Caro babbo, ormai dal 2016 questa settimana è strana e in essa succedono cose strane. Ogni anno provo a festeggiare più la tua nascita che commemorare la tua morte, ma le due date sono così vicine… di fatto si sono trasformate in un unico lunghissimo giorno.
Questo 2 febbraio avresti compiuto ottant’anni, un bel
compleanno importante, se non fosse che da sette anni non ne festeggi più. Ma te
l’ho detto, ci provo io a farlo per te.
Ogni anno arrivo a questa settimana (che è anche la prima di scrutini) più
stanca e stressata, ma in mezzo alle miriadi di cose a cui stare dietro,
giovedì (che era il mio giorno libero a scuola) ho imbastito di portare i
figlioli a sciare alla Doganaccia. Una roba rilassante tipo tre ore di auto per
tre ore di sci.
Ma stattene a casa a rassettare che è meglio! Questo, come noto, il meno
possibile.
Ho pensato che fosse una cosa romantica far salire Matilde sugli sci per la
prima volta proprio per il tuo compleanno ricordando le splendide settimane
bianche che mi hai regalato da ragazza.
Però sono partita un po’ prevenuta. Conosco Matilde e immaginavo scenari di
tregenda (tipo vomito a spruzzo stile Esorcista nei tornati sopra Pistoia e scenate
di disperazione e odio feroce verso di me nei primi tentativi sugli sci). Conosco
anche me stessa e sapevo di essere davvero molto stanca, temevo di non trovare tutta la pazienza necessaria per accompagnare la novella Compagnoni. Di
non saper reggere bene la giornata e quelle seguenti. Insomma, di fare qualche cazzata.
E infatti tranquillo che la prima l’ho fatta subito: dopo una mezz'oretta di macchina
mi sono resa conto di aver preso solo il mio documento e non quello dei figli…
e se poi me lo chiedessero per lo skipass?
Alle 8:20 ho girato il culo della Multipla sui viali fiorentini completamente
tappati dal traffico e mi è presa una specie di crisi di nervi. Ero convinta di
perdere l’intera mattinata (e quindi l’intera giornata) nel tentativo di tornare
a casa e ripartire. Ero incazzatissima con me stessa e col mio cervello
fallace.
Accidenti a me che non riesco mai a tenere tutto sotto controllo!
Ma “tutto” è tanto davvero, credimi. Il lavoro, la famiglia, la casa… la
gestione e l’organizzazione di ogni singolo impegno è sulle mie spalle. Solo
sulle mie. Sempre.
A questo giro, mettiamoci anche la gatta in procinto di partorire e che da
mercoledì sera miagolava insistentemente. Non è una novizia, ma ero preoccupata
e prima di partire l’ho chiusa in bagno con tutto l’occorrente augurandole
buona fortuna.
Insomma, scusami se ogni tanto mi perdo per strada qualche pezzo, poi lo
recupero. Anche tu ne perdevi, sai? Anche se non lo volevi mai ammettere.
Torniamo a giovedì, urlo e mi dispero in auto (con la Matilde che ha già
cominciato a vomitare prima ancora di aver lasciato il centro città), ma riesco
a recuperare i documenti e ritornare sul tracciato perdendo “soli” quarantacinque
minuti.
All’arrivo a Cutigliano eravamo in tempo per la funivia delle 10:30, dai, non andava
così male… e quindi la macchinetta del parcheggio, tanto per ristabilire un po’
di incazzatura, ha pensato bene di fregarmi dodici euro, maledetta stronza!
Chissenefrega: arrivati in cima, c’erano un sole splendido e una neve da
favola.
La giornata è poi proseguita come previsto, poca pazienza mia, crisi di nervi e
rabbia della piccola comprese. L’ho trainata per ore sul camposcuola con le mie
mani, sciando a spazzaneve al contrario e tutto sommato così non andava malaccio.
Poi le ho preso un’ora il maestro per sbloccarla (e concedermi almeno due rosse
fatte nella direzione giusta e ad alta velocità), ma quello le ha fatto battere
una bella musata e dopo si rifiutava ancora di più. A quel punto non sono riuscita
a mantenere la calma e quando si impuntava urlandomi contro, anche io le ho
risposto male. Dopo mi sono sentita terribilmente in colpa. Poi mi sono ricordata
di te che prendevi la Chiara a racchettate in testa perché si era bloccata su
un “muro” (in seguito si scoprì che aveva pure la polmonite, poverina). Eppure ti
consideriamo un bravo babbo lo stesso.
