La prima settimana di settembre è stato il momento ideale: l'ho passata da sola, avevo tanta voglia di dipingere di nuovo e di trovare un modo per sentire vicina la mia bambina.
Non è stato facile cercare di cogliere l’incanto che la pervade, io c’ho provato. Il risultato non è male (lei è contenta!), ma la magia della mia Piccola Fata è troppo vasta per riuscire a catturarla in una pittura.
In ogni caso è stato un tentativo bellissimo e terribile.
Ho iniziato la mia ultima domenica di vacanza, alle 7.30, ancora in pigiama, pensando: “inizio a dipingere un’oretta e poi mi lavo/vesto/nutro più tardi” . Invece la mia Piccola Fata mi ha risucchiato senza pietà. Verso l’ora di pranzo ho avvertito una voragine nello stomaco, mi sono trascinata verso il frigorifero praticamente senza forze, ma piena di speranze… semi-vuoto, l’immagine della tristezza. Allora con un po’ di pane raffermo ho messo insieme il solito spuntino/degrado di quando sono sola: un crostone condito con olio, sale, mozzarella light e un pizzico di curry. Rinvigorita dal lauto pasto, ho trascritto velocemente sul blog un post che avevo già ultimato nella mia testa durante la notte. Mi sentivo tranquilla (di poter rimandare ancora un’oretta il tempo di riprendere la battaglia) perché avevo già superato quel terribile momento (quello che prima o poi arriva sempre) in cui sembra tutto inutile e sono tentata di buttare via quel pezzo di masonite riottoso, di ripudiarlo. Lo avevo già domato (o lui aveva domato me), quindi ho ripreso a dipingere più rilassata e ogni minuto che passava l’immersione diventata sempre più forte.
Quasi una perdita
di volontà, una sbronza. Nel tardo
pomeriggio ce l’ho fatta a riallontanarmi, mi sono staccata e finalmente ho potuto
guadare negli occhi mia figlia (nonostante lei non si trovasse lì con me), ho
avvertito una grande fierezza: in qualche modo, trascinandoci a vicenda (io e la
pittura), stavamo approdando dove io avrei voluto. Subito dopo ho iniziato a
sentire una smania terribile alla schiena e alle braccia. L’ultima ora ho
dipinto massaggiandomi e rigirandomi sullo sgabello come se mi avesse morso la
tarantola. Dolori ovunque. Ho guardato l’orologio
e mi sono resa conto che quella dolcissima tortura si era protratta per oltre
dodici ore.
Basta. Ho appoggiato il pennello, la mia mano destra, macchiata di colore, tremava.
Basta. Ho appoggiato il pennello, la mia mano destra, macchiata di colore, tremava.
Ho accarezzato il mio lavoro, l’ho ringraziato e sono scappata prima in bagno e
poi in cucina, a elemosinare un altro spuntino/degrado. Ho agguantato un
mucchietto di calorie più o meno casuale e me lo sono consumato all’americana,
accompagnato da una birra, ancora in pigiama, davanti alla TV. Più degrado di
così!
Non ho rigovernato i piatti, invece mi sono fatta una bella doccia, una dormita troppo breve (anche perché alle prime luci dell’alba il desiderio di tornare a salutare il mio aguzzino è stato fortissimo) e alle 9.30 mi sono presentata al primo Collegio Docenti con due belle occhiaie nascoste sotto l’abbronzatura.
Mi rendo conto che da vari punti di vista potrei sembrare folle: ho trovato il modo di lavorare come un’ossessa nel mio ultimo giorno di vacanza, di alienare la mia mente fino al completo distacco dalla realtà e di condurre il mio fisico allo stremo.
Non so che dire in mia difesa, tranne che quella mattina del 2 settembre, nonostante persistessero stanchezza e dolori ovunque, mi sentivo felice. Certo, dopo un’esperienza tanto intensa, mente e corpo si sono ribellati e hanno preteso almeno tre giorni prima che io potessi anche solo pensare di riprendere in mano il pennello. Poi il desiderio è tornato, fortissimo, e allora mi sono dedicata alle mani di Tinne e alla gattina.
Non ho rigovernato i piatti, invece mi sono fatta una bella doccia, una dormita troppo breve (anche perché alle prime luci dell’alba il desiderio di tornare a salutare il mio aguzzino è stato fortissimo) e alle 9.30 mi sono presentata al primo Collegio Docenti con due belle occhiaie nascoste sotto l’abbronzatura.
Mi rendo conto che da vari punti di vista potrei sembrare folle: ho trovato il modo di lavorare come un’ossessa nel mio ultimo giorno di vacanza, di alienare la mia mente fino al completo distacco dalla realtà e di condurre il mio fisico allo stremo.
Non so che dire in mia difesa, tranne che quella mattina del 2 settembre, nonostante persistessero stanchezza e dolori ovunque, mi sentivo felice. Certo, dopo un’esperienza tanto intensa, mente e corpo si sono ribellati e hanno preteso almeno tre giorni prima che io potessi anche solo pensare di riprendere in mano il pennello. Poi il desiderio è tornato, fortissimo, e allora mi sono dedicata alle mani di Tinne e alla gattina.
Nonostante pareri contrari da parte del web, fino a quando ho sentito un impulso spontaneo, sono andata
avanti.
Mi sembra, ma non so se è solo una sensazione, che ogni volta che dipingo sia
più forte e più estenuante. Intendiamoci: ho sempre lasciato che la foga prendesse
il sopravvento, che facesse di me una stronza senza rispetto del mio stesso
corpo e degli altri. Agli altri non devo più pensare (mi concedo queste
maratone di pittura o scrittura quando i miei figli non sono come me), non stanno lì nel
tentativo di ancorarmi a questo mondo e io, senza ancore, prendo il largo alla deriva. Forse sto solo invecchiando e il mio
fisico soccombe con più facilità. O forse negli anni ho davvero abbandonato sempre di
più i freni. Fa un po’ paura, in
effetti. Eppure mi chiama e io ne ho bisogno.
Dico grazie a questa mia pazza inclinazione al Disegno e all’Arte. Mi accompagna dall’infanzia, è imprescindibile dal mio modo di esistere e sopravvivere, a lei devo, bene o male, tutto quello che sono.
Non mi importa se queste mie pitture non piaceranno, io non sono “un’artista”, non sono spinta dal desiderio di realizzare il capolavoro, nè da quello di vendere o di convincere nessuno. Mi mantengo in altro modo.
Tante volte ho spiegato che sono più “una dilettante”, cioè una che disegna per diletto.
Mi rendo sempre più conto che neanche questa è la verità.
Non è mai stato così, non è un diletto (è più vicino a un tormento), bensì una necessità.
lalla
Dico grazie a questa mia pazza inclinazione al Disegno e all’Arte. Mi accompagna dall’infanzia, è imprescindibile dal mio modo di esistere e sopravvivere, a lei devo, bene o male, tutto quello che sono.
Non mi importa se queste mie pitture non piaceranno, io non sono “un’artista”, non sono spinta dal desiderio di realizzare il capolavoro, nè da quello di vendere o di convincere nessuno. Mi mantengo in altro modo.
Tante volte ho spiegato che sono più “una dilettante”, cioè una che disegna per diletto.
Mi rendo sempre più conto che neanche questa è la verità.
Non è mai stato così, non è un diletto (è più vicino a un tormento), bensì una necessità.
lalla
"la gatta della Piccola Fata", olio su masonite 70x70cm |