martedì 19 dicembre 2017

orgoglio streghesco di vari colori

Gli adolescenti ascoltano la musica a volumi altissimi e seguono le mode e allora può darsi che io non sia mai stata adolescente. Io parlavo (parlo) a volumi altissimi e canticchiavo (canticchio) tutto il giorno inventandomi le parole o anche le melodie, la mia (brutta) musica, la musica degli altri mi dava (mi da) quasi sempre fastidio.
Dai 16 anni, in estate, per almeno tre stagioni di fila, ho indossato un paio di calzoni di cotone leggero realizzati dalla mia sorella grande, erano comodissimi. Oltre che comodissimi erano anche il miglior deterrente anti-stupro (e anti-imbrocco) mai generato. Erano un po’ corti, a pinocchietto, e siccome erano tagliati come due cilindri perfetti, portandoli sempre e sedendomici (non educatamente composta, ma tutta avvolticciolata e con un piede sotto il culo, come faccio io) si erano riempiti di pieghe e avevano preso la forma di un ferro di cavallo, insomma riuscivano a far sembrare storte perfino le mie splendide gambe (sarebbero stati male anche a Cindy Crawford)! Ma io me ne fregavo, che tanto lo sapevo che le gambe belle ce l’avevo. Inoltre erano verde ramarro con le strisce viola (e c’erano pure dei girigogoli di colori vari), la stoffa l’avevo scelta io, una roba cromaticamente improponibile perfino negli anni '90. La mia sorella piccola (che aveva 5 anni meno di me, ma a 12 anni già seguiva le mode e ascoltava musica a volumi altissimi) si rifiutava di uscire con me se indossavo i calzoni verdi. “i tuoi calzoni verdi si notano troppo, i tuoi calzoni verdi sono ridicoli”.
Cosa vuol dire ridicoli? Ho sempre preferito pensare che i miei calzoni verdi fossero diversi e disturbanti. Disturbante mi stava bene, così continuavo ad indossarli con orgoglio.
Sono approdata all’Università di Architettura passando dal Liceo Artistico… il primo giorno il Professore di Analisi 1, esordì così “cari ragazzi, se avete fatto uno Scientifico può darsi che vi annoierete al mio corso, invece… chi di voi viene dall’Artistico?”. In classe saremmo stati circa 150 stipati come sardine (io ero seduta su uno scalino), alzammo la mano in due. “Lasciate che vi dica che per voi sarà dura, probabilmente vi ci vorranno parecchi tentativi per riuscire a superare l’esame, forse non ce la farete mai…”

Se c’è una cosa che mi ha fatto sempre incazzare è che mi si dica cosa posso o non posso fare. Che poi lo fanno sempre tutti in base a degli stereotipi (sei donna, hai frequentato la scuola sbagliata, non sei capace, non sei abbastanza forte, addirittura, "non sta bene"…) ma vaffanculo!
Allo scritto del pre-appello di giugno passammo in 17, io c’ero (voto 18-, ma c’ero).
All’orale indossai una maglietta viola, due Nike e i miei amati calzoni verdi. Gli altri 16 si erano dati un tono, si erano tirati a lucido, si vedeva subito che ero diversa e che stonavo nel gruppo. Ero disturbante.
Disturbante andava bene, non me ne fregava niente di “fare bell’impressione”, che tanto lo sapevo di essere preparata. Ebbi l’ardire perfino di contestare la correzione del compito perché in realtà il mio esercizio era fatto bene e l’assistente aveva sbagliato a segnarlo come errato. Il Professore mi fece i complimenti, mi strinse la mano e mi disse “Mi scusi, non posso darle la lode perché ho già registrato uno scritto così basso…” “Non si preoccupi Professore, 30 va bene… una cosa però volevo dirgliela: io ho fatto il liceo Artistico”.
Poi salii in groppa alla mia bici verso lo studio del mio babbo per avvertirlo che avevo superato il mio primo esame per diventare Architetto. Era il suo sogno che facessi l’Architetto, non il mio. Ricordo la sensazione come sa la stessi provando adesso, la sensazione di volare (non di pedalare), la sensazione di sentirsi capace di tutto, uno spettacolo!

Agli eventi (ai matrimoni, alle feste) mi vesto spesso di rosso, se posso mi travesto, mi diverto a stupire, ad attirare l’attenzione, a dare un po’ fastidio. Nella vita di tutti i giorni, quando non sprofondo frettolosamente nel tipico nero (perchè alla fine degli abiti me ne frega ben poco) mi vesto spesso a righe.
Le righe orizzontali non mi donano, ho il busto corto e largo, un seno infinito, lo so. Non importa, le righe orizzontali fanno bene al mio umore, come facevano bene al mio umore i calzoni verdi.
L’anno scorso ai saldi ho comprato un giaccone di quelli verde militare con la pelliccia colorata (quelli da adolescente, ma io non sono mai stata adolescente, perciò adesso non sono neanche di mezz’età). La pelliccia è fuxia. Il fuxia e il verde stanno benissimo insieme (sono complementari), ma questo non toglie che il fuxia sia il colore più disturbante che esista (per altro è complementare anche alla mia carnagione olivastra e starebbe male anche a beyonce). Quando lo indosso sembro un faro. La gente per strada si volta, qualcuno mi guarda male, io sorrido.
Ogni tanto lo metto anche per andare a scuola, sono strana, forse i colleghi penseranno che sono ridicola… non me ne frega niente, che tanto lo so che il mio lavoro lo faccio con serietà e con tutta la passione del mondo. Questo indumento fa bene al mio umore perciò lo indosso e dare fastidio, stonare un po’, come sempre, mi piace.


Sono una persona strana, ho tanto desiderio di amare e di essere amata, ma sono condannata a stare sola. Sono troppo diversa dagli altri. Non è un modo di dire e non è (solo) un modo di vestire.
Se qualcuno potesse vedermi (dentro a questo corpo) io sono più fuxia del mio giaccone.
Nessuno è stato mai in grado di vedermi. O forse chi l’ha fatto si è spaventato, dentro di me c’è troppo colore. Il fatto è che io non aspiro ad amalgamarmi, vorrei essere amata per quello che sono.
Sono fuori dal gruppo, lo sono sempre stata. Diversa e sola. Alle elementari, al liceo, all’Università, adesso.
Non credo in nessuna religione, non ho fiducia nella politica, non me ne frega niente del calcio. Odio ogni forma di divisa o costrizione. Voglio solo ragionare sulle cose per conto mio e farmi un’idea personale di che cosa sia giusto o sbagliato (vorrei che tutti avessero la forza di farsela, nel rispetto degli altri). Mi è sempre rimasto quel difettuccio di non sopportare che mi venga detto a chi devo o non devo credere, cosa posso o non posso fare, chi devo o non devo votare, addirittura, come devo o non devo vestirmi, come devo o non devo parlare, chi e come posso o non posso amare...
Io sono fortunata ad essere nata nel 1975 a Firenze perché lo so che, se fossi nata da un’altra parte o in un’altra epoca, sarei stata bruciata viva o sfregiata con l’acido. Infondo, essendo nata nel 1975 a Firenze, sono stata solo sfruttata e
piantata da un giorno all'altro per un'altra tipa ... meglio dai!
E me lo meritavo, perché io (nella mia incancellabile gioia di vivere, nella mia dolcezza, nella mia coerenza, nella fiera determinazione e nella mia sincerità totale) sono indomabile, sono inflessibile, stono col resto dell’universo e rispondo solo a lalla. Sono un’eretica e una strega.
E il mondo è pieno di invidiosi, chiusi nelle loro gabbie di banalità e nelle loro anime grigie, che non sopportano le persone libere e che, da sempre, bruciano le streghe.

