domenica 22 novembre 2020

45 anni, ormoni pazzerelli via da me

Da brava streghetta, ho compiuto 45 anni in un piovoso giorno di novembre poco dopo Halloween.
Tutto bene, ma porca miseria, c’è un problema.
Lo so che a tutti piace pensare a me come a una donna felice, una madre innamorata e un’insegnante equilibrata. Insomma a una persona capace di gioire delle piccole cose e animata da sentimenti profondi. Almeno l’80% del tempo lo sono, ve lo concedo.
Poi però c’è un 15% in cui sono sopraffatta dalle giornate inchiodata davanti al pc, dalle incombenze della didattica a distanza, dalla gestione giornaliera di tutta la baracca, un 15% in cui sono in affanno e pericolosamente in procinto di sclerare.  
Un piccolo esempio di fusione mentale, il giorno del mio compleanno, tra una lezione e l'altra, io e la Piccola Fata ci siamo messe a fare una torta senza grassi, grande giubilo fino al momento in cui ho messo 150g di sale al posto di 150g di zucchero! Che peccato buttare tutto, ma 150g di sale sono tantissimi, ci vorrebbero 5 kg di farina per diluirli e farci una pastella... quindi, per la gioia dei figlioli, abbiamo festeggiato con una bella e grassissima frittura al posto della torta salutare e, nei quattro giorni successivi, valanghe di crepes alla Nutella!
In ogni caso, se siete un minimo ferrati in matematica, capirete che non è finita e che questo non è il peggio.
Il peggio è cosa provo nel restante 5% del tempo e mi capita di provarlo sempre quando sono sola.
Io sono sola, questa merda di coronavirus me lo ricorda ogni giorno di più.
Mi sembra già di sentire levarsi cori di dissenso: “ tu non sei sola: hai i tuoi figli!”, “tu non sei sola: hai i tuoi studenti!”, “tu non sei sola: hai la tua mamma!”, “tu non sei sola: hai parenti e (pochi) amici!”
A parte il fatto che i miei studenti (non) li vedo solo in video (il 90% tiene la telecamera spenta), la mia mamma la sento solo al telefono e i miei parenti/amici solo su whatsapp. Esistono persone più sole di me e su questo siamo pienamente d’accordo. 
La mia mamma mi adora (non ho dubbi), i miei figli mi amano (non ho dubbi), la maggioranza dei miei studenti non solo mi segue, ma mi ammira (e anche su questo non ho dubbi).
E allora?
E allora prima di tutto nessuna di queste persone mi ha scelto!
Sentirsi scelti è una sensazione meravigliosa (io lo so, me la ricordo), “capitare” è un po’ meno esaltante.
Voglio dire, la mia mamma e i miei figli non hanno avuto un’alternativa, non potrebbero fare a meno di amarmi.
Ecco, mi piacerebbe che qualcuno mi scegliesse, mi piacerebbe tanto. 
Quando di rado mi viene commissionato un quadro è questa la sensazione che sento ed è davvero appagante. Il mio sogno proibito è che arrivi un editore che mi sceglie per pubblicare un mio libro… ma ora concentriamoci su questioni un pochino più veneree e torniamo sul pezzo.
Sono cresciutella e l’ho capito che i rapporti di coppia nel 90% dei casi sono fallimentari, non ti fanno sentire “scelta” e ammirata, non rafforzano la tua autostima, ma anzi la distruggono. Nella stragrande maggioranza dei casi i rapporti con l’altro sesso appagano (e ti rincoglioniscono completamente) giusto i primi tre mesi (il tempo dell’innamoramento), poi o ti annoiano oppure ti creano dipendenza e ti legano in un modo più o meno malato. Insomma: sono un’enorme complicazione emotiva e un grande spreco di energie. Ricordiamoci che le mie energie sono già alla frutta e che per il 15% del tempo vivo sull’orlo di una crisi di nervi. “E allora che vuoi? Dovresti sentirti grata di non avere un altro essere di cui prenderti cura e preoccuparti!”
E infatti il mio cervello lo capisce: sono fiera di potermi comportare, esprimere e vestire come mi pare (senza preoccuparmi di dover piacere a un eventuale compagno) e sono felice della mia vita libera, evviva!
Sono i miei ormoni a non capire un tubo, quegli stronzetti da più di un anno si sono risvegliati e non mi danno pace.
Cavolo, leggo romanzi d’amore/erotici, ma vi rendete conto? 
Robe pietose pensate per adolescenti vogliose e casalinghe disperate (quale forse sono, è bene che me ne renda conto). Trame tutte identiche dove lei è sempre una santarellina inesperta e lui un fascinoso tenebroso che viene a salvarla/concupirla/traviarla. Qualcuno si è reso conto che le saghe di “Twilight”, “50 sfumature di grigio”, “the King” e “After” hanno tutte la medesima trama? L’unica differenza è che il bel tenebroso una volta è un vampiro, una volta un maniaco sessuale, una volta un boss della malavita e infine un alcolizzato poeta maledetto.
Sempre bravi ragazzi insomma! Eppure tutti si innamorano della protagonista, che, pur essendo una povera sfigata, in verità è “speciale” e alla fine “salverà” il suo principe oscuro.
Sindrome della crocerossina a go-go! Bisognerebbe che mi mettessi di buzzo buono e scrivessi una variante con la povera studentella e l’insegnate perverso…
Magari un giorno ci provo e ne sortisce qualche soldino, ma per adesso la cosa più deprimente è che mi piaccia leggere queste schifezze! Non c’è speranza. E’ tutta colpa degli ormoni… maledetti!
Ovvia, ormai ho 45 anni, quando arriva la menopausa? Vi prego, ditemi presto, mi ci vuole il prima possibile!
La soluzione sarebbe un toy-boy (meglio un toy-man) senza tante pretese (dovrebbe stare alla larga dal mio ordine famigliare), propenso a soddisfare i miei bassi istinti (dovrebbe desiderami dolorosamente) e pure a coccolarmi parecchio (sì, perché dovrebbe anche adorarmi e alle coccole non ci rinuncio, mi piacciono da morire!). 
Ma io dove lo trovo il tizio in questione? 
Se anche in precedenza l’opzione mi pareva irrealistica (perché mai il sexy-man dovrebbe essere rimasto solo e poi perfino innamorarsi di me?), ma adesso poi: vi rendete conto che da un anno siamo immersi in una pandemia mondiale?!
Ma proprio nel 2019 mi si dovevano risvegliare gli ormoni? Ormai non potevano rimanere “in lutto” fino al 2022? Così, tanto per dire…
non so cosa aspettarmi (e augurarmi) per il futuro: cesserà prima la mia fertilità o il covid-19?
Mi pare parecchio improbabile che durante la mia spesa bisettimanale al Carrefour, mascherata e distanziata, carica di buste come uno sherpa, incontri il tipo losco e sexy che farebbe al caso mio.
Vabbè via, si tratta solo di un 5% del tempo... accetterò il mio destino di Strega solitaria e farò un pensierino sul regalarmi a Natale un abbonamento ad Harmony, tante le volte esistesse ancora.

