venerdì 1 settembre 2023

Non amo stare ferma

Non amo stare ferma.
Sono sempre stata una persona che progetta e che fa. Progetti piccoli, progetti grandi. Possibilmente portati fino in fondo perché odio lasciare le cose a metà.
Come un libro che leggo, che magari un po’ non lo capisco e mi sta ricrescendo in mano, ma che devo per forza finire, anche a costo di avanzare poche pagine per volta. Perché magari sul finale poi si riprende, io che ne so?
Come per un film che vedo, che se mi fa già cagare dopo due minuti netti ce la faccio a spengerlo, ma quando varco la soglia dei dieci ormai è fatta: mi tocca arrivare fino in fondo. Almeno per capire gli autori dove volessero andare a parare. Che un filmuccio un può spento può sempre nascondere un messaggio, una svolta, ribaltare la situazione e recuperare negli ultimi minuti. O forse rimanere “uccio”, ma spingermi in ogni caso a una riflessione, a un pensiero. Insomma: lasciarmi qualcosa.
Quando accade… perché accade, credetemi, che sorpresa e che soddisfazione immensa!
Tante cose della vita, anche le più leggere o inaspettate, spingono a riflettere o lasciano qualcosa, purché si sia abbastanza curiosi e disposti ad aprire la mente. Se non ci credete, provate a guardarvi intorno con più attenzione o ad arrivare in fondo alle cose per scoprirlo. Anche a quelle che non capite alla prima perché sarebbe un peccato desiderare che tutto fosse semplice e dare giudizi affrettati.
Dicevamo: quando accade, è una sorpresa e una soddisfazione immensa.
Ora, per film, libri o mostre che andiamo a visitare, non è davvero merito nostro ciò che accadrà. L’unico merito è appunto essere spettatori onesti e aperti. Creano altri, scrivono altri, a noi non resta che fruirne e saper cogliere una possibilità.
Creano altri, scrivono altri, ma mica sempre.
Io un po’ di cose le faccio. Ne ho sempre fatte e sempre ne farò. Perché appunto non riesco a stare ferma; la mia mente, le mie mani, non ce la fanno proprio. Progetti piccoli, progetti grandi, progetti enormi. Non è una passeggiata portarli tutti in fondo. No, per niente. Ma non posso fare altro, non è una scelta quella di creare, solo chi nasce irrequieto come me lo sa: è una necessità. Con la sottile speranza, lo confesso, di riuscire anche io a regalare ogni tanto quell’effetto di sorpresa e soddisfazione. Così a casaccio, a gente sconosciuta. Che se davvero ogni tanto ce la facessi, in una vita, non sarebbe mica poco, eh?
E’ tutta l’estate che penso a un nuovo progetto pittorico, per adesso il quadro danza nella mia testa, spero di trovare presto la forza di fargli prendere una forma terrena. Come sempre, inizierò a dipingere solo quando davvero sentirò di aver bisogno di dipingere. Al momento giusto, non un minuto prima, né uno dopo. La pittura non è uno scherzo per me, è una cosa seria. Non la faccio per denaro, né per il piacere altrui. Non è prostituzione. Non è fatta solo di masonite e colori a olio, è fatta delle mie sensazioni e dei mei pensieri. Chiaramente può non incontrare il gusto altrui, ma almeno è sincera e mia.
Prima o poi spero di riuscire a riassume il mio lavoro in una mostra e di darle il nome REALISMO INTIMO perché è quello di cui parla: la mia realtà. Niente di più, niente di meno.
Vedi? Un altro enorme progetto… non riesco proprio a stare ferma!
Intanto scrivo molto.
Anche i libri sono progetti enormi, che richiedono mesi e mesi di lavoro. E tanto coraggio.
Quando crei qualcosa, diventa la tua vita stessa, lo ami e lo odi. Lo temi. Temi di non essere capace di farlo arrivare con te dove volevi effettivamente andare. Temi che ti trascini via, lontano, che prenda il sopravvento. Quanta fatica nel tentativo di dominarlo. Che sia un quadro, che sia un libro, che sia un post come questo. Che non si perda il senso, è importante. Ma anche che non si capisca subito, a una prima occhiata distratta, che pretenda un po’ di interesse sincero da parte dello spettatore e del lettore. Che riesca a catturare, a portare.
Non credo che nessuno di noi (gli irrequieti che non sanno stare fermi, quelli che hanno bisogno di progettare e di fare, quelli che creano) che nessuno di noi, possa mai sapere se alla fine ce l’ha fatta davvero. Il creatore è condannato all’incertezza e alla perenne insoddisfazione. E’ condannato a provarci e può solo sperare di poter regalare al fruitore quella scintilla di sorpresa e soddisfazione.
Solo questo mi viene concesso e solo a questo posso appellarmi nei momenti di fatica, vergogna, ripensamento, autostima a terra e paura: solo alla speranza. E magari neanche a quella perché se la perdo non è che cambi molto. Ve lo confesso in piena sincerità: pure se fossi certa che quello che faccio fa schifo a tutto il mondo, io al mondo chiederei scusa, mi dispiace (un giorno ci penseranno altri a bruciare i miei quadri, strappare i miei libri e cancellare questo blog), ma io non potrei comunque fare a meno di progettare, fare e arrivare fino in fondo ancora una volta.

lalla


P.S. Che il mondo lo desideri oppure no, la mia “Saga dei Colori” va avanti; la prima bozza del mio terzo libro, “Giallo Cristina”, è quasi terminata. 