Insomma, forse anche i miei figli mi perdoneranno di aver sclerato un pochino qualche
volta. Ci spero.
Mi consola anche che alla fine della giornata al Piccola Fata abbia accettato
di tornare l’anno prossimo (probabilmente più allettata dagli scivoloni sulla
neve e dalla polenta fritta con ragù del rifugio, che dalle piste).
In tutto questo, Elia si è divertito molto e posso giurarti che, aspettandolo alla
fine di un curvone della splendida pista Faggio di Maria (che vista c’era dal
cucuzzolo!), l’ho guardato sciare e mi sono commossa: mi sembrava di vedere te.
In questi quattro anni senza salire sugli sci il suo corpo è cambiato, è diventato
grande e grosso e ora curva “di potenza” restando rigido come un legno, proprio
come facevi tu.
L’ultima pista me la sono fatta da sola pochi minuti prima che chiudessero gli
impianti, ho lasciato la prole a giocare su un monte di neve e l’ho discesa tutta
di fila. Me la sono mangiata. Sono passati così tanti anni da quando ci portavi
sulle Dolomiti e io non sono certo una sportiva, ma scio ancora come una volta.
Ad un certo punto il tracciato spianava leggermente, mi sono messa dritta con
le mani aperte per percepire tutta la velocità, ho guardato il cielo, la luce
che filtrava tra gli alberi, la neve, ho ascoltato il silenzio e ti ho augurato
buon compleanno.
Ti confesso che il giorno 3 pensavo di non riuscire a muovere un muscolo,
invece guarda, ho ancora un discreto fisichino perché mi sono alzata piuttosto
pimpante (nota bene che tua nipote di otto anni era piena di acido lattico).
Ma insomma, quello passa, invece la gatta era ormai oltre il termine, si
lamentava e non era riuscita ancora a partorire un bel niente e su quel fronte
ero davvero preoccupatissima.
Ma era venerdì e c'erano inesorabili impegni scolastici, quindi a malincuore l’ho
rinchiusa di nuovo in bagno e sono andata a fare lezione; intanto ho chiamato
il veterinario e mi sono accordata per portargliela alle 15.30 se ancora non fossero
nati. Alle 14.15 sono tornata da scuola e ho passato un’ora insieme alla gatta sul
pavimento del bagno accarezzandola, massaggiandola e sperando che riuscisse finalmente
a partorire. Ma lei poverina soffriva molto e mi guadava facendo le fusa e miagolando
come per dire: “Fai qualcosa tu”.
E io che altro potevo fare? Alle 15.30 l’ho affidata al veterinario (lui le ha
fatto una puntura d’ossitocina e mi ha detto che se non avesse partorito entro
le 17.00, l’avrebbe operata) e io sono corsa a fare gli scrutini.
Alle 18.30 sono tornata a prenderla, anzi, a prenderli. Ho messo nel trasportino
la mia povera Daenerys squartata, deprivata degli organi riproduttivi e completamente
inerte (ancora sotto l’effetto dell’anestesia) e in una scatola di cartone
piena di cotone tre piccoli micetti bianchi.
Il dottore mi ha detto che potevo provare ad allattare i piccoli con una
siringa e di tenerli al caldo nella scatola magari accanto al termosifone (ma
quello mica sta aperto tutta la notte!). Mi ha anche detto che avrei potuto provare
ad attaccarli alla mamma la mattina seguente, non prima perché altrimenti così
incosciente li avrebbe schiacciati.
“I cuccioli posso portarli nel letto con me, così li tengo al caldo?”
“Ma sono minuscoli, anche lei potrebbe schiacciarli!”
Bravo questo dottore, ma un po’ fissato con lo schiacciamento, non è che mi
metto a rotolarmi come una scema con tre topini di dieci centimetri sotto le
coperte e comunque avevo intenzione di tenerli accanto a me in una cestina.