lalla

sabato 17 ottobre 2020

2020

Prima di dipingere qualcosa che riguardasse questo anno, volevo aspettare che passasse.
Volevo che prima si concludesse questo schifo di pandemia. Ma non passa, non si conclude. La gente non ha mai smesso di morire in tutto il mondo e a ondate il virus ritorna e si impadronisce di nuovo di paesi che aveva già massacrato. Proprio adesso sta riprendendo forza qui in Italia. La gente muore. “ma solo 83, mica 830 come a aprile” Solo 83? Cioè 83 vittime in un giorno sarebbero poche? Quando sento la frase “ma avevano tutti una patologia pregressa” oppure “ma erano anziani”, giuro, mi verrebbe voglia di tirare uno schiaffo. Non esistono affermazioni più violente e terribili. Cosa significa? Che i malati, gli immunodepressi e gli anziani tanto vale che crepino e chi se ne frega? Cos’è, solo perché sono più deboli, non hanno il nostro stesso diritto di vivere? 
Questo anno maledetto mi fa ancora tanta paura, soprattutto pensando alla mia mamma, vorrei tanto che questa catastrofe fosse già finita e che lei se la fosse già cavata. 
Ma c’è una sensazione più forte che provo, più della paura, io provo disgusto. Mi disgustano il qualunquismo, l’egoismo, l’arroganza e la prepotenza delle persone. Ho dovuto sopportare di essere presa per il culo (da conoscenti e sconosciuti) perché anche d’estate indossavo una mascherina (per proteggere gli altri). Ho dovuto sopportare di non poter più uscire di casa dopo le 19.00  visto che, appena è terminato il lock-down, ha ripreso ad accalcarsi ogni giorno nella mia via un centinaio di persone, ogni giorno almeno una ventina si ammucchia (anzi, più politicamente corretto: si assembra) sugli scalini della mia abitazione, mangia e beve in terra, si sbaciucchia, si abbraccia, si spintona e allegramente socializza rendendomi di fatto impossibile il passaggio con la mia bambina. Il loro “sacrosanto” diritto alla libertà calpesta totalmente il nostro. Ho dovuto osservare e sopportare la strafottenza dei menefreghisti e il menefreghismo delle forze dell’ordine che non hanno mai fatto rispettare le regole a nessuno. In classe, ho dovuto (devo) sopportare di dover far lezione con la mascherina sempre indossata, gesticolare più di Alberto Angela e sollecitare al massimo le corde vocali nel tentativo di interessare e farmi comprendere. Il bello è che entro in un’aula con 20-25 studenti senza mascherina e devo fa finta che tutto questo vada bene, dopo averli visti ogni giorno accalcarsi e fumare giulivi all’ingresso e all’uscita da scuola. Nonostante escano decreti che obbligano a indossare la mascherina all’aperto e proibiscono di organizzare una cena con più di 6 persone in casa perché al chiuso l’aria si satura prima ed è più facile trasmettere il virus… ah, sì? E in classe invece 25 senza mascherina va bene? Siamo sempre i più imbecilli, noi insegnanti.
Questo anno mi ha reso ancora più sola. Io che stavo sul culo a quasi tutto il mondo, adesso ho praticamente tolto il quasi. 


Ma torniamo alla pittura, se tutto questo non finisse mai? Probabilmente non finirà con la fine del 2020, ma io non potevo più aspettare.
Così ho iniziato questo progetto e l’ho fatto come sempre e cioè senza alcun desiderio di inviare messaggi e verità all’Universo Mondo. Avevo solo bisogno di dipingere.
Ho svuotato al mente e pensato a questo periodo nell’unico modo in cui riesco a pensare e cioè per immagini perché l’unico senso che mi compete è la vista.
Certo, sono anche golosa, ma il mio fegataccio mi ha costretto a rinunciare a tante cose. L’olfatto di una mamma credo che sia geneticamente progettato per stare in disparte in modo da poter cambiare pannolini e pulire vomito senza troppi tormenti. Non ascolto quasi mai la musica, la fischietto tutto il giorno, questo sì, evidentemente il mio udito deve essere abbastanza ovattato per sopportare certi sibili. Il tatto mi interessa soprattutto per dare carezze. Probabilmente tutti i miei sensi sono all’erta, ma potrei scommettere di avere il sesto senso molto più sviluppato dell’udito, in ogni caso, la vista è regina.
Tutta la mia vita è guardare, è indagare con lo sguardo e rubare con gli occhi, io ho imparato (e imparo) con la vista, tutta la mia memoria è visiva, è composta di immagini. Mi accorgo dei dettagli e comprendo l’insieme. Sono un’ottima osservatrice.
La pittura è vista e selezione.
Qual è la caratteristica visiva più forte del 2020?
C’è stato un enorme cambiamento iconografico e l’hanno prodotto le mascherine, le maledette e indispensabili mascherine.
Ci siamo abituati a non guardarci più la bocca e il naso. Ripenso alla primavera, alle uscite con cadenza settimanale per fare la spesa, preparavo una mascherina rudimentale con la carta da forno e mi mettevo in coda fuori dal supermercato, vedevo solo occhi e quasi sempre erano diffidenti, avevano paura e voglia di cambiare direzione.
Ci siamo abituati a non vedere più le bocche, a non vedere più i sorrisi.
Lo dico da mesi: io la mascherina non me la toglierò più, finché non sarà finita. La porto per rispetto alle migliaia di morti in Italia, ai milioni nel mondo, la indosso nel disperato tentativo di non peggiorare la situazione, di salvare anche solo una vita e la indosso anche in segno di lutto, come indosserei una fascia nera al braccio (ma la indosso sulla faccia perché legata al braccio come la portano in molti non serve proprio a niente). La mascherina è scomoda e ci si respira male, la mascherina è una violenza, ma che da mesi mi faccio da sola. Forse non servirà a niente, ma non potrei mai convivere con il senso di colpa, col pensiero di aver sottovalutato la situazione e messo a rischio la vita di altre persone.
Perché è vero, sto sul culo al mondo e molte persone mi disgustano, ma non le vorrei morte mai e poi mai. Io voglio che stiano tutti bene, negazionisti e stronzi compresi, io voglio che il virus se ne vada.
Indosso la mascherina e nessuno vede più la pinna di squalo che emerge in mezzo alla mia faccia, ma soprattutto, nessuno vede più il mio sorriso. Io sono il mio sorriso, io senza sorriso, non esisto. Nessuno, a parte i miei figli, lo vede più.