domenica 2 aprile 2023

anche io ho bisogno di carezze

Tante persone sono profondamente egoiste (e deboli), io non ho mai voluto essere come gli altri.
Però detto così non è del tutto vero: io non ce l’ho mai fatta a essere come gli altri, non ho mai potuto. Non potevo già alle elementari, figuriamoci adesso.
Ognuno ha la sua natura. Voglio dire: da un certo punto di vista, ma beati quelli che se la spassano!
Io non obbligo me stessa a stare sempre attenta e a prendermi cura degli altri, lo faccio e basta, perché sono fatta così. Ho bisogno di cercare di fare sempre la cosa giusta per tutti. Il ché è abbastanza impossibile, ma comunque devo provarci. E ho perennemente paura di sbagliare, di turbare il resto del mondo, di disturbarlo. Io sono un essere disturbante, lo sono sempre stata. Socialmente strana, disomogenea.
La mia disomogeneità mi regala il dono di essere incompresa. Così le persone, anche quelle che mi apprezzano, non mi vedono mai per quella che sono, mi fraintendono, non mi capiscono. Posso risultare invadente e inadeguata. Probabilmente lo sono. Esibizionista? Sicuramente lo sono. Basta che una sola persona mi faccia notare quanto io sia stonata per essere ferita, anche con uno sguardo o una sola parola, anche da chi non conta nulla.
Perché, tra le tante, sono pure ipersensibile e se sapeste q
uanto fa male...
ma poi mi rialzo e me ne vado dritta (e sola) per la mia strada perché sono pure fiera della mia diversità (e perché in fondo non potrei fare altrimenti).
Per fare questa vita fuori dagli schemi dovrei essere più forte di quella che sono, ma forse questa forza non esiste. Forse nessuno lo è.
Forse nessuno può procedere dritto (e solo) per il mondo senza vacillare ogni tanto.
Ma prima che forte, e prima di ogni altra cosa, desidero essere sincera. Non posso esserlo ogni giorno con le persone che mi fraintendono e che si aspettano altro da me. Per loro io sono (e devo essere) quella forte e premurosa, quella disponibile. Quella che sorride sempre.
In verità, non sempre. Ogni tanto mi sento un po’ mesta e sola. Ma questo non posso dirlo a nessuno perché nessuno vuole sentirselo dire da me. Ma almeno a me stessa posso dirlo. E posso ascoltarmi.
Detesto il contatto fisico con gli sconosciuti, ma adoro coccolare le persone che amo. Mio figlio ormai è un gigante, eppure ancora non si scansa del tutto se ogni tanto lo abbraccio. Mia figlia mi stringe forte quando lo faccio, ogni giorno. Più volte al giorno.
Ma entrambi stanno crescendo e (è bene che io me lo ricordi sempre) non sono su questa terra per me, devono esserlo per loro stessi. Sono io ad averceli messi e sono io a prendermi cura di loro. Un giorno se ne andranno entrambi, così come se ne vanno i miei studenti e tutte le persone di cui mi prendo cura.
Va bene così, razionalmente sono convinta di poter bastare a me stessa, che il mio valore di essere umano non dipenda dall’avere accanto una persona e, a dirla tutta, neanche da aver messo al mondo la mia prole.
Ma ogni tanto vacillo. Sono gli ormoni, quelle merde!
Ogni tanto devo ammettere con me stessa che mi gratificherebbe molto piacere a qualcuno che non fosse geneticamente obbligato a farlo. Ogni tanto mi chiedo quanto possa essere bello essere visti per quello che si è veramente e piacere lo stesso.
State tutti fingendo o a qualcuno succede davvero?
Quanto è bello? Raccontatemelo, voi che potete. Voi che sapete chiedere e prendere, oltre che dare.
Sappiate che anche alla mia pelle (e alla mia anima) piacerebbe essere toccate e carezzate. Io non mi scanserei mai, non l’ho mai fatto. Eppure, nella mia vita, in così pochi mi hanno accarezzato. Perché mi hanno sempre frainteso, perché nessuno si è mai reso conto di quanto ne avessi bisogno.
Di quanto, oltre ad amare, mi piaccia essere amata.

lalla

P.S. non c’è da preoccuparsi, è solo la primavera, presto gli ormoni si arrenderanno e io tornerò stoicamente padrona della mia vita. Nell'attesa, come sempre ci ha pensato la mia migliore amica a darmi ciò di cui avevo bisogno.

"Carezzarmi", olio su masonite, diametro 50 cm.

domenica 5 febbraio 2023

Caro babbo, ancora buon compleanno

Caro babbo, ormai dal 2016 questa settimana è strana e in essa succedono cose strane. Ogni anno provo a festeggiare più la tua nascita che commemorare la tua morte, ma le due date sono così vicine… di fatto si sono trasformate in un unico lunghissimo giorno.

Questo 2 febbraio avresti compiuto ottant’anni, un bel compleanno importante, se non fosse che da sette anni non ne festeggi più. Ma te l’ho detto, ci provo io a farlo per te.
Ogni anno arrivo a questa settimana (che è anche la prima di scrutini) più stanca e stressata, ma in mezzo alle miriadi di cose a cui stare dietro, giovedì (che era il mio giorno libero a scuola) ho imbastito di portare i figlioli a sciare alla Doganaccia. Una roba rilassante tipo tre ore di auto per tre ore di sci.
Ma stattene a casa a rassettare che è meglio! Questo, come noto, il meno possibile.
Ho pensato che fosse una cosa romantica far salire Matilde sugli sci per la prima volta proprio per il tuo compleanno ricordando le splendide settimane bianche che mi hai regalato da ragazza.
Però sono partita un po’ prevenuta. Conosco Matilde e immaginavo scenari di tregenda (tipo vomito a spruzzo stile Esorcista nei tornati sopra Pistoia e scenate di disperazione e odio feroce verso di me nei primi tentativi sugli sci). Conosco anche me stessa e sapevo di essere davvero molto stanca, temevo di non trovare tutta la pazienza necessaria per accompagnare la novella Compagnoni. Di non saper reggere bene la giornata e quelle seguenti. Insomma, di fare qualche cazzata.
E infatti tranquillo che la prima l’ho fatta subito: dopo una mezz'oretta di macchina mi sono resa conto di aver preso solo il mio documento e non quello dei figli… e se poi me lo chiedessero per lo skipass?
Alle 8:20 ho girato il culo della Multipla sui viali fiorentini completamente tappati dal traffico e mi è presa una specie di crisi di nervi. Ero convinta di perdere l’intera mattinata (e quindi l’intera giornata) nel tentativo di tornare a casa e ripartire. Ero incazzatissima con me stessa e col mio cervello fallace.
Accidenti a me che non riesco mai a tenere tutto sotto controllo!
Ma “tutto” è tanto davvero, credimi. Il lavoro, la famiglia, la casa… la gestione e l’organizzazione di ogni singolo impegno è sulle mie spalle. Solo sulle mie. Sempre.
A questo giro, mettiamoci anche la gatta in procinto di partorire e che da mercoledì sera miagolava insistentemente. Non è una novizia, ma ero preoccupata e prima di partire l’ho chiusa in bagno con tutto l’occorrente augurandole buona fortuna.
Insomma, scusami se ogni tanto mi perdo per strada qualche pezzo, poi lo recupero. Anche tu ne perdevi, sai? Anche se non lo volevi mai ammettere.
Torniamo a giovedì, urlo e mi dispero in auto (con la Matilde che ha già cominciato a vomitare prima ancora di aver lasciato il centro città), ma riesco a recuperare i documenti e ritornare sul tracciato perdendo “soli” quarantacinque minuti.
All’arrivo a Cutigliano eravamo in tempo per la funivia delle 10:30, dai, non andava così male… e quindi la macchinetta del parcheggio, tanto per ristabilire un po’ di incazzatura, ha pensato bene di fregarmi dodici euro, maledetta stronza!
Chissenefrega: arrivati in cima, c’erano un sole splendido e una neve da favola.
La giornata è poi proseguita come previsto, poca pazienza mia, crisi di nervi e rabbia della piccola comprese. L’ho trainata per ore sul camposcuola con le mie mani, sciando a spazzaneve al contrario e tutto sommato così non andava malaccio. Poi le ho preso un’ora il maestro per sbloccarla (e concedermi almeno due rosse fatte nella direzione giusta e ad alta velocità), ma quello le ha fatto battere una bella musata e dopo si rifiutava ancora di più. A quel punto non sono riuscita a mantenere la calma e quando si impuntava urlandomi contro, anche io le ho risposto male. Dopo mi sono sentita terribilmente in colpa. Poi mi sono ricordata di te che prendevi la Chiara a racchettate in testa perché si era bloccata su un “muro” (in seguito si scoprì che aveva pure la polmonite, poverina). Eppure ti consideriamo un bravo babbo lo stesso.
Insomma, forse anche i miei figli mi perdoneranno di aver sclerato un pochino qualche volta. Ci spero.
Mi consola anche che alla fine della giornata al Piccola Fata abbia accettato di tornare l’anno prossimo (probabilmente più allettata dagli scivoloni sulla neve e dalla polenta fritta con ragù del rifugio, che dalle piste).
In tutto questo, Elia si è divertito molto e posso giurarti che, aspettandolo alla fine di un curvone della splendida pista Faggio di Maria (che vista c’era dal cucuzzolo!), l’ho guardato sciare e mi sono commossa: mi sembrava di vedere te. In questi quattro anni senza salire sugli sci il suo corpo è cambiato, è diventato grande e grosso e ora curva “di potenza” restando rigido come un legno, proprio come facevi tu.
L’ultima pista me la sono fatta da sola pochi minuti prima che chiudessero gli impianti, ho lasciato la prole a giocare su un monte di neve e l’ho discesa tutta di fila. Me la sono mangiata. Sono passati così tanti anni da quando ci portavi sulle Dolomiti e io non sono certo una sportiva, ma scio ancora come una volta. Ad un certo punto il tracciato spianava leggermente, mi sono messa dritta con le mani aperte per percepire tutta la velocità, ho guardato il cielo, la luce che filtrava tra gli alberi, la neve, ho ascoltato il silenzio e ti ho augurato buon compleanno.