lalla

P.S. Dal 17 dicembre sto partecipando alla Mostra di scatole di fiammiferi d'autore "E SE RIMANESSIMO AL BUIO?" a cura di Jara Marzulli e Iula Marzulli presso l'atelier e sede dell'associazione Alauda in via Quintino Sella n.3 ad Adelfia (Ba).
Guardate quanto è splendida Jara con una mia piccola opera tra le scapole...
grazie ragazze!
Le mie scatole sono realizzate in tecnica mista su carta cotone incollata. Si intitolano “allora bruciami”.e “nemmeno il fuoco”. Sono due lalle, quella a destra è ispirata alle mie sembianze più giovanili, quella a sinistra è un ritratto più attuale. Ma, al di là dell’età che, come ho già precisato, non è un dato che mi riguarda, rappresentano bene il mio lato disturbante e fiero. E sono blu, il mio colore preferito. Non rivedrò mai più queste due streghette: sono state vendute il giorno dell’inaugurazione.

sabato 18 novembre 2017

Come svolta la giornata

Ieri la giornata è cominciata un po’ male con l’arrivo a scuola e la scoperta che c’era “autogestione” e l’immediata rivelazione: avevo sprecato il mio tempo preparando le lezioni e avrei trascorso le seguenti 4h a strasciconi senza far niente… che noia. Poi una piacevole sorpresa: un’intera seconda che abbandona le assemblee studentesche/i rigurgiti di ribellione/il gioco di carte/le effusioni amorose/il fumacchiare (e non so quale altra attività “autogestita”) e rientra in classe durante la mia ora per fare la lezione di Disegno perchè “lei è la Proffe più cool” (che ho preso come un complimento nonostante somigliasse a una parolaccia).
Perciò insomma, ero tornata piuttosto di buonumore mentre, a fine mattinata, pedalavo verso casa. Ormai in dirittura d’arrivo entro in zona ciclabile/pedonale dove urge fare un po’ di slalom e andare parecchio piano. Ad un certo punto si forma un piccolo ingorgo di mamme carrozzine dotate, mi fermo e metto un piede a terra. In quel momento giunge dalla direzione opposta un altro ciclista in velocità (ha un’enorme cassetta di cavoli verza legata dietro la bici), si infila nel gruppo zigzagando e mi sbuca davanti, lo vedo in faccia, è scuro di pelle, non frena, svolta a destra e mi evita per un pelo. Ormai è passato... NO! Non è vero, non mi evita in effetti, prende male le misure, la cassetta sporge all’esterno e piomba sul mio manubrio, trova la mano a contrasto, Ahi!
Un rumore forte, un dolore assurdo, alla bocca dello stomaco. Il ciclista/verduraio scappa. Le mamme lo ingiuriano e poi si offrono di aiutarmi. La mano comincia a grondare sangue. Immediatamente penso: “E’ la sinistra, meno male!”. Mollo la bici e mi distendo sotto un loggiato (anche perché comincia a girarmi un po’ la testa), uno sconosciuto si preoccupa e mi offre i suoi fazzoletti per tamponare le ferite, anche lui è scuro di pelle e le mamme di tonalità varie (tanto per dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, che stronzaggine o gentilezza albergano in ogni colore). Pigio forte e il sangue si ferma, il dolore scema, le mamme mi mandano segnali di conforto a debita distanza dalla scena splatter. Guardo la situazione: indice e mignolo sono solo sbucciati. Mi sfilo un anellino prima che gonfi l’anulare che, col medio, è messo molto peggio. Provo a muovere le dita, tutto bene, non si è rotto niente, ma ricominciano a dolere e sanguinare. Vabbè, ringrazio tutti e me ne torno a casa a lavarmi e incerottarmi per bene prima che torni Elia.
Il pomeriggio ha un sottofondo di dolore continuo, non riesco a spogliare e rivestire Matilde, non riesco a cucinare, mi faccio aiutare in tutto da Elia.
Insomma, come bilancio della giornata non sembrava tanto positivo.
Poi, a ora di cena, la svolta.
Una cosa proprio inaspettata che mi rende felice come una bimba di 8 anni davanti ai pacchi di Natale!
Premessa: dal 2008 (che ho ripreso a dipingere con continuità, che scrivo questo blog e che sono un pochino più social) ho scoperto e seguo alcune artiste italiane bravissime. Loro hanno creato un gruppo facebook che si chiama “Donne che dipingono donne (artiste italiane)”, non il solito gruppo/minestra di verdura, è una pagina con opere di altissima qualità. Io le stimo proprio, non lo dico per dire, e le seguo con grande piacere da quasi un decennio.
Tra l’altro, alcune di loro si sono dimostrate gentilissime con me, hanno risposto alle mie curiosità e mi hanno dato preziosi consigli tecnici (parlo di Jara Marzulli, Elisa Anfuso, Cristina Iotti, Roberta Serenari... solo per fare alcuni nomi, mi perdonino le altre). E non è scontata per niente una cosa del genere: è facile incontrare creativi che guardano solo in alto, che si sentono superiori (o forse manco ci si sentono e proprio per questo cercano di schiacciarti) ma invece trovarne che tendono la mano a chi sta un po’ più in basso (a chi è meno introdotto o meno esperto), è cosa assai più rara. Insomma, per me è stato molto bello conoscere tanta umanità e apertura in persone così dotate. E, a pensarci bene, una cosa del genere non avrebbe dovuto stupirmi perché la sensibilità e la grandezza che trasmettono le loro opere rappresentano alla perfezione quello che queste donne sono.
Insomma, ieri sera mi scrive Cristina e così, senza avermi detto nulla prima, mi fa vedere che mi ha aggiunto tra le artiste del gruppo… ma chi, io?!
Non so dirvi la soddisfazione e la gratitudine che ho provato (e che provo)!
Essere apprezzata da qualcuno che stimi così tanto è veramente bello, non solo, è anche una roba che mi stupisce da morire! Come quando Enrica Tesio (che scrive il blog più intelligente/esilarante/tagliente e vero che abbia mai letto e che ha pubblicato adesso “12 ricordi e un segreto”, un libro davvero prezioso) ha dedicato un po’ del suo tempo a leggere un articolo del mio blog e mi ha detto che le è piaciuto molto, che è scritto in modo personale e molto coinvolgente… capito? Enrica Tesio l’ha detto a me!!!
Voglio chiarire: non è che cambi niente, non è che mi sia passato il male alla mano (anzi, adesso ho due salsicciotti al posto delle dita e non so manco come farmi la doccia), non è che adesso sia diventata ricca o famosa, non è che un editore mi pubblicherà un libro o un sacco di committenti vorranno i miei ritratti… niente di tutto questo, però porca miseria, queste donne meravigliose mi hanno migliorato assai la giornata (e la vita)!
E adesso sono cazzi.
Adesso dovrò migliorarmi (ancora e sempre) per cercare di essere all’altezza della loro fiducia.
Grazie ragazze, grazie a tutte... e fanculo al ciclista/verduraio!


lalla

P.S. in questa sede non ho fatto i nomi di tantissime altre donne che mi appoggiano e mi seguono (del mondo dell'arte o meno), perdonatemi care e non abbandonatemi!
P.P.S.S. C'è anche qualche uomo a dire il vero (nonostante le mie intemperanze femministe)... grazie anche a loro!