Avevo voglia di dipingere questo, niente di più.
Mi sono messa a farlo e ho iniziato a soffrire.
Quando a scuola cerco di riassumere la differenza tra gli Impressionisti e gli Espressionisti, sintetizzo dicendo che i primi “dipingono quello che vedono” e i secondi “dipingono quello che sentono”.
Io dipingo quello che vedo e, mentre dipingo, sento. Sento fortissimo.
Mi ha investito la tensione di mesi, ogni pennellata ripensavo alle vittime, al distacco forzato, alle privazioni, all’incertezza per il futuro. Non è stato facile gestire tutto questo, è stato proprio un anno di merda questo 2020. Eppure la pittura mi fa sempre bene, ogni pennellata mi faceva stare malissimo, ma tirava tutto fuori e, infine, lo allontanava. La pittura scarica la tensione, consola.
Quando la sofferenza ha iniziato ad attenuarsi, ho cominciato a divulgare alcuni “work in progress”, come sempre è successa una cosa che dovrebbe lusingarmi e che invece mi infastidisce tanto. Molte persone che stimano il mio lavoro preferirebbero che non terminassi i quadri, che li lasciassi non-finiti “lascialo così!”. Sembrerebbero commenti carini, lo so che lo sono, ma il fatto è che insistono, insistono sempre molto, anche se io rispondo gentilmente che no, ho intenzione di andare avanti.
Per me è particolarmente difficile riuscire a spiegare a queste persone quanto si sbagliano.
E’ una questione di scopo, il mio è molto diverso dal loro. Probabilmente un lavoro non-finto sarebbe più affascinante e fresco, ma io non dipingo per questo: per creare una buona immagine o qualcosa di accattivante. Non dipingo inseguendo l’approvazione del pubblico (ma quale pubblico poi? Non espongo neanche!).
Provo a spiegarmi di nuovo: io dipingo solo perché ne ho bisogno.
La mia pittura è una cura per la vita, per la mia vita.
Non potrei mai fermarmi per creare un quadro “più bello”, ma chi se ne frega della bellezza? Finché sento il bisogno di andare avanti, io DEVO andare avanti e mi dispiace per il resto del mondo, io non riuscirò mai a fermarmi prima. E non riuscirò mai ad andare oltre. Quando il bisogno si esaurisce, poso il pennello: è tutto a posto, è tutto finito e io non tornerò a dipingere per molto tempo.
I miei quadri forse non saranno mai abbastanza belli, desidero solo che siano abbastanza veri.

lalla


"2020", olio su masonite, 46 x 63 cm,
è ancora bagnato, in foto ci sono strani riflessi



domenica 30 agosto 2020

maggiorata, stagionata e fiera

Io non lo so se esista al mondo una donna che se ne sia sempre fregata del proprio aspetto fisico, io me lo auguro che esista, con tutto il cuore, questo essere superiore, ma non ci scommetterei. 
Non sono mai stata magra e longilinea, ma in gioventù neanche oggettivamente grassa o brutta. Eppure ho passato tutto il liceo, il periodo della mia vita in cui sono stata più tonica e fresca, a vergognarmi. D’estate poi, ogni volta che mi infilavo un costume soffrivo e tenevo il fiato (quello ancora adesso a dire il vero), neanche lo sport nazionale di tutta la spiaggia fosse stato guardare me e criticare le proporzioni imperfette del mio corpo. 
All’università ho capito di essere diventata belloccia, ma in un modo che non mi piaceva affatto. Non ero alta e statuaria come avrei desiderato essere, bensì un piccolo concentrato di curve e messaggi fuorvianti (bocca carnosa e seno prorompente) che scatenavano nei maschi reazioni insopportabili. Non mi riusciva fare una conversazione senza che mi guardassero le poppe, eh no, porca miseria, io volevo essere ascoltata! 
Mi sono impegnata al massimo per essere, aspetta, com’è che ha scritto di recente quel cane di giornalista a proposito di una direttrice d’orchestra “brava come un uomo” in modo che “l’orecchio non sentisse la differenza”? Anzi, avevo deciso di essere parecchio più brava di qualsiasi uomo e donna, tanto per andare sul sicuro. E, a proposito del mio aspetto fisico, mi sono sentita in dovere di nascondermi, di eliminare il problema: in facoltà mai uno scollo, mai un abito aderente, mai un rossetto. 
Se ci ripenso, che rabbia, che bocca magnifica avevo, che peccato non aver avuto la sfrontatezza di colorarla tutti i giorni a festa!
A 25 anni sono entrata nel mondo del lavoro e ho continuato sulla mia strada: serietà e impegno al 100% e in ambito lavorativo mantenere un profilo meno femminile possibile. Come architetto, come ceramista, poi come insegnante.
Avevo 28 anni quando sono entrata in classe per la prima volta, sembravo una liceale (il bidello mi brontolava nel corridoio e così avevo preso l’abitudine di girare con il registro davanti alla faccia, bei tempi, adesso non mi prende più nessuno per una studentessa!). Il solo pensiero che gli studenti maschi, invece di seguire i miei discorsi, potessero far pensieri erotici su di me mentre spiegavo, mi dava la nausea. Quindi solo jeans, scarpe da ginnastica e golf larghi.