Ti confesso che il giorno 3 pensavo di non riuscire a muovere un muscolo, invece guarda, ho ancora un discreto fisichino perché mi sono alzata piuttosto pimpante (nota bene che tua nipote di otto anni era piena di acido lattico).
Ma insomma, quello passa, invece la gatta era ormai oltre il termine, si lamentava e non era riuscita ancora a partorire un bel niente e su quel fronte ero davvero preoccupatissima.
Ma era venerdì e c'erano inesorabili impegni scolastici, quindi a malincuore l’ho rinchiusa di nuovo in bagno e sono andata a fare lezione; intanto ho chiamato il veterinario e mi sono accordata per portargliela alle 15.30 se ancora non fossero nati. Alle 14.15 sono tornata da scuola e ho passato un’ora insieme alla gatta sul pavimento del bagno accarezzandola, massaggiandola e sperando che riuscisse finalmente a partorire. Ma lei poverina soffriva molto e mi guadava facendo le fusa e miagolando come per dire: “Fai qualcosa tu”.
E io che altro potevo fare? Alle 15.30 l’ho affidata al veterinario (lui le ha fatto una puntura d’ossitocina e mi ha detto che se non avesse partorito entro le 17.00, l’avrebbe operata) e io sono corsa a fare gli scrutini.
Alle 18.30 sono tornata a prenderla, anzi, a prenderli. Ho messo nel trasportino la mia povera Daenerys squartata, deprivata degli organi riproduttivi e completamente inerte (ancora sotto l’effetto dell’anestesia) e in una scatola di cartone piena di cotone tre piccoli micetti bianchi.
Il dottore mi ha detto che potevo provare ad allattare i piccoli con una siringa e di tenerli al caldo nella scatola magari accanto al termosifone (ma quello mica sta aperto tutta la notte!). Mi ha anche detto che avrei potuto provare ad attaccarli alla mamma la mattina seguente, non prima perché altrimenti così incosciente li avrebbe schiacciati.
“I cuccioli posso portarli nel letto con me, così li tengo al caldo?”
“Ma sono minuscoli, anche lei potrebbe schiacciarli!”
Bravo questo dottore, ma un po’ fissato con lo schiacciamento, non è che mi metto a rotolarmi come una scema con tre topini di dieci centimetri sotto le coperte e comunque avevo intenzione di tenerli accanto a me in una cestina.
Una volta arrivata a casa per fortuna ero sola (i figlioli erano dal padre). Ho messo la scatola con i cuccioli sul termosifone e ho sistemato la gatta in una cesta. Giuro, così rigida e fredda, faceva paura. Uno dei gattini era arrabbiatissimo, aveva molta fame e cercava di arrampicarsi fuori dalla scatola, ma in compenso la mia proposta di abbeverarsi dalla siringa lo ha fatto incazzare ancora di più. La femminuccia era più tranquilla e metà siringa l’ha ciucciata. L’altro maschietto era quasi morto, freddino e inerme, non era proprio possibile nutrirlo così e mi sono resa conto che al giorno dopo non ci sarebbe arrivato mai. E forse, neppure gli altri. Tenerlo nella mia mano boccheggiante mi ha dato un senso di capogiro, l’idea di lasciarlo morire così, per inedia, mi ha disgustato.
Ho preso una decisione: dovevo subito tentare di far attaccare i gattini alle mammelle di Daenerys (anche per sviluppare la lattazione e fargli prendere il suo odore). Potevo manovrare io la situazione per tutta la notte, tra una “poppata” e l’altra li avrei tenuti al caldo nel mio letto. Non avrei potuto sostituirmi a mamma gatta, ma dovevo almeno provare a darle una mano. Provare a fare qualcosa. Dormire in certi casi, è un bidogno trascurabile. D’altronde, sette anni fa passammo la stessa notte al tuo capezzale. Ho provato ad accompagnare loro verso la vita con la stessa dedizione con cui accompagnammo te verso la morte.
Io sono fallibile, è vero, ma anche molto determinata: ho passato la nottata come previsto e cioè sveglia sul pavimento del bagno oppure sveglia nel mio letto e nessuno è stato schiacciato da nessuno, sia chiaro.  Il più vivace si è attaccato in due secondi, la femminuccia ha penato un pochino di più (era anche un po’ sazia); a forza di massaggini e di inserirgli un capezzolo a forza in bocca, verso le 4.00 anche quello morticino è riuscito a poppare (sostenendogli la testa) e, alle 7:00, anche senza sostegno.