martedì 14 novembre 2017

la mia Piccola Fata

Sento spesso l'esigenza di provare a esprimere e comunicare. Non sempre ho ben chiaro in testa “cosa”, l’unica certezza è che ne ho bisogno e allora comincio: giù a scrivere (ore e ore)… o giù a dipingere (ore e ore). Cosa funziona meglio? Scrivere o dipingere?
Non lo so, non è detto che alla fine si capisca granché, non è detto che il risultato sia accattivante (cioè può darsi che sia brutto da leggere o da vedere). Come già detto, magari non avevo inquadrato bene la questione, nemmeno io sapevo dove volevo arrivare… oppure lo sapevo, ma poi ad un tratto mi son persa per strada dietro a qualche altra strana idea che è arrivata all’improvviso... comunque non importa, di solito per me funziona, mi sento soddisfatta e mi servono tutte e due le cose (scrittura e pittura).
Ecco la ragione di questo blog: qui scrittura e pittura possono cercare di darsi una mano e trarsi in salvo a vicenda. Trarre in salvo me.
Oggi, forse, non ci sarebbe bisogno di tante parole, no, perché questo dipinto (che magari manco vi piacerà) io credo che possa dire da solo tutto quello che ho sempre voluto dire su mia figlia: che lei è una fata.
Lo è sempre stata, una fata.
Quando la tenni nella mia pancia tutto il tempo necessario nonostante le contrazioni uterine volessero spedirla già fuori al 5° mese, nonostante dovessi sostenere un concorsone scolastico (che poi ho vinto), nonostante dovessi assorbire e attutire gli sbalzi umorali del mio compagno (che poi ho perso), e non so ancora come feci a resistere, ma il merito non è mio, è certamente suo che era già un po' fata.
Quando, a un giorno di vita, tutta ignuda e trafitta da tubicini e aghi, in un’incubatrice di vetro, stregò d’amore suo fratello
in un nanosecondo, divenne definitivamente fata.
Quando, nel reparto di neonatologia, giungevo per la poppata notturna dell’1.00 e lei dormiva (mentre tutti gli altri neonati piangevano isterici), poi, una volta finito, tutti gli altri neonati dormivano satolli e lei invece rimaneva sveglia, mi guardava negli occhi soddisfatta e io potevo lasciarla lì da sola, tranquilla, era una fata.
Quando, a circa due mesi d’età, di notte dormiva 6/7 ore di fila, l'altro si girava dall'altra parte e non si accorgeva di niente, ma io no, non dormivo (dalla magia e dall’incredulità), ogni tanto mi svegliavo e mi incantavo anche mezz’ora a guardarla, era una fata.
Quando, a soli 4 mesi, quell’altro volle per forza spedire la cullina in una camera dall’altra parte della casa e io al mattino non vedevo l’ora di correre da lei che quasi sempre era già sveglia (ma non piangeva) e appena mi vedeva mi salutava gorgogliando e ridendo, era una fata.
Quando, a soli 6 mesi, ha iniziato ad abbracciarmi, era una fata.
Quando, alla stessa età, ha intrapreso con noi un viaggio in Francia per il lavoro del padre, ha gioito al decollo dell’aereo e ha sopportato allegra di essere portata a strasciconi per 5 giorni, toccata da estranei, circondata da folle di persone, mai una bizza, mai un capriccio, era una fata.
Quando, dopo i 10 mesi, ha sofferto di mal di denti e allora me la sono presa nel lettone (scatenando l’insofferenza di quell’altro, che manco qualche mese di condivisione ha saputo sopportare) che poi lei neanche piangeva, al massimo si lamentava educatamente, chiedeva il ciuccio o da bere e voleva solo sentirmi vicina per rassicurarsi, era una fata.
Quando siamo rimaste sole (che l’altro s’è definitivamente rivelato per quello che era, cioè scemo) e allora sono stata io a volerla vicina per rassicurami e lei mi ha coccolata con tutto il suo amore, era una fata.
Quando ha iniziato a sentirsi una donna (cioè circa a un anno e mezzo d’età) e da quel momento a coltivare i suoi capelli, a vestirsi da principessa o fata, indossare gioielli e aggirarsi soavemente per la casa in passi quasi di danza, era una fata.
Quando, a due anni, ci siamo abbracciati in tre (io, lei ed Elia) e lei ha sussurrato “tutti”, era una fata.
Quando si lamentava ogni volta che doveva lasciarmi e andare col padre e io le promettevo che si sarebbe divertita "No, Tinne sta con mamma", allora insistevo "vai insieme ad Elia, fate tante belle cose col babbo", allora lei sembrava convinta "sì, Elia va con babbo... e Tinne sta con mamma!"... poi piangeva (mentre il padre rideva), ma per fortuna quasi mai piangeva tantissimo (comunque per me era sempre troppo da sopportare), ma lei invece sapeva sopportare tutto e dopo stava brava anche lontana da me e quando tornava non me la faceva pagare per niente, era una fata.
Quando, quest’estate, salutava me ed Elia (bloccati a casa con l'otite) tutta giuliva e se ne andava in barca con il resto del parentado oppure si tuffava con i braccioli nel mare profondo andando sotto con la testa e riemergendo come se avesse visto la morte in faccia, ma poi temeraria voleva farlo di nuovo, era una fata.
Quando, sempre d’estate, malediceva con riti sciamanici ogni pidocchio rinvenuto sulla sua chioma “via da me pidocchi, sciò!”, era una fata.
Quando, l’altro giorno, ha visto una foto di me con la pancia e c’era anche suo padre che la indicava e allora mi ha guardato e mi ha detto: ”ma allora prima eri tu la fidanzata del babbo?” e io le ho detto “sì, amore” e lei mi ha abbracciato e mi ha detto “io ti voglio bene”, è stata una fata.
Quando, il giorno dopo,  mi ha chiesto: “perché non sposi tu il babbo?”, allora io gli ho risposto che l’avevo già sposato (e le ho anche fatto vedere le foto vestita da principessa), le ho detto che l’ho amato tanto e infatti sono nati loro due, ma che poi lui un giorno mi ha lasciato, allora lei mi ha detto il nome della 'nuova fidanzata del babbo'. Io le ho detto che non importa, che l’unica cosa importante è che il babbo voglia bene a lei ed Elia. Allora lei ha detto:  “sì, anche il babbo mi vuole bene e mi da tanti baci” e mi ha abbracciato di nuovo. Ha poco più di tre anni, è una fata.
Quando cerca di ottenere le cose che vuole con i suoi trucchi di magia come domenica, mi ha chiesto di abbassarmi per strada, poi mi ha dato un bacio sulla guancia e mi ha sussurrato con un sorriso furbetto “in collo” (oppure come quella volta di pomeriggio che eravamo sul divano, io leggevo, lei giocava con le barbie e ad un certo punto deve essersi stufata e mi ha dato le seguente informazione: “lo sai mamma che le bambine guardano i film?”), è una fata.
Quando piange se brontolo suo fratello, ma non per finta, ma perchè proprio ci soffre, è una fata.
Quando addomestica e impone il suo volere a ogni essere vivente della casa, è una fata.
Ogni giorno questa bimba ci ammalia.
Ma, come ho sempre provato a fare col piccolo Re dei Sugolini, cerco di resistere anche ai suoi poteri, alla mia Piccola Fata, per insegnarle a crescere giusta oltreché magnifica.
Il mio compito è molto difficile (i miei bimbi sono magici), ma io penso di farcela. E' stata la mia priorità, è la mia priorità e sarà la mia priorità, sempre. Perchè io non sono scema.
So di essere la mamma più fortunata del mondo, tutto il resto è niente.