Ho fatto male, ho sbagliato per anni. 
Come supplente ho girato molto e praticamente in ogni Istituto ho incontrato la prof-panterona-sexy, con tacco 12, tutta scollacciata e fasciata di pelle e pizzi, ora, non dico che avesse ragione lei a porsi in questo modo, ma non l’avevo neanche io a mettermi un sacco in testa. Non c’è niente di male a essere una donna e neanche a essere una donna formosa o, come diceva il mio babbo, maggiorata. Nel privato ho imparato presto ad andarne fiera, ma per anni a scuola mi sono affannata a nascondere la mia femminilità. Lo facevo perché volevo essere presa sul serio e mi preoccupavo troppo di cosa avrebbero pensato i miei studenti maschi, così ho finito per dimenticarmi delle mie studentesse femmine.
L’insegnamento funziona soprattutto seguendo il fenomeno del modellamento (loro ti guardano e, senza neanche rendersene conto, ti imitano). Cioè: se voi che la tua classe si impegni al massimo, devi impegnarti al massimo. Se vuoi che rispettino i tempi di consegna fissati per gli elaborati, devi riconsegnare le verifiche celermente tu stessa, e così via. Io voglio che le mie studentesse crescano libere e sicure di se stesse, non posso veicolare il messaggio che la femminilità sia qualcosa da nascondere.
Da almeno una decina d’anni mi trucco e mi vesto in modo più femminile (non volgare), se i maschietti fanno pensieri strani vuol dire che hanno scariche di ormoni incontrollate verso un’insegnate che potrebbe essere la loro mamma e questi sono problemi loro. 
Sì, se davvero gli uomini ogni 7 secondi pensano al sesso (come dicono certe ricerche) sono problemi degli uomini e non delle donne. Non siamo noi ad avere la responsabilità di dover raffreddare i loro bollenti spiriti. Non siamo più nell’Era preistorica, la trovassero da soli una maniera di non essere ingrifati dalla mattina alla sera.
In ogni caso, non è tanto perché sei troppo sensuale, ma perché c’hai un po’ di pancetta e ormai non sei più una ragazzina, meglio coprirti… Eh no! Basta anche con questa storia di dover per forza rispondere a un canone di perfezione, non è che quando usciamo di casa andiamo a sfilare per un concorso di miss Italia. In questi giorni gira la polemica sulla scelta di Gucci di usare una modella con un volto dai lineamenti anticonvenzionali e decisi, è stata massacrata dalle critiche in rete, le hanno dato di cozza senza pietà. Ogni tanto se la sono presi anche con i piedi della Ferragni (ora, a me della Ferragni non frega nulla, ma mi sembra oggettivamente gnocca e che la gente abbia da ridire sulla forma dei suoi piedi, mi spaventa). Questa storia dell’aspetto fisico non è una scemenza come potrebbe sembrare. Alle mie studentesse spiego cosa sia il modello ideale greco, ma non voglio certo portarle a desiderare di esserne dei cloni, voglio che imparino ad andar fiere di particolarità, stravaganze, cicatrici e anni che passano. 
Per questo vado a scuola con il giubbotto foderato di pelo rosa fuxia, perché mi (ci) mette allegria, lo so che è disturbante, alcuni colleghi mi guardano male, bene così. Per questo non mi tingo i capelli (non capisco perché gli uomini debbano migliorare diventando “brizzolati” e noi donne “grigie” si faccia così schifo) i miei capelli sono lunghi e profumati, liscissimi come seta e rigati d’argento, bene così. Per questo sorrido spesso e non riesco a omologarmi e a tenere un basso profilo, dico sempre come la penso e lo faccio con voce troppo alta e squillante, essere me stessa spesso mi costa il prezzo della solitudine e ogni tanto fa male, ma va bene così. 
Noi donne siamo fin troppo complessate, ora, magari ce lo abbiamo scritto nel DNA, ma diciamo che una spintarella in questo senso ce l’hanno data un po’ tutti da quando siamo venute al mondo. Non hanno fatto altro che ripeterci ogni giorno (e in modo anche altamente contraddittorio) come dobbiamo o non dobbiamo essere, cosa dobbiamo o non dobbiamo dire, come dobbiamo o non dobbiamo comportarsi… ma che palle!!! Che poi ti dicono sempre che questi “consigli” sono per il tuo bene, per proteggerti, perché “sei donna”...
Come se in qualche modo fossimo noi le responsabili degli sfruttamenti, delle angherie, delle violenze e dei soprusi che il sesso forte ci infligge da millenni. Non di rado si arriva all’assurdo: “Il marito la picchiava da anni, ma la colpa è sua che ci stava insieme, perché non l’ha lasciato?” (come no, infatti le poveracce che vengono ammazzate ogni 3gg quasi sempre avevano pure avuto il coraggio di denunciare, ma non le ha aiutate nessuno). “L’hanno aggredita, ma d'altronde girava in strada da sola di notte…” In che senso, qual è il nesso logico? “L’hanno violentata, ma aveva la minigonna: se l’è cercata”… stiamo scherzando??? 
La prossima volta che sento dire pubblicamente una stronzata del genere giuro che per protesta giro con un fazzoletto raso-passera per un mese e organizzo una marcia notturna in disabilié. 
Questo argomento è molto serio, i
o credo che dovremmo cominciare tutti (e in modo decisamente più coerente) a lasciar perdere le lezioni sull’estetica, il galateo, il modo giusto di atteggiarsi e di parlare, invece dovremmo accettare un po’ di più come siamo fatti noi stessi e come sono fatti gli altri. Le apparenze e i gusti personali non ci competono. Dovremmo andare al sodo, spiegando fin dalla culla (e poi a scuola), sia alle femminucce che ai maschietti, cosa siano Amore e Rispetto. 
Proviamoci. Io ci provo.

lalla

P.S. il 27 agosto 1997 (4gg prima che morisse la povera Lady D) mi sono spaccata la testa cadendo in bagno (un bel 7 nel cranio, sull’Occipitale), m'è andata parecchio bene. Di solito a fine mese festeggio la mia sopravvivenza con qualche foto auto-celebrativa che inneggi alla (mia) vita, con una danza, quest’anno ci vado cauta perché sono un po’ dolorante (lasciamo perdere, và, prima o poi mi tocca rifarmi un’anca bionica). Poco più di una piroetta, senza vergogna e anche per rassicuravi che (anche essendo arrivata a -7 kg) non è che sia diventata un’acciuga, non sia mai! Solo un po’ più stagionata, ma sempre maggiorata sono!
Non preoccupatevi, con questo vestito in classe non ci vado, ma facciamola poco lunga che vi siete guardati gnudi e crudi in spiaggia fino ad adesso.