La gatta ha iniziato ed essere davvero vigile al mattino di sabato 4 e ha preso a leccarli, così alle 10:00 glieli ho affidati sperando in bene; mi sono fatta una doccia e sono salita in auto per venire a San Giovenale e ricordarti insieme al resto della famiglia.
Guidando in autostrada da sola mi sono commossa di nuovo. Mi succede qualche volta tra il casello di Firenze sud e quello di Incisa perché per tutto il liceo e l’università abbiamo percorso quel tratto di strada insieme, ogni mattina e ogni sera, io nel posto del passeggero e tu alla guida.
Spesso ti ricordo così, col volante in mano. Le chiacchierate (e le litigate) che facevamo, io e te zitti praticamente mai. E ricordo perfettamente la sensazione di stare seduta su quel seggiolino completamente rilassata, perché in verità io mi fidavo ciecamente di te. Anche se guidavi in modo un po’ troppo aggressivo andando sotto al culo delle auto prima di sorpassarle. Anche se sospettavo che non rispettassi la distanza di sicurezza, ma sarebbe stato chiedere troppo. D'altronde, ritenendoti infallibile e immortale, era chiaro che il pensiero di poter commettere un errore o di non poter reagire in tempo a quello di un altro, non ti sfiorasse neppure. Ti è andata sempre bene, in auto.
Però babbo, come purtroppo la storia ci insegna, anche tu non eri immortale.
Eppure, in un certo senso lo eri e lo sei. O meglio, lo sarai finché anche io vivrò.
Fino ad allora non preoccuparti: ci penserò io a portarti con me su quell’autostrada, come per tanti anni hai fatto tu.

lalla

P.S. Oggi è il 5 e i gattini sono ancora vivi, non so se Daenerys riuscirà a prendersi cura di loro oppure se presto si sdegnerà e deciderà di abbandonarli alla morte. Sarebbe comprensibile dato che soffre molto durante l’allattamento, ma io spero che resista e che loro se la cavino. Lo spero per lei che è sempre stata un’ottima mamma e che così potrà godersi i suoi ultimi cuccioli fino allo svezzamento. E lo spero per te che sei nato e morto in questi stessi giorni. Se quei piccoli animaletti possiedono anche solo la metà della tua voglia di vivere, ce la faranno e per questo portano tutti il tuo nome: Beppe, Beppino e Giuseppina (detta Giusy).



domenica 1 gennaio 2023

amarmi

Il piacere non è una questione da sottovalutare.
E' uno dei più grandi motori della vita. La piccola dose di droga che il nostro corpo anela. La piccola dose per cui facciamo tutto. Siamo tutti dei tossicodipendenti in cerca di una ricompensa. Il piacere fisico, il piacere psicologico. Per un’atea come me, non c’è molta differenza. Siamo anima e corpo, indissolubili. Nutro l’uno, nutro l’altra. Muore l’uno, muore l’altra. E viceversa.

In Arte, la prima allegoria del sesso arriva a metà del Cinquecento a Firenze con Agnolo Bronzino. Venere e Cupido si baciano e si toccano lascivamente davanti ai nostri occhi. Intanto si ingannano: l’una cerca di sottrarre una freccia dalla faretra del figlio, l’altro di rubare la tiara della madre. Maschere teatrali ammiccano al travestimento, al risveglio dei sensi, all’interpretazione di ruoli. Il Tempo (con la sua clessidra) incornicia con un drappo la scena e ricorda il mutare delle sensazioni e il degenerare delle emozioni. Le allegorie della Gioia (un bimbo con i sonagli alle caviglie e dei fiori destinati ad appassire presto), della Gelosia, della Follia, circondano i due protagonisti. La virtuosissima tecnica di Agnolo (fatta di linee curve, superfici levigate e colori smaltati) indugia sui corpi sinuosi, sui glutei sodi, sui volti perfetti e su ogni raffinatissimo dettaglio. L’opera oggi si trova a Londra e posso confermare che tanto stile e bellezza dal vivo sono ipnotiche. Il sesso è spiegato e raccontato (in modo intellettualistico per l’utenza ristretta della corte medicea) come qualcosa di delizioso, ma pericoloso: un piacere temporaneo e ingannevole, che può portare alla rovina e alla disperazione. Periodo difficile il Manierismo, ansie da prestazione artistiche, crisi religiosa e politica, gente un po’ ripiegata su sé stessa e poco allegra.

Una cinquantina d’anni dopo, il piacere ci viene mostrato in tutto il suo splendore e, finalmente, senza controindicazioni. Lo fa il grande Gian Lorenzo Bernini nel gruppo scultoreo dell’estasi di Santa Teresa. L’angelo trafigge compiaciuto Teresa e la santa viene travolta da un’ondata di sensazioni fortissima che ne scuote il volto e le membra, lasciandola senza forze. Non si trattava di una provocazione, né di blasfemia e, nonostante l’epoca inquisitoria (nel Seicento i Gesuiti bruciavano le persone senza farsi troppi problemi), l’opera non fu assolutamente messa in discussione. Il grande spettacolo barocco sfruttava le sensazioni di meraviglia suscitate nello spettatore, lo coinvolgeva emotivamente al solo scopo di veicolargli la certezza che esistesse un’unica e sola grande chiesa cristiana, quella di Roma (cosa ovviamente falsa, dato che il protestantesimo le aveva sottratto mezza Europa). Ma Bernini e compagnia avevano capito benissimo che per veicolare un messaggio di propaganda alle grandi masse, non serviva tentare di convincerle con un ragionamento razionale (più o meno comprensibile o giusto), ma trascinarle emotivamente.
E, tornando alla nostra Teresa trafitta, come si fa a rappresentare un’estasi religiosa? Cos’è un’estasi religiosa? Come puoi spiegarla a una massa di fedeli peccatori e ignoranti? Datemi retta, meglio farla sentire, che spiegarla. Gian Lorenzo non era un santo, ma un genio. L’unica cosa che potesse avvicinare lo spettatore a un concetto tanto difficile (e labile), era farlo attraverso la rappresentazione di un’estasi fisica (conosciuta da tutti). E grazie al suo infinito talento funziona benissimo. Ogni volta che mi ci trovo davanti, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, avverto la stessa ondata di emozioni in ogni fibra del mio corpo e lo ringrazio. Fatelo anche voi, lasciatevi trascinare dal piacere artistico senza vergogna perché siete nel giusto. Il piacere non è un peccato, il piacere è nutrimento per il corpo e lo spirito di noi persone imperfette e comuni, ma non banali. Per noi che santi non siamo.
E a proposito di questo, ecco uno scritto della Santa, tanto per scagionare Gian Lorenzo e tutti noi:

«Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.» (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)

Per incontrare il più grande cantore del piacere, facciamo passare tre secoli e spostiamoci a Vienna, durante la Secessione Viennese. 
Il magnifico Gustav Klimt, anima guida di Ver Sacrum, era una sorta di seduttore seriale. Per capirsi, amava fisicamente le sue modelle perché sopra ogni cosa inseguiva il piacere, voleva provarlo e rappresentarlo. Per Gustav le donne sono misteriose, pericolose e potenti. E anche il sesso è pericoloso, ma senza rimorsi, il pericolo gli piace. Lo brama. Desiderio e paura, dolore e piacere. Insieme hanno sempre funzionato benissimo e per sempre funzioneranno (non a caso un romanzetto rosa-fantasy come Twilight ha venduto milioni di copie).
Guardiamo Giuditta I, ho avuto la fortuna di poterla di nuovo ammirare a Roma questa primavera. Porta ancora tra le mani la testa di Oloferne, ma di lui (come del messaggio religioso) a Klimt importava poco e questo trofeo macabro lo relega in basso a destra, chissenefrega se gli spettatori manco lo notano. Non ci credete? Si divertiva a esporre la seconda versione, Giuditta II anche come Salomè. La prima è un’eroina religiosamente positiva, l’altra negativa, ma sono entrambe donne seducenti e assassine, questo gli interessava. Il vero protagonista del quadro è il piacere. La questione è che Giuditta ha appena ucciso un uomo e le è piaciuto parecchio. Dischiude le labbra, le palpebre vibrano e la donna lupa, splendida e invincibile, gode davanti ai nostri occhi. Puro sesso.
I quadri di Klimt facevano scandalo, sia chiaro, ma per fortuna niente roghi. Non a caso, Vienna era la città di Sigmund Freud e della sua psicoanalisi (che spiega qualsiasi aspetto della mente legandolo al sesso).