lalla
"Piccola Fata del bosco", olio su masonite 35x35 cm

martedì 24 ottobre 2017

quattro ragazze in gita

Il weekend di metà ottobre ho organizzato una piccola vacanza a Ravenna. Siamo partite sabato, io, la mia mamma e la mia sorella grande. Domenica ci ha raggiunto anche la mia sorella piccola. Il tempo ci è stato meteorologicamente amico, temperatura perfetta e sole, perciò domenica abbiamo fatto pure una scappata a Rimini fino a toccare il mare.
Non so, forse della visita artistica a Ravenna non mi va di raccontarvi niente perché, insomma, dovete andarvela a vedere per forza!
Vi svelo solo che l’esterno degli edifici, come dico sempre ai miei studenti, “non sa di niente” (perfino la città nel suo insieme è del tutto trascurabile, un paesello immerso in una piana desolata e appestata di zanzare). Esterni spogli e realizzati in un materiale piuttosto povero: il laterizio. Niente decori, niente fronzoli. Non è che non c’avessero soldi al tempo di Galla Placidia e compari (o che non c’avessero voglia), è solo un trucco: appena varchi la soglia degli edifici sacri vieni abbagliato dai tappeti musivi in pasta vitrea e oro che ricoprono le pareti di absidi, cupole e navate. Fuori c’è il mondo reale e tu non hai varcato solo la soglia di una basilica, hai varcato la soglia del Regno dei Cieli. Per lo meno, l’idea era questa e funziona ancora piuttosto bene dopo 1500 anni e nonostante la nostra assuefazione a internet, al cinema 3D e al full HD di Sky. I mosaici vibrano, si muovono, baluginano, disorientano, quasi fanno girare la testa… si percepisce il senso di magia. Mica scemi questi Romani/Barbari/Bizantini…e dai, una girata fatecela, merita, non a caso è patrimonio dell’Unesco!
E quando ci siete, affacciatevi anche sulla cripta perennemente allagata di S.Francesco, davvero fascinosa, e scendete nella Domus dai tappeti di pietra… basta così, non voglio spoilerarvi troppo! 

Passiamo alle cose serie, qualche considerazione sul cibo.
La piadina non è questa squisitezza che vorrebbero farci credere, cioè, mica è cattiva (lo squacquerone è divino), ma è un bel mattone da digerirsi (nell’impasto c’è lo strutto?) e, tanto per accendere la polemica tra Adriatico e Tirreno, siete mai scesi sul mare a Castiglioncello per assaggiare una schiacciatina all’olio fatta in forno sul momento e riempita di mozzarella, prosciutto crudo e pomodori? E, se proprio uno deve fare uno strappo, una cecina calda e impepata al punto giusto? Vabbè.
La sera del sabato mi sarebbe piaciuto portarle a mangiare i passatelli in brodo, ma le mie compagne hanno avuto pietà di me, non se la sentivano di farmi affrontare un’altra digestione a rischio, così siamo entrate in una raffinata macelleria ravennate e abbiamo acquistato degli straccetti di manzo già conditi con olio, rucola e pomodorini.
“Guardi che noi vogliamo mangiarli crudi”
“ma certo Signore, è carne di ottima qualità, da noi non usa molto il crudo, ma andate tranquille”.
Li abbiamo consumati in appartamento. Non voglio proferire parola sull’argomento "era buona oppure no", non so che cavolo di spezie ci avessero messo, dico solo che sospettavo quasi si trattasse di maiale tanto poco ricordava il manzo. Non vorrei alimentare oltre al polemica di cui sopra, ma insomma… un bel carpaccio con olio extravergine d’oliva, sale e limone in Emilia-Romagna, no? C’avete pure il parmigiano se proprio vi va di infilarci roba, ci sta bene, eh!
Il fegato comunque non si è lamentato, amen.
L’indomani siamo arrivate a Rimini praticamente alle 14.00, abbiamo pranzato proprio di fronte al porto fluviale e alla spiaggia. Una sorta di fast-food di buonissima qualità, ci hanno preparato gustosi burger in versione mare (di gamberi per me, di baccalà per Chiara) accompagnati da insalata e appetitose fritture di pesce. Abbiamo mangiato al sole, all’aperto, io mi sono anche abbronzata (ma solo metà faccia perché stavo sempre girata da una parte), proprio un posto carino.
Qualche considerazione sulla compagnia.
Tutte donne, tutte di ottimo umore… due giorni di chiacchiericcio continuo, sembravamo liceali in gita scolastica e infatti in varie occasioni improvvisati docenti non hanno mancato di sgridarci, che bellezza!
 
 
Noi tre sorelle non ci somigliamo molto nell’aspetto (tranne che per i colori), forse poco anche nel carattere e nelle intenzioni. Gli eventi della vita e scelte differenti ci hanno spesso allontanato, non siamo cresciute con gli stessi gusti (culinari a parte), non siamo cresciute con gli stessi tempi, ogni tanto una delle tre accellerava o frenava drasticamente, le altre schizzavano in direzioni diverse. Spesso ci siamo perse e poi ci siamo cercate di nuovo, ogni volta è stato come tornare a casa. Condividiamo lo stesso lessico famigliare, le stesse consuetudini, gli stessi ricordi… gesticoliamo tutte un casino e parliamo tanto, parliamo troppo e a voce troppo alta (io e Silvia proprio a macchinetta, Chiara in confronto a noi due è quasi posata). Tutte e tre siamo sempre indaffarate e di corsa, ciò nonostante ridiamo parecchio, siamo vivaci, anzi, siamo vive.
Perciò insomma, siamo diverse e viviamo vite diverse, ma siamo anche un po’ uguali perché siamo sorelle. E ci vogliamo bene.
La cosa più piacevole di questa micro-vacanza per me non è stata osservare gli splendidi mosaici di San Vitale o di Sant’Apollinare in Classe, bensì osservare la mia mamma. Lei a dire il vero era partita da casa un po’ sottotono, assillata da alcune problematiche sue, comunque sabato, arrivata a Ravenna, era già molto allegra, domenica, nel preciso istante in cui ha visto Chiara (che ha fatto un vero viaggio della speranza per raggiungerci) uscire dalla stazione ed entrare in auto, si è illuminata ed è rimasta radiosa fino alla sera (nonostante le code di rientro in autostrada). Realizzare questa piccola fuga insieme, vederci scherzare e ascoltarci dir bischerate un giorno intero, tutte e tre le sue figlie, tutte e tre le sue bambine… era in brodo di giuggiole.
Dovrei rapirle più spesso, ma loro hanno la loro vita, solo io e la mamma ogni tanto siamo “disoccupate” e possiamo fuggire nel paese dei balocchi senza rimorsi.
Ma io, piccola Lucignolo, ci proverò.

lalla
P.S. Ed eccoci alla vera ragione di questo post, che dalla metà sembrava voler aspirare a un livello più profondo, e invece no: questo post l'ho scritto al solo scopo di documentare che, alla tenera età di quasi 42 anni non solo mi faccio ancora cogliere soventemente dalla stupidera, ma soprattutto che (senza un’ora di palestra alle spalle negli ultimi 10 anni) salto come un grillo!
 
Alla faccia della sua cattiva fama, l’acqua a Rimini era meravigliosamente cristallina e neanche tanto fredda (lo so perché ci ho messo un piede e mi ci è finita anche parte dei jeans). Non ho fatto il bagno solo per mancanza di attrezzatura adeguata e tempo (volevamo visitare il Tempio Malatestiano). Poi abbiamo scoperto che il povero monumento è in balia di un prete ingrato (verso l’Arte e i turisti) che lo apre quando gli pare (30’ di ritardo), lo tiene con finestre tamponate e luci spente e neanche due righe su una targhetta per indicare gli autori delle opere (poveri Leon Battista Alberti, Matteo de’ Pasti, Giotto e Piero della Francesca).
Ci siamo rifatti con un’elegante passeggiata fino all’arco di Augusto e un buonissimo gelato.