Anche quest’anno (come l’anno scorso), le foto me le ha scattate la mia Matilde dell’Amore.








martedì 25 agosto 2020

un po' di genetica felina a casa mia

Un avvertimento: parlerò di genetica felina e a quasi tutti non fregherà nulla di leggerne, quindi potete smettere subito e amici come prima. Questo argomento interessa solo ai gatto-fili, che sono una specie umana a parte, come livello nerd appena uno scalino sotto ai fumetto-fili, ma decisamente meno gravi dei Barbie-fili (in odore di pazzia). 
Io sono tutte e tre le cose, pensate un po’ come sono messa…
Ma la genetica felina è una ganzata e dà molta più soddisfazione di quella delle mendeliane piantine di fagioli. Con i fagioli (dopo averli incrociati) puoi segnarci i numeri nella tombola o al massimo metterli nella minestra, invece con i gatti puoi farci di tutto: litigarci perché sono birboni e rompono tutto, brontolarli perché sono disubbidienti (e parecchio ladri), coccolarli perché sono morbidosi e nascondono motorini per le fusa, parlarci perché ascoltano volentieri (e sanno tenere i segreti), starli a guardare mentre si fanno i cavoli loro (e ti considerano zero) perché sono animali di rara bellezza, amarli perché sono capaci di grandi slanci di tenerezza e galanteria spontanea. I gatti non ti riconoscono come padrone, sono creature libere e scelgono con la propria testa, ma se ti vengono a sbaciucchiare (le poche volte che non sono in cerca di cibo) vuol dire che gli garbi parecchio!
A dire il vero mi sa che c’ho capito poco anch'io sulla genetica felina sicché questo post mi servirà più che altro per appuntare un po’ di “scoperte”, far ragionamenti e col tempo verificare se c’avevo azzeccato.
Insomma, esiste un raro gene nei gatti che ho sempre adorato e che si chiama “gene dell’Himalaya” (lo indicherò con H, anche se di sicuro non si fa così, ma chissenefrega, mica mi devo laureare!). 
H è un gene recessivo, quindi se si manifesta significa che il gatto ha entrambi i geni HH. La presenza del doppio gene HH comporta una sorta di albinismo legato alla temperatura. Come quelle statuette scintillose (soggetti prediletti: il David macrocefalo o la Madonna missiliforme) degli anni ’90 che avrebbero dovuto virare dal blu al rosa in base al calore e invece sono rimaste costantemente violette e costantemente orrende come il primo giorno che te le hanno regalate? No, il micino nasce bianco candido (perché nella pancia della mamma c’è un bel calduccio) e poi pian piano riesce a colorare solo le parti “più fredde” del proprio corpo: musetto, orecchie, zampette e coda (i cosiddetti Points). Anche gli occhi non possono creare il reale colore (verde-giallo) e rimarranno per sempre blu o azzurri. Insomma, questi gatti HH sono bellocci assai e, convivendo da 3 anni con una di queste feline Targaryen e avendo ella perduto l’uso di una zampetta durante una delle sue esplorazioni, ho deciso di non privarla anche dell’uso dell’utero, bensì di aiutarla a portare avanti la sua missione di riempire il mondo di gatti bianchi con gli occhi azzurri (esistono scopi meno gloriosi nella vita).
Il bello poi è che vengono fuori tutti diversi, sì perché il gene HH porta solo l’albinismo e non riguarda il colore reale del gatto (che si vede solo nei Points) e dipende da altri geni.
La mia Daenerys è una micina di piccola taglia, a pelo corto, snella, ricorda in tutto il fenotipo del Siamese Thai (anche se neanche un pelo del suo corpo è “di razza” e sono contenta così, i gatti col pedigree mi stanno un po’ sulle palle, preferisco i randagi). Sua nonna era una Siamese pura e, oltre a un H e un elegante strabismo, le ha trasmesso anche il carattere pazzerello e (malauguratamente) portato ad arrampicarsi ed esplorare. Lei però non è solo HH, ha un manto tutto speciale e qui ci vuole un’altra immersione nei misteri della genetica…
Se ho ben capito, i geni del colore nero (N) e rosso (R) nei gatti si trovano sul cromosoma X, quindi le gatte avranno due geni-colore (avendo due cromosomi XX), mentre il maschio avrà un solo gene-colore (essendo XY).
I geni felini funzionano (più o meno) come quelli umani: ce ne sono di dominanti (pelo corto, tigratura) e recessivi (pelo lungo, colore unito). Tornando al colore, il maschio avrà il pelo del colore del suo unico gene-colore (o rosso o nero), mentre la femmina sarà del colore del gene dominante nella sua coppia di geni-colore.
Tutto chiaro? Magari!
Eccoci alla fregatura: il “gene rosso” (da me ribattezzato R) è un po’ bischero e si comporta come gli pare. E ti pareva, a me poi i gatti rossi sono sempre piaciuti poco perché troppo monocromatici (mi piacciono i gatti truccati), pelo rosso via da me!
Comunque, vediamo di capirci qualcosa, R è considerato recessivo, ma senza tanta convinzione, quindi anche se in una gatta è in coppia con un altro colore, si manifesta lo stesso a grandi chiazze (Calico) o marezzato (Tortie).
Ecco perché i gatti detti “tricolore” in realtà sono solo femmine ed ecco perché le femmine interamente rosse sono molto rare (devono avere entrambi i geni recessivi RR).
Quando ho preso Daenerys da mia sorella mi sono innamorata del suo sguardo vitreo, si vedevano alcune zone chiare nel manto e si capiva che non era regolare, col tempo si sono leggermente aranciate (il rosso si manifesta dopo)… e vabbè!
Ebbene, la mia gatta è un simil-siamese (HH) tabby (bella la mia Daenerys, io amo i gratti tigrati, con l’eyeliner agli occhi, la pancia a puntini e la M sulla fronte) e con la doppia colorazione Tortie Chocolate (è una diluizione del nero) + Cream (è una diluizione del rosso). 
Sulla storia delle diluizioni sono proprio impreparata, lo ammetto, diciamo che i colori sono un po’ sbiaditelli e accettiamolo come un dato di fatto, di certo ci sarà un gene “diluizione”, ancora devo capire se dominante o recessivo…

Due anni fa ho invitato a casa nostra (per fare un po’ di turismo sessuale) un meraviglioso Sacro di Birmania puro, un gattone peloso HH colorazione Lilac Point (diluizione del blu) e con calzini bianchi.
Ad ogni modo, in due anni i due amanti occasionali hanno dato vita a due cucciolate, in tutto 4 gatti tutti HH, tutti color Lilac tabby Point (evidentemente L è dominate), tutti senza calzini (evidentemente “calzini” è recessivo) e a pelo corto (ok, “pelo lungo” è recessivo e “tigrato” è dominante)… tutti bellissimi!



Magellano, Nuvola e Galatea al primo parto, Morgana al secondo. Queste nascite sono esperienze meravigliose e appaganti, sia per Daenerys, che per il resto della sua famiglia felina e umana.