E veniamo al mio, di piacere.
Non ho bisogno di un angelo che mi trafigga, per ottenerlo. Non ho bisogno di un uomo che mi possieda, per raggiungerlo. E neppure di ucciderne uno come Giuditta.
Posso più semplicemente fare tutto da sola, assecondando la mia natura.
Sono l’unica persona autorizzata ad usare ed abusare del mio corpo. Per questo non gli concedo quasi mai riposo. Lo torturo privandolo del sonno per scrivere o lo logoro attraverso estenuanti sedute pittoriche nelle quali combatto, patisco e quasi perisco. Ma infine, quando mi salvo… oh, se solo potessi farvi sentire quanto è dolce il sapore nella mia bocca.
Porto il mio corpo (e la mia mente) allo sfinimento e lo faccio solo per il mio piacere. O meglio, per far cessare l’esigenza, la sete. Perché in effetti un tossicodipendente soffre senza la sua dose quanto un assetato patisce senza la sua fonte. Il piacere è l’appagamento di un bisogno. L’unico modo di trovare la pace.
La mia è una pace meravigliosa e che provo spesso, ma purtroppo (o per fortuna) breve. Mi nutro dell’amore per la mia famiglia e per i miei figli, ma non mi basta. Mi nutro dell’impegno nel mio lavoro e delle gratificazioni con i miei studenti, ma non mi basta. Mi nutro di cibo, di sensazioni, di scoperte, di viaggi e di Arte, ma non mi basta. Mi nutro della mia scrittura, ma non mi basta. Mi nutro della mia pittura, ma niente mi basterà mai perché la vita mi piace tutta.
Mi sazio e in breve tempo avverto un nuovo appetito. Allora so che è già il momento di rimettermi in gioco. E’ faticoso, sì, ogni tanto devo fermarmi per riprendere le forze.
Ma penso proprio che, una volta recuperate, mi concederò di giocare e di godere all’infinito.
E che lo farò senza rimorso alcuno perché mi amo.


lalla
"Amarmi", olio su masonite, 70 x 50 cm.
P.S. Il quadro non so ancora se è finito, ma oggi lalla aveva voglia di scrivere questo post, è il primo dell’anno, non potevo certo dirle di no e il senso del dipinto è questo.

mercoledì 16 novembre 2022

per il mio compleanno: un bel sabba di streghe, una pessima influenza, ma finalmente si colora!

Novembre è un mese oggettivamente di cacca: umido, buio, insalubre… uno schifo, via.
Meno male che c’è il mio compleanno a tirarmi su di morale (per questo lo faccio durare parecchi giorni, tipo una festa del perdono*)!

Venerdì 11 ho organizzato un bel sabba di amiche streghe per festeggiare. Lo faccio tutti gli anni e devo ammettere che vengono proprio ganze queste cenette novembrine al femminile. Tutto molto gradevole: la compagnia, il cibo vegetariano (credetemi che me la cavo tra i fornelli, anche con la cucina senza grassi), l’atmosfera rilassata e un po’ cospiratoria, le risate fino a tardi. Verso la mezzanotte ho spento le candeline sui miei dolci blu (belli e buoni). Quest’anno i regali sono stati uno spasso! (A proposito: ma come sono belline le mie amichette che a quest'età ancora mi fanno i regali?)
Le vere animatrici della festa sono state sei meravigliose cocorite blu, verdi e azzurre che mia mamma mi ha incautamente fatto recapitare a sorpresa. Incautamente perché io adoro i pappagalli (e il Blu) e questa è cosa nota, ma se in quarantasette anni non avevo mai scelto di prenderne una coppia (e sei?), ci sarà stato un perché.
E in effetti, volendo esagerare, i perché sono due.
Primo, io amo la libertà, non riesco a tenere manco i miei gatti in casa, figuriamoci quanto mi strazi un uccello (anzi 6) in gabbia.
Secondo, i miei coinquilini pelosi sono dotati di artigli e di un feroce istinto predatorio verso i volatili.
L’ultima temibile assassina di casa, nonostante sia ancora una cucciolotta di tre mesi, ha rischiato la crisi di nervi nelle dodici ore che le eteree cocorite sono rimaste in casa. La smania di volerle (doverle) divorare l’ha torturata, non faceva che miagolare e contorcersi disperata, la frustrazione di non poterle agguantare era terribile. E terribile deve essere stato per loro vedersi girare intorno una piccola leonessa famelica.
Quando al mattino, all’ennesimo tentativo di assalto alla gabbia, l’ho trovata con qualche piumetta colorata in bocca, ho deciso di chiamare la mia mamma e rispedire a casa gli splendidi cioccolatini blu con le ali onde evitare spettacoli macabri. Mi è dispiaciuto molto non darle soddisfazione, ma qui si rischiava il massacro o l'infarto (in ogni caso, roba non piacevole). Adesso le splendide creature blu risiedono in campagna, in un’enorme voliera che fu costruita per ospitare dei piccioni, meglio va’.
Un altro buffo diversivo è che mi sono state regatate ben quattro sciarpe, neanche a mettersi d’accordo!
Ora, anche che io sia persona freddolosa è cosa nota, quindi le sciarpe non le rispedisco a nessuno e me le tengo con gratitudine, sono tutte diverse e mi torneranno utili.
Sabato 12, dopo aver cucinato e festeggiato fino a notte fonda ed essermi alzata presto per risistemare la casa, ero un po' cottina, ma ho comunque imbastito un pranzetto cinese con la mia mamma e i miei figlioli. Anche loro mi hanno fatto splendidi regali. La Piccola Fata, una spilla a forma di pesce blu realizzata da lei con la penna 3D e impacchetta in modo fantastico (è super creativa questa bimba) e il Re dei Sugolini, dei bellissimi guanti in pelle (perfetti con la mia collezione di sciarpe!).
Relax e coccole, che bel compleanno.