P.P.S.S. grazie a Elena e Jacopo per averci prestato la casa!

lunedì 23 ottobre 2017

un po' di compiti, un po' di ricordi

Siamo arrivati stanchi al fine settimana perciò sabato è trascorso molle e lento, ci voleva.
Hanno dormito dal padre venerdì e sono tornati da me a fine mattinata, in ritardo, il Re dei Sugolini doveva ancora svolgere molti compiti per scuola anche perché oggi ha la sua lezione di canto e dovrà anche trovarsi con dei compagni per una ricerca di scienze… insomma, doveva avvantaggiarsi pure per il martedì.
Ha 12 anni, verrebbe da pensare che ormai ci pensi da sé a certe cose, non ci pensa invece, la sua mente sembra galleggiare continuamente in mezzo a roba strana, poi approda quando meno te l'aspetti a roba alta, non trova il tempo, forse non c’è lo spazio, per concentrarsi anche su roba banale e bassa. Non lo so come funziona, provo a spiegarmelo così. Delle volte è estenuante cercare di ancorarlo a terra, lui che vorrebbe sempre prendere il volo, ma insomma poco male, anzi, molto bene. Col tempo forse riuscirò a, fatemi usare una parola proprio orrenda, da insegnante, riuscirò a… “scolarizzarlo”. In poche parole, la monotonia e il rigore forse si insegnano, è possibile, il genio certamente no.
Quando si mette a fare i compiti non è tutto rose e fiori. Se mi chiede aiuto, ci provo, ci mancherebbe, ma non è facile aiutarlo, non è mai facile aiutare nessuno, neanche quando ti viene chiesto, i propri figli, men che mai.
Il problema maggiore da affrontare per me è che la sua intelligenza, il modo in cui connette, è molto diversa dalla mia. L’intelligenza emotiva, quella mi pare che ce l’abbiamo entrambi e pure troppa. Però io possiedo una memoria visiva pazzesca, un pensiero logico matematico piuttosto infallibile e una potentissima visione spaziale astratta… in compenso sono abbastanza discalculica e dislessica, perdo per strada nozioni, parole e numeri. Lui possiede uno strano pensiero parallelo e creativo, una facilità assurda di danzare e giocare con le parole (quelle che io mi perdo), di incasellare e rigirare nozioni e numeri (quelli che io sbaglio), di far collegamenti e giochi con tutto quello che apprende… in compenso ogni tanto inciampa nel pensiero astratto, cerca la scorciatoia perché si annoia e qualche volta la trova (in un modo tutto suo e particolare), qualche volta invece salta a caso e finisce nel vuoto.
Quando mi chiede aiuto è perché si sente annegare, io provo a tuffarmi, cerco di tirarlo dalla mia parte, lui annaspa, cerca di trascinarmi dalla sua e quasi sempre mi tocca stordirlo per poterlo portare in salvo (altrimenti va a finire che anneghiamo entrambi)! Fare i compiti insieme diventa farli l’uno contro l’altra, aiutarci diventa ostacolarci a vicenda, in qualche modo, alla fine ci salviamo.
Sabato in particolare doveva fare dei problemi di logica matematica con le frazioni (roba tipo: un fioraio vende i 3/5 dei 2/3 delle sue rose, cioè 6… quante rose aveva in tutto?). Roba divertentissima per me, una gran rottura di palle per lui che non voleva capire
davvero, voleva solo cercare una scorciatoia, finire in fretta e poi (anzi, durante) parlarmi del suo progetto di diventare Yutuber e di come sia ganzo il nuovo videogioco di Sonic the hedgehog... e allora era una scenetta tragicomica: io che gli spiegavo la logica del grafico a quadretti tutta eccitata “lo vedi no, come torna bene così?”, lui che da un certo punto in avanti sembrava capirlo (ma con molta meno euforia di me), ci infilava una spiegazione sulla giusta attrezzatura che gli servirebbe per fare delle buone riprese video e quindi mi faceva notare che avevo sbagliato i calcoli di una semplificazione… perché è vero: anche il mio cervello ha fretta, anche lui cerca delle scorciatoie, gli interessa solo la logica e i calcoli se li dimentica...
Com’è come non è, alla fine ce l’abbiamo fatta.
Poi toccava al Disegno Tecnico e lì casca l’asino. Lì c’è poco da fare, come per la Storia dell’Arte, se mi chiedi qualcosa mi si attiva spontanea la modalità “professoressa” e mi trasformo in un’emerita rompicoglioni… devo tentare di disattivarmi, di trattenermi, non solo per non stressare troppo il malcapitato ragazzino, ma anche per non sminuire l’autorità della sua insegnante.
Ma, cavolo, come si fa? Ci sono dei trucchi per usare bene riga e squadra, se nessuno te li insegna è difficile scoprirli da soli. In classe non si sono esercitati per niente l’anno scorso… mi dispiace così tanto! Ci vuole pratica, si devono creare degli automatismi. Il Disegno sì che ti obbliga al rigore, all’ordine e all’inizio è un supplizio contro natura (cercare di rappresentare un punto senza farlo sembrare una polpetta, ma un “ente geometrico senza dimensioni”, come si fa a disegnare qualcosa senza dimensioni?), è un lavoro di astrazione mentale prima che di controllo manuale. Solo dopo tanto esercizio, arrivano l’ordine a la pulizia e quella “bellezza” non è solo grafica, puoi riapplicarla in tutto quello che pensi e in tutto quello che fai.
Se non imparerà queste basi, come potrà mai affrontare la Geometria Descrittiva al liceo?
Vabbè, trattieniti lalla… se proprio lo vedo brancolare, mi concedo di allungargli lì qualche buon consiglio, qualche trucchetto e poi sto a guardare cercando di non storgere troppo la bocca. Non è facile. Non è facile neanche mostrargli come gestire le squadre, come impugnare il lapis… lui è mancino, io sono destrorsa, è tutto alla rovescia per me. E’ tutto alla rovescia per lui.
Qualcosa alla fine è riuscito a disegnare, nonostante stessimo entrambi a testa all’ingiù.
Queste battaglie si son svolte nel pomeriggio di sabato, nello studio, dopo una buona pasta zucchine e gamberoni (che ci aveva messo di buonumore, riducendo le ostilità). Intanto io intrattenevo anche Matilde sul divano. Una piroetta o il pizzicorino con Matilde, una tirata d’orecchie tra me ed Elia, un disegno con i pennarelli, una tirata d’orecchie a Matilde (perché decora il divano appena mi concentro troppo sul fratello), un racconto e una barzelletta per tutti, un bel po’ di tatuaggi glitterosi per la piccola, una tirata d’orecchie di Matilde a Daenerys (tanto così per il gusto di fargliela)… a forza di tirare, il pomeriggio è passato.
Verso sera Matilde ha cominciato a prendere gli album di fotografie dalla libreria, le foto le piacciono molto.
Ho sempre sentito una fortissima urgenza di catturare le immagini e i ricordi, di documentare viaggi, compleanni, Natali… o anche solo la quotidianità. Gli album sono lì, a portata di mano, con tutte le persone della mia vita dentro.  Nel 2016 ho provato il desiderio di stracciarne gran parte, ma mi sono obbligata ad essere politicamente corretta per il bene dei miei figli (come volevasi dimostrare, rigore e correttezza, una volta apprese, si riapplicano all’infinito): sono anche i loro ricordi, è anche la loro vita, nessuno ha il diritto di stracciargliela davanti, neanche io.
Matilde comincia da un album in cui sono appena adolescente, mi riconosce subito, mi indica contenta “sei tu mamma!”, appena mi vede in compagnia di una bimba (quasi sempre una nipotina) dice “e questa è Matilde”, non proprio, ma vabbè. Non avevo ancora una bella macchina fotografica, sono immagini oggettivamente non belle, ma soggettivamente meravigliose, c’è il mio babbo, ci siamo tutti, ridiamo, siamo al mare, peschiamo pesci, ci tuffiamo… Matilde scambia Chiara per la piccola Giulia, riconosce solo me a la mia mamma, la nonnalucia.
Cambia album (si scoccia presto).
2003, siamo a Parigi, sorrido beata, come al solito Matilde mi indica contenta,
c'è anche lui, ha gli occhi buoni, allora io le chiedo: “E questo chi è?”
“Non lo so, chi è?”
“Ma come? Ieri siete stati insieme tutto il giorno…”
“No, non lo conosco”.
“E’ il tuo babbo, amore!”
“No, non è il mio babbo”. E’ molto convinta e mi lascia di stucco. Perchè non lo riconose?
Elia molla per un attimo le squadre (non vedeva l’ora di trovare una scusa) e viene a vedere: “Per forza non lo riconosce: in queste foto era giovane”.
“Che strano però, perché riconosce me? Anche io ero giovane e adesso sono vecchia”.
“Non è strano invece: tu mamma sei sempre la stessa, lui no."
Poi aggiunge deciso: "Lui è cambiato”. 

