti, mettere delle "toppe", o riaffrontare l'intera tavola.
Correggere e ripetere se stessi, ve lo giuro, è una fatica immensa.
Inoltre un fumetto perfetto non esiste, questo va pure capito, in un tempo di lavorazione così lungo lo stile e il gusto del disegnatore cambiano inevitabilmente.
Di conseguenza, per riuscire ad arrivare in fondo a questa odissea, credo che l'atteggiamento migliore debba essere una via di mezzo: cercare la perfezione, ma saper anche amministrare una certa economia delle proprie forze, poichè non è detto che non si esauriscano e ti mollino sul più bello!
Ce la farò? Riuscirò a portare a termine questa avventura?
Mi piacerebbe tanto, ho voglia di raccontare questa storia.
Io ci provo e stiamo a vedere...

lalla

P.S. Nella tavola n°1 un'Emma dodicenne salutava la salma della madre Margherita al suo funerale, posandogli un mazzolino di fiori di campo nella bara (Theo mi ha già fatto notare che non è una geniale idea commerciale iniziare un fumetto con un funerale...).

Ecco la genesi della TAVOLA n°2
.
In questa tavola Emma ha un flashback: lei, molto più piccola, è insieme alla mamma nel giardino della villa di famiglia. Stanno leggendo una favola e canticchiando, poi il padre di Emma, Giulio Chiarugi, richiama in casa la moglie Margherita. La donna, prima di rientrare chiede a Emma di farle una promessa: "promettimi, amore mio, che nella vita inseguirari sempre i tuoi sogni". Nell'ultima vignetta Emma è di nuovo nel presente e sussura: "te lo prometto mamma".

1)
Storyboard. Anche se uso foglietti volanti, leggeri come carta velina, e faccio dei freghi col lapis molto approssimativi, questa è una fase importantissima nella quel decido la scansione delle vignette e la posizione dei personaggi. Confesso che mi capita di citare immagini che trovo su internet e farmi affascinare da celebri opere d'arte (la posa di Margherita nella quarta vignetta deriva dalla Maddalena nel "trasporto di Cristo" di Raffaello). La regia è il mio punto debole, per fortuna, se mi perdessi, posso chiedere aiuto a Theo...


2)
Disegno. A questo punto prendo in mano il sacro foglio Fabriano Artistico che pesa come il piombo e costa più di me. Le misure sono quelle definitive e il disegno è meno approssimativo, si comincia a vedere con chiarezza dove le immagini vadano a parare. In questa fase diventa palese se il tutto funziona o se ci sono dei punti deboli, per esempio il volto di Emma nell'ultima vignetta mi ha fatto molto penare...

3)
China. Ecco, questo è davvero un bel momento, rubo i pennarellini di Theo (che lui usa per scopi ben più nobili dando vita a "le trone d'argile") e mi sento quasi euforica mentre finalmente le immagini vengono definite. Mi faccio affascinare dalle linee curve e dai contorni liberty di Alphonse Mucha, è molto piacevole.

4. Colore. Ed eccoci finalmente: posso brandire i miei splendidi pennelli in pelo di bue (ultimamente non riesco a trovare quell'unico speciale in pelo di martora che era quotato in borsa!), preparare la mia enorme tavolozza Pebeo e i miei vecchi e fidati colori Winsor & Newton, posso finalmente lasciarmi andare. Cerco di manternere i toni molto leggeri (è pur sempre un ricordo) e l'atmosfera bucolica e dolce delle illustrazioni di Carl Larson.
Il colore diretto con gli acquerelli è una vera goduria!
Si puo' dire che il fumetto stia veramente nascendo e il tutto avviene in completa serenità e armonia...

5. Post-produzione. Ebbene, non è ancora finita: scansiono la tavola e la aggiusto in alcune sue parti con dei ritocchi a Photoshop (in un secondo momento potrei pensare di realizzare la famosa "toppa" sull'ultima vignetta). Mancano i baloon (le nuvolette col testo) e anche quelli li metterò al computer.

E soprattutto manca un editore... e non è cosa da poco!