Poi, domenica 13 (primo giorno del mio quarantottesimo anno), è venuta a farmi gli auguri anche la vecchia cara amica influenza. Avete presente quella che ti agguanta la testa, ti brucia gli occhi, ti ingolfa di muco e ti spezza le ossa? Proprio lei.
Quanto tempo... quasi non mi ricordavo più manco che esistessi e invece eccoti qua, stronza come prima. Mascherine e distanziamento ci avevano tenute lontane, senza offesa eh, ma per me potevamo anche esserci dette addio per sempre.
Magari! Ma ti ci sei sempre trovata così bene nel mio corpo, figurati se alla prima occasione non ci tornavi.
Sappi però che io non ti avevo invitata e, passino la febbre e il resto dei disturbi (sono una vita che me li regali), ma non ti perdono il tempo che stai rubando alle mie classi.
Per colpa tua in questi giorni non vado a scuola e sto facendo saltare verifiche, spiegazioni, revisioni... sono ore realmente perse e irrecuperabili, la prossima settimana si accumulerà tutto e sarà un delirio. Danneggi le mie studentesse e i miei studenti, non solo me.
E ovviamente hai impestato anche i miei figlioli. Sei pessima, sappilo.
Ma oggi mi sono alzata un pelino meglio (tié) e vedo la luce in fondo al tunnel, potresti per una volta levare le tende in tempo utile senza le consuete complicazioni? Per favore...
Intanto stamani mi sono messa a disegnare (che goduria!), ora anche al computer e dopo pranzo riprendo in mano le cose di scuola e riorganizzo il mio rientro. Non ci voglio stare un minuto di troppo a bacheggiare nel letto, ho intenzione di fare un sacco di cose in questo quarantottesimo anno di vita e il tempo è sempre poco (pochissimo), quindi sarà bene darsi una smossa.
Al lavoro lalla, al lavoro!

Lalla

* le "feste del perdono" si svolgono nel mese di settembre in alcuni paesi del Valdarno, durano circa quattro giorni, sono animate da fiere, giostre e si concludono con i fuochi d'artificio.

Ecco la prima illustrazione per il nuovo libro "Rosso Leonardo": un timido e febbricitante omaggio all'Incubo di Johann Heinrich Füssli, realizzato con acquerelli e matite colorate.

venerdì 29 luglio 2022

17

Le gravidanze, non sono tutte semplici. E partorire non è sempre una cosa naturale. Non per tutte. Mi hanno allettato e imbottito di medicinali per tenerti dentro di me e alla fine mi hanno fatta a pezzi per tirarti fuori da me. Quarantadue settimane di gestazione, tre giorni di induzione e dodici ore di dolori di espulsione. A mezzanotte e quaranta, quando finalmente sono riusciti a dividerci, un'emorragia portentosa ha lasciato di stucco la decida di camici bianchi che girava intorno al nostro letto di dolore. Sono quasi andata all'altro mondo, ma ormai era fatta: a quel punto tu eri già nato, un po' acciaccato, ma salvo. Ti ho visto solo per pochi secondi, ricordo che mi sentivo così stanca, ma almeno sapevo di avercela fatta; poi mi hanno addormentata per intervenire d'urgenza e riprendermi per i capelli. Ho perso quasi due litri di sangue, tantini dato che il mio corpo ne ha poco più di quattro. 

Ma non importa, non è questo. 

Il giorno dopo ero sventrata e sfatta, ricucita e trafitta, in attesa di trasfusioni e gonfia come un pallone. 

Ma no, non è neppure questo. 

È la sensazione che ho provato rivedendoti da viva. Non potevo alzarmi, non potevo accudirti, ma ti hanno messo sul mio cuore ed io ho provato qualcosa che, non lo so, non si può spiegare. 

È questo. 

Eravamo vivi entrambi, io maciullata e tu con una clavicola spezzata, ma vivi. E tu eri così perfetto, con quella tua splendida testolina a forma d'oliva. Con quella bocca a cuore, il nasino minuscolo e le manine raggrinzite. Mi sono sentita così forte, così fiera, così innamorata. Ho desiderato di riuscire a raccogliere i nostri pezzi, di imparare a prendermi cura di te, di essere all'altezza. Diciassette anni fa, da allora e per sempre. 

É solo questo. Buon compleanno Re dei Sugolini.

lalla

P.S. non siamo insieme in questi giorni, ma so che stai facendo una bella esperienza, stasera vengo a vederti cantare con la tua piccola rockband a Cecina, in bocca al lupo!

martedì 19 luglio 2022

un salto al Peggy Guggenheim, in ciabatte

Sapete quella storia di non mescolare il serio al faceto, il sacro al profano, la cultura bassa a quella alta, portare rispetto e tutta quella roba là?
Io non ce l'ho.
Venezia, 13 luglio, ora di colazione.
Va detto che questo è stato in assoluto il nostro primo viaggio culturale insieme, non avevo mai portato i figli a spasso per musei (ho sempre molta paura di traumatizzarli), quindi cercavo di andarci leggera e inserire ogni giorno diversi tipi di intrattenimento.
Insomma, oggi sono previsti 30°, dopo il Guggenheim volete andare a fare un bagno la Lido?”
Piccola Fata, con fanciullesco entusiasmo: “Sì!!!”
“Va bene, è comodo dai, si prende la linea 1 del vaporetto che parte proprio dalla chiesa della Salute…  prepariamo la borsa con due asciugamani e l’acqua, si lascia al deposito bagagli del museo. Mettiamoci direttamente costume, copricostume e ciabatte.”
Il Re dei Sugolini, con reale indignazione: “Mamma, ma ci porti in un museo vestiti da spiaggia?”
“Certo che sì, Peggy era una donna di mondo, sono sicura che avrebbe capito!”
E fu così che omaggiammo una donna ricchissima e i suoi artisti, in costume, infradito e senza vergogna, piacevolmente sopresi di essere cromaticamente coordinati con un buon numero di opere.

A dire il vero, anche per me era la prima volta al museo di Venezia (ero stata al Salom ni NYC).
La collezione è allestita nel palazzo “non finito” (è rimasto a un solo piano) che fu l’ultima abitazione dell’ereditiera e mecenate Peggy Guggenheim. Il tutto è davvero piacevolissimo, con quel suo affaccio sul Canal Grande e quel suo giardino ricco di sculture. 

Peggy è stata una donna liberissima, quasi una sorta di Groupie dell’Arte. Sì, avete capito bene: ho detto proprio "groupie" e la signora non se la sarebbe presa a male, credetemi.  E' stata anche una collezionista eccezionale (con l'aiuto del grande Duchamp). A un certo punto si è sposata Marx Ernst quindi tra le sue opere ovviamente c’è tanto Surrealismo, corrente che, a dire il vero, non è tra le più vicine al mio gusto personale. Con questo non voglio dire che vedere “La vestizione della sposa” dal vivo per la prima volta non mi abbia toccato, anzi: Ernst era un genio diabolico e inquietante, dotato di un’eleganza pittorica visionaria e unica (in particolare mi piace quel suo modo di torturare in alcuni punti la materia con pennellate piccolissime e tormentose).