E si rimette a disegnare.
Forse si riferisce solo all'aspetto, ma io non ne sono certa e rimango ancora più di stucco, mi astengo dall'indagare o dal fare commenti (la solita piaga della correttezza), io e il Re dei sugolini non concordiamo affatto sull'importanza dei problemi matematici, né su quella delle avventure di un certo porcospino blu elettrico, ma su questo punto evidentemente sì.
Ecco, per "roba alta" intendevo anche questo.

Ecchissenefrega del Disegno Tecnico.


lalla

P.S. il fioraio aveva 15 rose.

martedì 10 ottobre 2017

a chi parla la mia stessa lingua, grazie

Io sono un'insegnante di "Disegno e Storia dell'Arte".
Insegnare da da mangiare a me e ai miei figli, in più mi piace. Correggere le verifiche, interrogare e dare i voti, no, non mi piace, ma fa parte dell'insieme, va fatto anche quello.

Io non sono un'artista, non credo di esserlo, non lo so se lo sono. Cosa significa artista?
Io scrivo, disegno e dipingo da sempre, ma non è la mia professione. E' più che altro la mia medicina per tutto. Funziona. Forse non funziona il risultato (il prodotto finito, il fare Arte appunto), ma funziona il mentre, funziona l'effetto cura.
Ogni tanto ci penso (al fatto che non sia riuscita a farla diventare una professione, che sia rimasta una dilettante) e un po' mi dispiace, poi ci ripenso (al fatto che non l'abbia fatto diventare un obbligo, magari un peso, come correggere i compiti) e non mi dispiace per niente. Così come stanno le cose, io e l'Arte non siamo una dipendente e il suo datore di lavoro, siamo amiche, siamo confidenti, condividiamo un segreto (il segreto della serenità e della pienezza).
Preferisco così, è una buona situazione, invidiabile direi.
Poi, quando ottengo una commissione, posso sentirmi anche fiera perché è come se il mio segreto, quel dialetto che parliamo solo io e l'Arte insieme, quel nostro mondo, diventasse condivisibile e comprensibile anche ad altri. E' bello poter condividere.
E' lo stesso motivo per cui scrivo su queste pagine virtuali e non su dei fogli di carta. E' sempre bello poter condividere ogni tipo di sensazione e sentimento. Ogni tipo, bello, brutto, meraviglioso, orrendo. Ogni.
Non che sia facile trovare qualcuno che apprezzi (un editore o un gallerista serio non li ho mai incontrati, per esempio), ma ogni tanto qualcuno c'è. Devo ringraziare queste persone con tutto il cuore per essermi venute a prendere, qualche volta, per essersi intrufolate nel mio rapporto di esclusivo e solitario amore per l'Arte, di averne fatto parte per un po'.
Una di queste persone è Sara.
Sara ha due bambine fantastiche, le ha avute con grande fatica, come me. Ha rischiato di perdere loro e se stessa, come me. Non so, forse le mamme che hanno attraversato tante difficoltà (quelle che nel fuoco, per i propri figli, ci si sono già buttate) forse quelle mamme non sono sfortunate, ma fortunatissime perché hanno il privilegio di saper dare la giusta misura alla propria esistenza e a quella degli altri. Gli si è risistemata in testa, tutta perfetta, la scala dei valori, condita da tanto entusiasmo, gratitudine e gioia per quello che hanno. Se lo sono guadagnato sulla propria pelle quello che hanno, quindi, giustamente, sono anche orgogliose e fiere.
Sara è una mamma privilegiata, come me. Quando le guarda i suoi occhi brillano, come i miei. Forse per questo le piaccionio i miei lavori, perché parlano la sua stessa lingua. Forse per questo mi ha fatto il grande dono di fidarsi e di voler condividere.
Qualche anno fa ho ritratto la piccola Gemma, che aveva solo due anni, e adesso, alla stessa età della sorella, mi ha chiesto di fare lo stesso con Fiamma.
Anche se si somigliano, sono bimbe molto diverse. Gemma ha dovuto combattere per venire al mondo ed è la prima, in un certo senso ha dovuto far tutto da sola. Fiamma è arrivata dopo, con meno difficoltà, ha sempre avuto accanto a sé una sorella su cui contare, si sente protetta ed è molto sicura di sé. Ha lo sguardo fiero Fiamma, è spensierata e quasi spavalda.
Hanno occhi arguti, entrambe, e tanta voglia di esplorare il mondo.
Piccole donne, vi auguro di crescere splendide e temerarie. Potete farlo, seguite l'esempio della vostra mamma. 

A lei voglio dire ancora grazie.

lalla
particolare del volto di Gemma
particolare del volto di Fiamma
"Fiamma, 2 anni", olio su masonite, 35x54 cm.

sabato 7 ottobre 2017

tutti i gatti della mia vita

In estate, nella cucciolata campagnola della gatta perfettamente non-di-razza (tigrata a toppe bianche) di mia sorella grande si è generata una gattina simil-pregiata (siamese linx point), meraviglie della genetica! E' nata bianca come la neve, poi ha cominciato a scurirsi alle estremità, ha gli occhi blu e potrebbe ingannare tutti spacciandosi per una micia col pedigree se non fosse per un minuscolo dito della zampetta sinistra intinto nel latte.
"La vuoi tu lalla?"

Premessa, io ho sempre adorato i gatti perché sono animali misteriosi, curiosi, puliti, maestosi e con altre 1000 qualità. Sono cresciuta con i gatti e credo che faccia davvero bene tenerli vicini a dei bambini (specialmente a quelli un po'
strani e solitari come ero io) perché è molto educativo vederli nascere sotto forma di teneri salsicciotti pelosi, osservarli crescere e quindi innamorarsi perdutamente di loro (che non ci amano e che sono totalmente indipendenti da noi), per poi vederli morire. E così tu soffri tantissimo (e si dice appunto soffrire come un cane, non come un gatto, perché i felini sono troppo superiori agli umani per abbassarsi a certi sentimenti). Che cosa c’è di buono in tutto questo? Per esempio c'è che ti si chiarisce bene in testa, fin da subito, il cerchio della vita, non è poco. E può anche capitare l’immensa fortuna di incontrare un gatto un po’ particolare, funziona come per gli umani, anche loro sono tutti diversi e quelli speciali esistono.