Una volta arrivata a casa per fortuna ero sola (i figlioli erano dal padre). Ho
messo la scatola con i cuccioli sul termosifone e ho sistemato la gatta in una
cesta. Giuro, così rigida e fredda, faceva paura. Uno dei gattini era arrabbiatissimo,
aveva molta fame e cercava di arrampicarsi fuori dalla scatola, ma in compenso
la mia proposta di abbeverarsi dalla siringa lo ha fatto incazzare ancora di
più. La femminuccia era più tranquilla e metà siringa l’ha ciucciata. L’altro
maschietto era quasi morto, freddino e inerme, non era proprio possibile nutrirlo
così e mi sono resa conto che al giorno dopo non ci sarebbe arrivato mai. E
forse, neppure gli altri. Tenerlo nella mia mano boccheggiante mi ha dato un
senso di capogiro, l’idea di lasciarlo morire così, per inedia, mi ha disgustato.
Ho preso una decisione: dovevo subito tentare di far attaccare i gattini alle
mammelle di Daenerys (anche per sviluppare la lattazione e fargli prendere il
suo odore). Potevo manovrare io la situazione per tutta la notte, tra una “poppata”
e l’altra li avrei tenuti al caldo nel mio letto. Non avrei potuto sostituirmi
a mamma gatta, ma dovevo almeno provare a darle una mano. Provare a fare
qualcosa. Dormire in certi casi, è un bidogno trascurabile. D’altronde, sette anni fa passammo
la stessa notte al tuo capezzale. Ho provato ad accompagnare loro verso la vita
con la stessa dedizione con cui accompagnammo te verso la morte.
Io sono fallibile, è vero, ma anche molto determinata: ho passato la nottata
come previsto e cioè sveglia sul pavimento del bagno oppure sveglia nel mio
letto e nessuno è stato schiacciato da nessuno, sia chiaro. Il più vivace si è attaccato in due secondi,
la femminuccia ha penato un pochino di più (era anche un po’ sazia); a forza di
massaggini e di inserirgli un capezzolo a forza in bocca, verso le 4.00 anche quello
morticino è riuscito a poppare (sostenendogli la testa) e, alle 7:00, anche senza
sostegno.
La gatta ha iniziato ed essere davvero vigile al mattino di sabato 4 e ha preso a leccarli,
così alle 10:00 glieli ho affidati sperando in bene; mi sono fatta una doccia e
sono salita in auto per venire a San Giovenale e ricordarti insieme al resto
della famiglia.
Guidando in autostrada da sola mi sono commossa di nuovo. Mi succede qualche
volta tra il casello di Firenze sud e quello di Incisa perché per tutto il
liceo e l’università abbiamo percorso quel tratto di strada insieme, ogni mattina
e ogni sera, io nel posto del passeggero e tu alla guida.
Spesso ti ricordo così, col volante in mano. Le chiacchierate (e le litigate) che
facevamo, io e te zitti praticamente mai. E ricordo perfettamente la sensazione
di stare seduta su quel seggiolino completamente rilassata, perché in verità io
mi fidavo ciecamente di te. Anche se guidavi in modo un po’ troppo aggressivo
andando sotto al culo delle auto prima di sorpassarle. Anche se sospettavo che non
rispettassi la distanza di sicurezza, ma sarebbe stato chiedere troppo. D'altronde, ritenendoti infallibile e
immortale, era chiaro che il pensiero di poter commettere un errore o di non poter reagire in
tempo a quello di un altro, non ti sfiorasse neppure. Ti è andata
sempre bene, in auto.
Però babbo, come purtroppo la storia ci insegna, anche tu non eri immortale.
Eppure, in un certo senso lo eri e lo sei. O meglio, lo sarai finché anche io
vivrò.
Fino ad allora non preoccuparti: ci penserò io a portarti con me su
quell’autostrada, come per tanti anni hai fatto tu.
lalla
P.S. Oggi è il 5 e i gattini sono ancora vivi, non so se Daenerys riuscirà a prendersi cura di loro oppure se presto si sdegnerà e deciderà di abbandonarli alla morte. Sarebbe comprensibile dato che soffre molto durante l’allattamento, ma io spero che resista e che loro se la cavino. Lo spero per lei che è sempre stata un’ottima mamma e che così potrà godersi i suoi ultimi cuccioli fino allo svezzamento. E lo spero per te che sei nato e morto in questi stessi giorni. Se quei piccoli animaletti possiedono anche solo la metà della tua voglia di vivere, ce la faranno e per questo portano tutti il tuo nome: Beppe, Beppino e Giuseppina (detta Giusy).
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