Puliti ed eleganti anche “L’impero delle luci” e "Magia nera" di Magritte, ma lui è un po’ più freddino, diciamocelo. D’altronde il suo è un Surrealismo atipico, basato sul paradosso e sul ragionamento, più che sulle emozioni.
Invece, so di darvi un dispiacere, ma Dalì quasi sempre non mi piace per niente, sappiatelo, colpa mia che sono una brutta persona. In compenso la purezza e la leggerezza di Mirò mi piacciono un sacco e pure quelle del suo amico scultore Candler (fantastici i suoi pezzi in collezione!). 

Comunque al museo non c’è solo Surrealismo, bensì una spolverata di tutte le avanguardie.
Per esempio: una bella scultura del futurista Boccioni e “La maiastra” 
del rumeno Brancusi, che io adoro; 

non potevano mancare un po’ di pezzi cubisti di Picasso e Braque; due fantastici quadri cubo-futuristi di Severini e Robert Delanuay (Che festa di colori!); 
la mia stanza preferita tutta astratta con l'eleganza di De Stijl, il perfetto Suprematismo di Malevich e il mio grande amore Vassili Kandinsky (solo due quadri, ma da urlo), ogni volta tuffarsi nei suoi colori, inseguire i suoi segni, penetrare nelle sue composizioni, per me è un viaggio fantastico come fu la prima volta.

Piacevolissime anche le due sale con finestra sul Canal Grande, in una sculture in vetro e opere erotiche e giocose, in quell'altra, alcuni lavori di Jackson Pollock (pensavo ce ne fossero di più dato che Peggy praticamente lo sostenne in vita con una reddita mensile a fondo perduto). Quelli che c'erano hanno confutato in me la diceria che l’Action Painting fosse caratterizzato da tinte fluide che non creavano effetti di spessore materico (certo che delle volte anche i libri di testo ne sparano di cavolate: certi bioccoli!)

Insomma, in verità c’erano davvero tante opere da ammirare e, come sempre, tante cose da imparare. Tante ma non troppe e così Elia e Matilde se la sono cavata benissimo, alla fine del giro non erano stanchi (né traumatizzati mi pare), ma soddisfatti. 
Dopo siamo andate al Lido e ci siamo godute un bel bagno in mare con gli occhi ancora pieni di bellezza, io e la Fata. Il Re era ovviamente con noi, ma ha preferito stare steso a rosolare sulla sabbia, non gradiva l'acqua torba e aveva paura delle meduse. 
E vabbè, si sa che i monarchi sono un po' stucchini, invece noi donne magiche non abbiamo paura di nulla.
Grazie cara Peggy per averci ospitato nella tua bella casa, la prossima volta che vengo, prometto di indossare biancheria d'ordinanza e un paio di scarpe!

lalla

lunedì 18 luglio 2022

incoronata

Caro SARS-CoV-2,
infine anche noi, per la prima volta, ci incontriamo.
Come sai, da marzo 2020 mi sono chiusa in casa per mesi e, anche successivamente al primo rigidissimo lockdown, ho girato più mascherata di Zorro. Ho rinunciato quasi completamente alla mia già miserrima vita sociale e mi sono inimicata vari conoscenti scansandomi ad ogni tentativo di abbraccio.
Non te la prendere a male se non volevo incontrarti, niente di personale, però al principio ti ho molto temuto, soprattutto temevo che potessi usare me come veicolo per colpire le persone che amavo. E anche che non amavo né conoscevo, ma che comunque non si meritavano di morire a causa mia. Sono stata un esempio di rettitudine: totale rispetto di ogni restrizione e regola anti-Covid19.
Eppure i rischi di incontrarti c’erano comunque: da settembre 2020 ho soggiornato in aule ricolme di giovani affetti dalla sindrome “della mascherina calante”, ho girato tra banchi infetti e corretto disegni sputacchiati. Per due anni ho visto ammalare la quasi totalità dei miei studenti e delle mie colleghe. Perfino i miei figli si sono ammalati questo aprile e io l’ho magicamente scampata perché erano dal padre.
Ma chiaramente, era solo questione di tempo, prima o poi anche io e te ci saremmo incontrati.
Adesso che sono più incoronata della regina Elisabetta II, trovo che sia il caso di fare insieme alcune considerazioni.
E, nonostante i primi tre giorni di smania e dolori, disturbi intestinali e febbre a 39° (provocate da te, sia chiaro), non sarò polemica, né lamentosa, lo giuro. Probabilmente il fatto che oggi il termometro non superi i 38°, mi mette di buonumore ed infatti eccomi qui tutta allegra a digitare sulla tastiera.
Comincio subito col dirti grazie.
Un enorme grazie. Di aver aspettato due anni a conoscere me e soprattutto la mia mamma (attualmente incoronata quanto me). Diciamocelo, appena sei arrivato eri proprio uno stronzo e non ci saremmo piaciute per niente. Hai fatto delle stragi orribili e probabilmente avresti provato a farci fuori entrambe (soprattutto lei). Grazie di averci dato il tempo di vaccinarci e di esser gradualmente mutato in modo intelligente: più trasmissibile e meno letale. Non faceva comodo neanche a te uccidere il proprio ospite, lo capisci vero?
Quindi, per cortesia, vediamo in futuro di non ricadere in una spirale di eccessiva violenza. Tanto s’è capito che ti trovi bene da queste parti e che sei diventato endemico; allora rompicoglioni ok, ma assassino anche no.
Poi grazie di avermi concesso, in questi due anni e mezzo, di fare tante cose belle nonostante te. Tante riunioni a Reggello con ridicole e fantasiose apparecchiature “a distanza” e foto di gruppo “scomposte”, alcuni piccoli viaggetti con la mamma e Silvia, due estati al mare e le altre stagioni comunque passate in qualche modo sempre accanto alla mia famiglia, anche se talvolta un po’ spezzettata.
Grazie di aver aspettato, in questo luglio, che io potessi completare fino in fondo il mio dovere (ho concluso gli esami di maturità il 9) e di scatenarti sul mio corpo la notte del 14, dopo il ritorno da Venezia; perfino questi quattro giorni di bella vacanza con i miei figli mi hai concesso.
Ora, va detto che in situazione di pandemia, la mia efficienza scolastica ha raggiunto livelli paradossali: durante il primo lock-down 2020 ho avuto una polmonite pazzesca per 45 giorni (ok, ok, non provocata da te) e ho continuato imperterrita a far lezione a distanza e registrare video didattici su You-Tube per le mie classi; in quel periodo surreale è stato anche abbattuto il tabù del “diritto alla disconnessione”, sicché da allora messaggi 24 ore su 24 da studenti/sse e colleghe/ghi (le brutte abitudini si sa, si prendono velocemente e non si perdono mai); in questi due anni sono mancata da scuola solo tre giorni per gli effetti post-vaccino (un lunedì d’assenza per ogni dose perché nonostante fissassi l'appuntamento di venerdì pomeriggio sperando di smaltirlo nel week-end, era tale la sberla di febbre e dolori che al terzo giorno ancora ero in stato comatoso); infine nel 2022 anche io prendo il Covid-19 e mi succede a luglio, quattro giorni dopo la maturità, in questo modo posso godermelo durante le vacanze… ma che culo!
Meglio così, almeno per una volta zero sensi di colpa, tié!
Ci scherzo perché penso di cavarmela, davvero.
Non dico che tu sia diventato una passeggiata, ma quale virus lo è mai stato per me?
Nella mia vita, ogni qual volta ho incontrato un coronavirus (uno dei tuoi tanti cugini responsabili di quella che tutti chiamano “una banale influenza”), sono stata da cani. Ora, vorrei capire, cos’avrebbe di tanto banale l’influenza? Cinque devastanti giorni di febbre (di cui tre altissima) naso colante e gola in fiamme, decine di volte su di me si è complicata in bronchite e tre volte in polmonite virale... che dici, con tre vaccini, me la risparmieresti tu?
Invece, ogni qual volta ho incontrato un virus gastrointestinale, ha fatto festa nel mio precario apparato digerente portandomi al limite della disidratazione (come anche tu stai facendo, beninteso), lasciando ripercussioni sul mio fegato per mesi...
Sì, lo so, la colpa è anche del mio corpo: dei miei polmoni segnati dalla Pertosse e dalla prima grande polmonite che ne derivò quando avevo sette anni (allora i vaccini contro la Pertosse non c’erano, feci più di 60 giorni di assenza a scuola, mi è quasi costata la seconda elementare oltre che la salute!) e del mio fegato cronicamente in difficoltà.
E quindi va bene così, scatenati pure, io sopporto e restiamo amici, solo due cose importanti ti chiedo:
1) La mia mamma deve guarire presto e bene.
2) Non mi friggere il cervello, a quello ci tengo.