Ma non possiamo mica far collezione di gatti come con le Barbie! Così ho trovato una nuova casa a Nuvola e Morgana e regalato Galatea a mia sorella. L’unico maschio, Magellano alias Gattobello, non ho potuto fare a meno di tenerlo con me. Il mio puma blu con gli occhi di cielo truccati e la M in fronte… è uno spettacolo! E’ molto più docile, tranquillo e coccoloso della mamma (avendo preso un po’ del carattere paterno) e come il babbo è un grande amatore.

Questa primavera Arturo (l'amante di lusso) non era disponibile così il mio Gattobello, che aveva solo 10 mesi, ha messo in funzione le sue palline lilac point e insieme alla sua mamma e attuale compagna (non vi preoccupate, tra gatti si può fare) si è dato alla pazza gioia per una settimana di fila generando una nuova cucciolata Targaryen.
Il 7 luglio, con la luna piena, sono venuti alla luce 4 candidi micetti. Purtroppo due gattini (Piccolo e Minuscola) erano prematuri perciò minuti e deboli, così i primi giorni (invece di andare al mare) li ho allattati con la siringa e sono miracolosamente riuscita a salvarne uno.

Ora, nella foto dell'allattamento Matilde sorride, ma vivere con degli animali "da compagnia" non è sempre bello e semplice come qualcuno pensa, è un impegno, richiede molte spese e una grande dedizione, non sono giocattoli, ma esseri viventi con esigenze e problemi personali, spesso fanno preoccupare e soffrire. Eppure stargli accanto e osservare il loro comportamento anche nelle situazioni più difficili vale sempre la pena e serve, serve tanto a capire come funzioni il cerchio della vita. La mia mamma-gatta è affettuosa e bravissima, ma nel suo essere brava persegue un solo obiettivo: portare avanti la sua specie. Daenerys ha passato tre giorni ad allontanare i due gattini mezzi-morti, li leccava se glieli mettevo sotto il musino, ma poi basta, dato che li vedeva così mogi, via. Sapeva di poter contare solo sui due più forti, non poteva permettersi il lusso di perdere energie inutilmente. Invece io, da umana, non potevo arrendermi e oltre all’allattamento artificiale, tentavo continuamente di farli attaccare alla poppa della mamma e qui viene il bello: Grandino e Mediolina (i due “colossi”) avrebbero potuto poppare dalla propria mammella (ogni micino ha la sua) e farsi gli affari propri, invece con le zampe spingevano via i fratelli più deboli impedendogli di attaccarsi. Non lo facevano per cattiveria, è la legge della Savana, pura e semplice lotta per la sopravvivenza: meno fratelli, più latte per ciascuno. Sono piccoli leoni questi gatti! Grandino ha avuto l’ardire di soffiarmi la prima volta che l’ho preso in mano e non era altro che una salsiccetta spelacchiata nata da un'ora.
Dopo 10gg, totale 3 sopravvissuti, ormai Piccolo poppava agevolmente e sapeva farsi rispettare, quindi li ho salutati per andare al mare. Mediolina aveva cominciato a colorare il tartufino di grigio/violetto, ma i maschietti erano ancora completamente bianchi. E quindi? Mi sono ricordata che il rosso si palesa dopo...

In questo mese di assenza una signora veniva ogni 5gg per cambiare acqua e cibo nei dispenser e fare qualche coccola, mi mandava foto e aggiornamenti, ma sapevo che al mio ritorno avrei trovato tre belve ad aspettarmi. Ci ho pensato tanto, sarebbe stato fantastico portarli al mare, li avremmo visti crescere e coccolati all’inverosimile e ora sarebbero di burro, ma i gatti sono territoriali e io non volevo far viaggiare Daenerys rischiando di scioccarla (o peggio perderla definitivamente), ho preferito lasciare invariato l’equilibrio dei miei gatti adulti e far godere a tutti e tre (Tigro adora fare lo zio) questa cucciolata. Durante la mia assenza ero più preoccupata per il Gattobello che per i piccini (affidati alle amorevoli cure della propria mamma), temevo potesse intraprendere viaggi di conquista (amorosa) e non tornare più, per fortuna è rimasto a fare il babbo.

Venerdì sera sono tonata, ho coccolato gli adulti amorosi tutta la notte e catturato le belvette, Piccolo mi ha graffiato e azzannato alla mano senza pietà guadagnandosi sul campo il nuovo nome di Cattivo. Essere nato caca-nido lo ha spinto a essere più combattivo e intraprendente degli altri, ma non è grullo per niente e in due giorni dorme già accucciato nella stessa mano che ha martoriato. Grandino è il più mansueto e docile, non aver mai sofferto la fame deve averlo rassicurato parecchio. Mediolina è una figlia del terrore, scappa e se la prendo ringhia (non mi pare un buon segno), poi anche lei sonnecchia e gradisce le coccole. Non è solo questione di ammaestrarli e, nonostante l’impegno con cui io e Matilde li “impastiamo”, non diventeranno bambole di pezza, probabilmente Piccolo rimarrà più furbo e ribelle, Mediolina più schiva. D'altronde, ognuno ha il suo carattere. 
E l’aspetto?
Adesso hanno tutti la medesima stazza e sono ovviamente tutti HH, simil-siamesi con occhi azzurri. 
Grandino ha in tutto il fenotipo del Siamese (con muso allungato e corpo elegante), gli altri hanno il musetto più tondo dal Sacro di Birmania.
E il colore? Sono chiarissimi (tutti diluiti, e lo so via, devo ancora studiare…), ma variopinti!
Grandino ha un solo gene R diluito quindi direi che è un Cream Tabby Point dal manto chiarissimo e appena rosato sui points (diventerà una piccola pantera rosa). 

Mediolina ha i geni LC (lilac chocolate), vince L quindi ha un manto Lilac Tabby Point come il suo babbo, molto chiara e con occhi blu profondo, è davvero bellissima.