Da bambina in casa c'era la gatta della mamma, Mascherina, tipo “Gatto Silvestro” ma con due macchie nere sotto al naso che ricordavano i baffetti di Hitler. E infatti era un animale piuttosto fetente, faceva il suo e se gli giravano mi graffiava senza troppe cerimonie, ma era intelligentissima e noi due avevamo un accordo: a me non andava di mangiare carne, lei ne andava pazza. Mi sedevo a tavola leggermente in avanti lasciando lo spazio perché lei si insinuasse dietro al mia schiena, se ne stava in silenzio, paziente, e io le passavo da sotto al braccio succulenti bocconcini di bistecca… così io ero contenta, la gatta pure, e anche il resto dei commensali (convinti che fossi io a mangiarla). Nessuno si è mai accorto di nulla. Le volevo bene, è stata con noi molti anni, cadde due volte dalla finestra del primo piano senza morire, credevo che a forza di bistecca fosse diventata immortale, o che per lo meno le restassero ancora 7 vite, invece ad un certo punto cominciò ad invecchiare e se ne andò.
Poi ho avuto Topina, una micetta grigia che passava ore immobile sulla mia spalla (come i pappagalli dei pirati), mi ha tenuto compagnia pochi mesi, poi è finita schiacciata da mio padre con un pestone (del tutto involontario), un vero trauma infantile…
Ricordo una figlia di Mascherina, Mafalda, che adoravo, tigrata ma con la maschera e i calzini bianchi della madre, in seguito si è scoperto essere Mafaldino ed è sparito in cerca di gatte … 

1988, Chiara, Eva, io e Mafaldino

tanti gatti, tanti aspetti e caratteri diversi, accomunati da un’unica caratteristica: prima o poi morivano tutti.
Durante l’adolescenza mi ero stufata di affezionarmi e soffrire, così per un po' di tempo ho lasciato perdere, gatti per casa ne giravano, ma nessuno di loro lo consideravo mio, poi, da ragazza, ho accettato di prendere l’ennesima gatta senza troppe aspettative e partendo dal presupposto che “non sarebbe durata” e così, senza saperlo, ho inizato la storia d’amore felina della mia vita.
Elsa (da “nata libera”) era una gatta maculata che ho accudito dall’età di 20 giorni, allattandola col biberon e facendole fare i bisogni con un batuffolino di cotone inumidito. La tenevo a dormire nella mia mano sinistra mentre studiavo per la maturità. Crebbe inaspettatamente sana, nonostante condividessi con lei ogni Fiesta (ne ha mangiate centinaia, davo per scontato che sarebbe vissuta poco e volevo che si divertisse). All'età di pochi mesi la nostra canina Beagle le piombò addosso staccandole in modo irreversibile il tendine di una delle zampe posteriori, nessun problema, ma da quel momento ogni volta che si sedeva la distendeva come una ballerina di danza classica. Era una gatta magica, mi aveva scelto come suo umano (solo loro a scegliere noi, non viceversa), ha studiato con me tutti gli esami dell’Università (accoccolandosi sui miei libri), mi baciava, faceva le fusa appena mi vedeva entrare in una stanza, dormiva nel mio letto sino alle 5.00 del mattino, poi mi chiedeva educatamente di uscire battendomi il musino sulle guance e io le aprivo la finestra.
Un anno dopo strappammo un dolcissimo micetto nero alla morte, aveva solo 15gg quando lo portammo via dall'Elba ... Cacao diventò un gigante buono dal pelo lungo, fecero coppia fissa per 5 lunghi anni (finché dei cacciatori non lo impallinarono scambiandolo per non so che tipo di preda). Elsa partoriva valanghe di gattini (solo con me presente e sempre di notte) e poi mi affidava i cuccioli quando al mattino voleva uscire a cacciare (era una grande cacciatrice), li lasciava a me perché si fidava. Appena i micetti erano abbastanza cresciutelli trovavo loro una nuova casa, erano sempre tigrati o neri e avevano il carattere docile dei genitori, era facilissimo farli adottare. All’ennesimo parto non ce la fece, dopo una notte di agonia la portai dal nostro veterinario campagnolo, la ricoverò immediatamente, c’era poco tempo. Un attimo dopo mi chiese di entrare nella sala operatoria, non mi dimenticherò mai quello che vidi, Elsa era già sedata, sventrata e aperta come una pelle di coniglio: “Signora, alcuni gattini sono morti nell’utero e hanno generato un’infezione, ma altri, come vede, sono vivi e si muovono ancora, ma appena taglierò via l’utero soffocheranno, se invece incido l’utero per tirarli fuori l’infezione si diffonderà e ucciderà la gatta…”.
Ero sotto shock, va bene educarsi alla biologia, ma c'è un limite a tutto!

“Cosa preferisce che faccia? Salvo la gatta o salvo i gattini?”.
Sembrava la battuta di un brutto film.
“Ma che è scemo!? Salvi la gatta! Si sbrighi!!!”
Se la cavò, temevo che le cambiasse il carattere, invece smise soltanto di partorire valanghe di gattini, ma con me rimase magica. Quando mi sposai aveva quasi 10 anni, ristrutturai la nostra piccola casina di Firenze facendo inserire una gattaiola nella porta che dava sui tetti, la feci mettere per lei, ma Elsa non è mai venuta ad abitare con noi. Il mio nuovo coinquilino mi fece notare che era nata per stare libera, in campagna, che noi saremmo stati via tutto il giorno per lavoro e che avrebbe dovuto passare tante ore da sola chiusa in un appartamento, che non era il caso di farle del male rivoluzionando tutto il suo mondo, che era meglio per lei rimanere dov’era…
mi sono fatta convincere (probabilmente aveva ragione), la mia famiglia ha continuato ad accudirla per altri 5 anni e lei è diventata più dolce con tutti gli altri (prima lo era solo con me), “è vissuta meglio così” me lo sono ripetuta milioni di volte in questi anni, continuo a ripetermelo, ma io no, non sono vissuta meglio così, a me mancava da morire e appena arrivavo dai miei era la prima che cercavo, ogni volta mi riempiva di coccole, sapevo che non avrei avuto mai più la fortuna di essere scelta da una gatta così speciale.

2005, io ed Elsa

Perciò i primi anni di matrimonio ho vissuto senza un gatto, lui non li voleva e neanche io perché sono monogama e la gatta ce l’avevo già solo che vivevamo lontane (diciamo che avevamo un rapporto a distanza). Infine è arrivato anche per lei il momento di morire (ormai aveva circa 15 anni, alla faccia degli zuccheri raffinati) e ho sentito un rimorso fortissimo per non averla tenuta accanto a me, almeno negli ultimi giorni. Adesso vi sembrerò una pazza, lo so, ma devo ammettere che l’ho amata come una persona e che talvolta mi capita di sognarla ancora.
Nel 2009 ho perso qualcuno che (non me ne voglia la mia felina prediletta) era molto più importante, probabilmente feci pena a mio marito perché una domenica d'ottobre mi concesse di prendere un gattino a casa di mia sorella grande e portarlo da noi.
Tigro era un micetto meraviglioso (sembrava una tigre siberiana dagli occhi verde/acqua), ma
era agitatissimo, mordeva tutti e tutto. Elia aveva solo 4 anni, si indispettì e si ingelosì subito, tentò perfino di (s)terminarlo tirandolo contro un muro, non sono mai andati molto d’accordo.
Invece poi con Matilde grande feeling.