Piccolo ha un solo gene R, diluito? Bo, mi pare più contrastato, quindi dovrebbe essere un Red Tabby Point dal corpo bianco candido e dalle estremità aranciate e tigrate. Ora, ho scritto che a me non piacciono molto i gatti rossi, ma va detto che celeste e arancione sono colori complementari e questi mici avranno un trucco aranciato e una bella M in fronte… credetemi, Piccolo (alias Cattivo) ha lo sguardo fetente ed è un vero capolavoro!

lalla

giovedì 16 luglio 2020

il mio cervello strano mi fa regali splendidi

Ho una memoria formidabile, ma strana.
Si diletta in performance inutili, tipo: mostrandomi un qualsiasi fotogramma, riconosco immediatamente il film da cui è tratto (anche se l’ho visto 40 anni fa) e mi ricordo pure le battute, a che serve?
E si diverte invece a mettermi in situazioni imbarazzanti, tipo: un apparente estranea/o mi ferma per strada chiamandomi per nome tutta/o giuliva/o per poi incollarmi 10’ a chiacchera, chiedendomi notizie di ogni membro della famiglia e io (per dieci minuti) a sudare e glissare facendo finta di ricordarmi chi è con domande generiche “… e tu invece che cosa mi racconti?” nel tentativo disperato di ricostruire dagli indizi l’identità misteriosa... il vuoto cosmico.
Ma perché? Che cervello ho, a chiazze come il manto dei leopardi?
Confondo i nomi, li scambio, li storpio e pensate che casino con gli autori stranieri della Storia dell’Arte (mi dispiace tanto, spesso mi sento incompetente).
Non basta, non riesco a quantificare nella mia mente numeri oltre il 100, cioè se mi dite “a Firenze vivono circa 10.000 persone”, a me sta bene. Se mi dite “non è vero, ce ne vivono 100.000”, mi sta bene lo stesso. “1.000.000… “, e perché no? E’ grave?
Non ricordo le date, ma a questo punto mi pare il meno.
Però ricordo ogni particolare delle opere d’Arte e la sensazione che mi hanno trasmesso quando le ho viste la prima volta. Ricordo tutta la mia vita con interi flash-back, emozioni, parole, sguardi, colori, perfino temperatura, sapori e odori.
Faccio scorta di memoria visiva ed empatica, quando distribuiscono la parte numerica e letterale il mio cervello si finge malato.
Io credo che lo faccia apposta, per quanto dotato di capienza formidabile, lui sa che non potrebbe contenere tutto, allora sceglie. E poi si prende cura di ogni ricordo, lo nasconde, lo conserva, lo protegge. A me va anche bene così, ma sto invecchiando e, per quando ami la settima arte, se per cortesia volesse prendere in considerazione di cancellare un po’ di film e fare posto...
In ogni caso, non mi lamento e ogni tanto la mia memoria mi fa regali inaspettati e splendidi.


Lunedì 17 giugno, riunione plenaria in presenza (a scuola) con i miei colleghi per iniziare gli esami di Stato. Ci sediamo, all’inizio siamo emozionati di tornare in classe, di rivederci dopo tre mesi. Ci sentiamo a fatica (a distanza di 2 metri e con la mascherina), ma ci salutiamo e poi tentiamo di fare due commenti sull’esame che sta per iniziare, ipotizzando un calendario. Una collega dice qualcosa riguardo a quando abbiamo fatto noi la maturità, che finiva oltre la metà di luglio e io aggiungo “E’ vero, io l’orale l’ho fatto per ultima, il 24 luglio, un mese dopo il tema di Italiano che capitò proprio per San Giovanni!” ed ecco che il mio cervello mi serve il suo regalo, così, da un momento all’altro.
Mi invade la testa il profumo del caldo di San Giovenale. Il caldo ha un odore, sapete? E anche un rumore, il profumo dell’erba al sole e il brusio dell'estate. Mamma, fratello e sorelle erano già partiti per il mare, io rimasi a casa col babbo quasi un mese. In realtà, il babbo lo vedevo solo la sera, partiva presto al mattino per Firenze e rientrava a ora di cena, io me ne stavo da sola a studiare, vestita di stracci. Una bella vita. Avevo organizzato un efficientissimo calendario per il ripasso, inserendo ogni giorno a pranzo una pausa di 2h per vedere uno dei miei film preferiti (mi ero creata una cineteca registrando le cassette, loro poi nel tempo si sono smagnetizzate, il mio cervello ancora no). Studiavo spesso sotto un albero, tenendo nel palmo della mano Elsa, una gattina tigrata nata a fine giugno, giuro che mi faceva le fusa nonostante avesse ancora gli occhi chiusi (una volta fatto l’esame la portai con me al mare, è vissuta 16 anni ed è stata uno dei più grandi amori della mia vita). Nel tardo pomeriggio, quando il caldo mollava qualche grado, facevo il giro dell’orto in cerca di cibo e trovavo praticamente solo zucchine, quindi mi dilettavo in esperimenti culinari (zucchine trifolate, frittata di zucchine, zucchine ripiene, zucchine lesse, pasta con le zucchine…) e il babbo rientrando dal lavoro soffriva molto (non erano la sua verdura preferita e io ero una cuoca alle prime armi).
Eccoci al vero regalo che mi ha fatto la memoria, ve lo racconto.
Una sera, rientrando, il babbo mi disse: “perché stasera non andiamo fuori a cena, ti va?” (evidentemente era arrivato a saturazione di zucchine).
E’ stata una delle serate più belle della mia vita e credevo di averla dimenticata, invece la mia memoria, birbona, la conservava con cura in un angolo, per regalarmela a sorpresa nel momento più strano possibile (dinanzi ai colleghi, distanziata e mascherinata).
Appena è riaffiorato il ricordo mi ha sorpreso così tanto che ho cominciato a parlarne ad alta voce: “Io studiai tutto luglio a casa da sola, che caldo… oddio, mi ricordo che il mio babbo mi portò fuori a cena!”. La collega, giustamente, si è staccata dal mio flusso mentale e ha prestato attenzione a qualcun altro.
Che c’entrava adesso parlare di una cena col babbo mentre stavamo organizzando il calendario degli orali?
Vaglielo a spiegare che ho il cervello fatto a chiazze…
ho abbandonato la conversazione per qualche minuto, non credo che nessuno si sia accorto di nulla, al massimo si saranno sentiti sollevati (io chiacchiero sempre troppo). Mi sono rifugiata nella mia mascherina, ho lasciato che tutto il ricordo mi invadesse completamente e che mi salissero le lacrime.