2009, Elia e Tigro

2015, Matilde e Tigro
Oggi è un gatto davvero bellissimo, dal manto incredibilmente vellutato, docile e molto educato (qualche volta si siede come una sfinge all’altro capo del tavolo e ci guarda mangiare senza provare mai ad allungare una zampa), però è piuttosto riservato, non fa le fusa (mai fatte, avrà la macchinetta rotta)... insomma, è poco empatico… sarà perché gli ho fatto tagliare le palle? E' vero che l’ho fatto un po’ per noi (per dargli una calmata), ma molto l’ho fatto per lui (per non farlo finire spiaccicato sui viali di circonvallazione al primo calore)... ma Tigro non lo sa che l’ho fatto per lui e probabilmente non l’ha presa bene. Poveretto, mi dispiace tanto e non sono per niente sicura che sia stata la scelta giusta. Il primo veterinaio che chiamai per informarmi sulla procedura, una volta appresa l'età del gatto, mi aggredì: "Lei è un'incoscente, probabilmente il suo gatto ha già messo incinta delle gatte!".
Gli riattaccai il telefono in faccia, che deficiente, manco fosse un reato per due gatti accoppiarsi e seguire la propria natura. Il secondo fu più comprensivo e mi disse che non era una decisione facile e che comunque spettava a me prenderla, poi aggiunse: "a forza di sterilizzare i siamesi li abbiamo estinti a Firenze, non ne vedo più uno da anni!".
Gattolinzi (il nome l'ha scelto Elia) è arrivata un anno dopo Tigro (maculata come un ghepardo, la scelsi perché mi ricordava Elsa e sbagliai, non si deve mai cercare di sostituire qualcuno che non c’è più), oggi sarebbe bellissima se non fosse piuttosto obesa, ma il problema di base è che ha gravi problemi di socializzazione (con animali e persone), non è che graffi, ma si scansa appena ci vede, cioè, ci schifa proprio, a tutti. Ricordo quando andai a prenderla a Prato da una famiglia di cinesi strappandola a un futuro certo di raviolo al vapore, a casa nostra fu accolta benissimo dal Tigro, piuttosto indifferentemente da Elia e malissimo dal terribile Gatto Nero, il bullo felino del quartiere, un’imponente montagna di pelo corvino con la testa grossa come un melone che viene a menare a ripetizione i miei gatti. Comunque fin qui tutto bene, normali schermaglie tra bestie (sai che noia altrimenti!) ed è pure stato piacevole in questi anni vedersi in diretta un documentario del National Geografic in cui si azzuffano e si lisciano tigri, ghepardi e pantere, direttamente nel mio giardino. Poi però il dramma, il Gatto Nero (tra una botta e l’altra) l’ha pure messa incinta a 7 mesi, pregustavo già i micetti e invece niente, aborto spontaneo e infezione dell’utero. Di corsa da un altro veterinario cittadino che perdeva minuti preziosi perché non riusciva a capire il nome da scrivere sulla cartella.
"Come si chiama la gatta?"
"Si chiama Gattolinzi"
"Che?"
"GAT-TO-LIN-ZI"
"Come? Una gatta di nome Linzi?"...
Sì, come Lindsay Loan... "Dia qui, glielo scrivo io, lo so che il nome è brutto,
ma 'sta bestia magari tra 2h crepa, che almeno se ne vada col suo nome".
400e di operazione d’urgenza (lei sì che è diventata una gatta di lusso!), tolto tutto il toglibile. Cambiò molto poverina,
ha cominciato a staccarsi da tutti, a soffiare e sottomettere anche Tigro, non so, magari lei li avrebbe voluti i suoi micetti e da quel giorno le botte del Gatto Nero (ripetutasi ad oltranza) hanno perso ogni senso. Perciò insomma, anche se con me è proprio ingrata, ogni tanto penso: va capita anche lei se riempie di grasso la sua pancia vuota e ce l’ha col mondo intero. 


2010, Tigro e Gattolinzi
Torniamo alla domanda: “La vuoi tu lalla?”.
Ho più di quarant’anni, ho due figli di cui occuparmi, abito in città, ho un giardino, è vero, ma ho già due gatti (di non grandi soddisfazioni) che lo hanno praticamente trasformato in una lettiera. A Elia non piacciono gli animali, o meglio, non li considera proprio, io e Matilde, noi ci andiamo matte, ma se poi questa c’avesse il carattere spregevole di Gattolinzi? E, carattere a parte; sarebbe comunque un altro essere di cui prendersi cura, insomma non ci serve proprio un nuovo felino!
Sono andata domenica 24 settembre a trovare i miei, manco la portantina mi ero portata (tanto non la prendo la gattina, inutile che ci provi la mia sorella grande!).
E l'ho incontrata, non mi pareva neanche così bellina, seccarella, abbastanza cisposa e col pelo ispido. L’ho presa in braccio, puzzava da morire (era stata chiusa alcuni giorni in una stanza con altri 5 fratelli pronti a partire per la fiera in cerca di padrone) ed era piena di pulci… poi mi ha guardata negli occhi ed è finita.
Senza portantina. L’abbiamo messa in una scatola di cartone legata con lo spago. Diluviava.
“La metto nel bagagliaio, ma Mamma, siamo sicuri che non mi scappa tra i piedi mentre guido in autostrada, vero?”.
“Non esagerare lalla, ho fatto due giri di spago, mica è una tigre, peserà due etti!”
E infatti, dopo 5’ che guidavo nella tempesta, mi arriva davanti, accosto, esco, mi bagno, la rimetto nella scatola nel bagagliaio, altri 5’, di nuovo tra i piedi (i gatti sono esseri che occupano un volume virtuale, capaci di appiattirsi e modellarsi meglio di Elastygirl per passare nelle fessure).
Allora l’ho guardata bene negli occhi e le ho detto: “Allora bruttarella, non mi va proprio di morire oggi, quindi le soluzioni sono due: o ti abbandono sul ciglio della strada, o, anche se non ci conosciamo, ti fidi di me, te ne stai buona nella mia mano sinistra e guidiamo insieme, in mezzo al traffico e sotto la pioggia”.
Credetemi, ci so fare con i gatti, siamo sopravvissute.
Appena arrivata a casa le ho fatto il bagno e se l’è lasciato fare senza batter ciglio. E’ molto diversa da Elsa, nel carattere oltreché nell'aspetto, e questo è un bene. E’ curiosa (si arrampica ovunque), ladra e un po’ petulante (mi chiama di continuo), però è molto dolce, mi lecca tutta la faccia, fa tante fusa e si fa stragiare da Matilde senza lamentarsi troppo. Inaspettatamente piace abbastanza anche a Elia. Il Tigro è un signore, insomma piace a tutti… quasi a tutti, Gattolinzi la disprezza (ma lei non conta, visto che è psicopatica). Per adesso la riparo dal gatto nero facendola dormire in casa. L’ho presa con noi senza troppe aspettative, sarà quel che sarà, spero che trovi il modo di vivere una bella vita. La mia lince è arrivata con la tempesta, ha i capelli (ops, i peli) chiarissimi e gli occhi color indaco perciò l’abbiamo chiamata Daenerys.
Benvenuta piccola regina dei gatti!


lalla 

2017, io e Daenerys
2017, Matilde e Daenerys



2017, Tigro e Daenerys