Io e il mio babbo non andavamo sempre d’accordo, ma quel mese lo passammo molto bene. Poi ad agosto ricominciarono gli screzi perché io ero uno spirito estroso e avrei voluto iscrivermi all’Accademia. Comunque, da mesi avevo già accettato di tentare il test di ammissione ad Architettura come voleva lui (ma con l'idea di fare l’insegnante di Storia dell'Arte, non l’architetto). La verità è che avevo paura di non avere abbastanza “fuoco sacro” per fare la pittrice, mi piaceva tanto scrivere e stare sul palco (ma una carriera nel mondo dello spettacolo era del tutto fuori discussione), lasciavo scegliere la mia famiglia, ma mi lamentavo continuamente in preda al vittimismo, atteggiandomi ad artista incompresa. Ricordo che un giorno a settembre il babbo mi trattò molto male per la mia inedia, perché non mi stavo preparando per il test di ingresso ad Architettura, dormivo troppo, ciondolavo tutto il giorno e non dipingevo neanche: “dovresti desiderare di dipingere tutti i giorni se davvero volessi diventare un’artista come dici!”. Non sapevo se avesse o meno ragione, non sapevo cosa fossi e cosa volessi diventare, decisi di non prepararmi: ho lasciato che scegliesse il destino al posto mio. Al test sono arrivata 54° (o 45esima? Bo…) su più di 1500 iscritti, presa. E’ andata come è andata, bene suppongo. Non divaghiamo adesso e torniamo a quella sera dove il tempo scorreva sereno e lineare.
Per abitudine la nostra famiglia a cena fuori non andava mai, solo al ristorante cinese di piazza libertà per qualche compleanno della mamma. Le ragioni fondamentali erano due: la prima è che la mia mamma ha sempre cucinato come una Dea e non è mai esistito ristorante migliore (eravamo buongustai), la seconda è che con quattro figli formavamo una bella squadra di sei e i miei non se la sentivano di spendere tanto (eravamo tirchi).
In un “ristorante vero” a cena sola col mio babbo ci sono stata solo quella volta.
Ricordo che era ancora tutto lui, con i suoi modi decisi, col suo fisico possente e la pancia (che ha poi perso con la malattia), era rientrato dall’ufficio col completo elegante e la cravatta, stava benissimo.
Non mi feci ripetere l’invito due volte, cacciai le zucchine in frigo alla velocità della luce e andai a cambiarmi. Mi portò in auto in un ristorante a Castelfranco, vicino al rinomato “Vicolo del Contento” (dove non sono mai entrata, ma me lo disse lui che era lì vicino). Arredo chiaro, ci sedemmo in un tavolino al centro, mi sentivo una prescelta, la vincitrice di un premio.
“Lalla, ti va bene se ordiniamo i taglierini al tartufo, ti vanno?”.  Mi sarebbe andata qualsiasi pietanza. “Poi prendo anche una bottiglia di vino bianco”.
Io di solito a casa bevevo solo un fondino di vino, ero piccola, non avevo ancora diciott’anni, lui mi lasciò bere quasi due bicchieri. Mi girava un po’ la testa. Risento in bocca il sapore dei tagliolini. “lalla, secondo me sono un po’ sciocchi, chiediamo il sale?”. E’ vero, erano sciocchi, ma non glielo avrei mai detto perché anche se fossero stati amari come il fiele e il vino fosse stato piscio, a me sarebbe piaciuto tutto lo stesso. Mi piace ancora adesso la sensazione che provo riassaggiandoli nella mente. Ci aggiunsi un po' di sale sopra e del pepe.
Non ricordo se parlammo specificatamente dell'esame che mi aspettava o dell'università, ma lui pensava sempre che io fossi bravissima e quella sera mi sono sentita così sicura e piena d’ottimismo, sapevo che tutto sarebbe andato bene: l’esame, le scelte per il mio futuro, la mia vita intera!
Che bel regalo, poter ricordare.
Anche nel posto e nel momento sbagliato, non importa.
Ti perdono cervello mio per tutto lo spazio che sprechi nell’inutile videoteca, ti perdono per tutte le nozioni che ti perdi e per gli errori che commetti, ti perdono anche se ogni tanto mi metti nei guai, tu promettimi soltanto che continuerai ad archiviare e custodire i ricordi importanti, quelli che riguardano la mia vita e le persone che amo. Che le terrai per sempre accanto a me.


lalla

Il mio babbo, estate 1994. Al mare,  un anno dopo la nostra cena. Di questi tempi avevo già preso 30  al primo esame di Architettura (analisi 1). La prima persona da cui sono corsa in bici a raccontarlo, è stata lui.
P.S. Due anni fa (il babbo se n’era già andato), la mamma ci ha chiesto se eravamo felici del nostro lavoro o se nella vita avremmo voluto fare altro.
Guido, che fa il commercialista (per mantenersi) e il contadino/pescatore/cacciatore (per divertirsi): “io avrei potuto fare le immersioni subacquee da professionista e mi sarebbe piaciuto fare solo l’agricoltore, ma la vita del contadino è pericolosa, se ti capita la stagione sbagliata o una grandinata perdi tutto il raccolto… meglio coltivare le proprie passioni e avere anche un altro lavoro”.
Io, che faccio l’insegnate per mantenermi (e anche divertirmi) e molte atre cose (per divertirmi): “a me sarebbe piaciuto fare l’attrice… anche la scrittrice… i cinque anni che ho fatto la ceramista sono stati magnifici, invece non credo sarebbe stato un bene trasformare in lavoro la mia passione per la pittura… l’architetto non direi proprio…  infondo il mio lavoro mi consente di dipingere, di scrivere e anche di salire sul palco tutti i giorni a fare uno spettacolo davanti ai miei studenti!”.
Mamma: “insomma, alla fine siete abbastanza soddisfatti, no?”:
Io: “Sì certo, poi ogni lavoro ha i suoi pro e i suoi contro, ma nella vita sono importanti anche tante altre cose… l’unico che adorava proprio fare il commercialista era il babbo, no?”
Guido: “Gli dava soddisfazione, è vero, ma anche lui si è adattato per aiutare il nonno alla ditta, in realtà il suo sogno era fare l’architetto!”.
O questa? Voleva fare l’architetto? Perché a me non l’ha mai detto?
Cioè, io sarei l’unica figlia ad aver realizzato il suo sogno e poi ad averglielo disintegrato davanti agli occhi?
Ecco perché, pover’uomo, ha continuato fino alla morte, tutto orgoglioso, a pagarmi la tassa d’iscrizione all’albo nonostante io facessi tutt’altro e non avessi mai esercitato la professione (tranne che per ristrutturare il suo studio, casa mia e di mia sorella).
Io non l’ho mai saputo, porca miseria, non avrei comunque fatto quel mestiere solo per farlo contento, ma avrei evitato di ripetere ogni tre secondi che non mi piaceva fare l’architetto e che non l'avrei fatto mai, manco morta. Che dispiacere.
Per fortuna so che mi ha perdonato, quando subito dopo la laurea e l'abilitazione, ho scelto di lavorare come ceramista (invece che come architetto) proprio non gli andava giù, ma negli ultimi anni era diventato molto più fragile ed empatico, mi ha dimostrato tante volte di apprezzare sinceramente le mie pitture e questo blog.