lalla


P.S. Ripensandoci caro SARS-CoV-2, sai qual è una cosa che potrebbe aver contribuito a rendermi psicologicamente così accondiscendente nei tuoi confronti? Stamani mi sono pesata e ho scoperto di aver perso due chili. Cioè, tu non ti rendi conto: sei riuscito in un’impresa che neppure il lasciamento arrivò a fare!
Shhh! Zitti e buoni! Lo so anche io che sono solo liquidi, ma lasciatemi illudere porca miseria, dopo tutto voi ve ne state da qualche parte a bisbocciare in compagnia e io me ne sto qua, malata e sola: ho tutto il diritto di mentire a me stessa ;-)

sabato 4 giugno 2022

Strega e fiera

Sono perfettamente consapevole della fortuna che ho.
Sono una persona dolce e sorridente, ma anche acuminata e dritta come una lascia. Disturbante come una spina nel fianco. Naturalmente portata al rispondere, al non chinare la testa. Insofferente alle costrizioni.
Se fossi nata in un diverso spazio temporale? Facilmente sarei stata rinchiusa o morta.
Nel medioevo, mi avrebbero sposata bambina, fatta suora e poi bruciata. O bruciata direttamente. Scusate, lo so che il passato è passato, ma la caccia alle streghe e l'inquisizione mi sono rimaste proprio di traverso.
Invece sono nata nel 1975, che culo!
E se fossi nata in un diverso spazio fisico? Facilmente sarei stata rinchiusa o morta.
In un paese governato dalla sharia, anche oggi, mi avrebbero sposata bambina e poi lapidata. O lapidata direttamente. Scusate, lo so che non essendo islamica forse questi non sono affari miei, ma anche l'infibulazione, il burka e altre porcate simili, sono parecchio indigeste.
Invece sono nata a Firenze, che culo!
In fondo, sono Strega e libera solo perché posso esserlo.
Eppure non è propriamente vero, il caso non basta.
Anche nascendo dove sono nata e quando sono nata, potrei essere manipolata, soggiogata, rinchiusa o morta. La mia non è solo fortuna, ma forza di volontà.
Mi prendo i miei meriti: sono Strega e libera perché ho il coraggio di esserlo, nonostante viva in una società (certo più evoluta di altre, ma ancora patriarcale) che non sempre mi rende la vita facile.

Spezzate le vostre catene, Streghe, e liberate il vostro potenziale! La libertà è nostra, ma nessuno ce la servirà mai, dovremo sempre lottare per ottenerla e difenderla. 
Ci pensate mai che per millenni a metà dell’umanità è stato impedito di creare? Ci pensate mai a quante Raffaello-donna o Petrarca-femmina il mondo si è perso per soddisfare il bisogno del genere maschile di dominare quello femminile? Ci pensate a quanto sia stata mutilata l’Arte? Ne abbiamo persa metà.
Io ogni tanto ci penso e mi si attorcigliano le budella per l’ingiustizia. Per la pena verso questo piccolo mondo meschino.
Mi accusano di essere femminista ed effettivamente lo sono. Fieramente.
Cominciamo con l’eliminare la festa della donna (istituita con il nobile fine di ricordare la morte di centinaia di operaie nel rogo di una fabbrica newyorkese avvenuto l’8 marzo nel 1908). Ormai non basta più proprio per niente: le operaie, le artiste, le donne, le streghe morte ammazzate nella storia, magari fossero solo un centinaio!
Quanti femminicidi nella nostra evoluta Italia? Uno ogni tre giorni, giusto?
Ne voglio 365 di feste della donna, porca miseria, non una!
Ma che esagerazione lalla! Qualche maschio valevole, umano e realmente capace di sentimenti, esiste.
Per fortuna questo è vero, ne ho conosciuti perfino io e non vorrei mai apparire iniqua: potremmo istituire la festa dell’uomo il 29 febbraio. Ogni 4 anni mi pare pure troppo. Che portino pazienza questi esemplari evoluti, fin troppa ne abbiamo portata noi.
Tra qualche millennio, quando finalmente saremo pari, se ne riparla.

lalla

la Strega allo specchio con la Sacra Canon

sabato 9 aprile 2022

leggete il mio libro, fatelo per la mia pancia!

Sarebbe bello poter dire: “durante l’autunno e l’inverno sono ingrassata”.
Così, come facesse parte di un ciclo naturale, tipo le bestie che accumulano prima del letargo, una sorta di dato di fatto, ma al passato.
E invece no, la verità è che lo sto facendo tutt’ora. E non so bene come uscirne.
Mi tirano tutti i vestiti sulla pancia! Il fatto è che accumulo solo sopra (e per sopra non intendo le tette, quelle ci sono comunque, purtroppo intendo pancia, braccia e doppio mento). Avete presente la famosa siluette “a mela”? Nel mio caso è sempre stata più “a lattina di Coca Cola con le poppe”… però maschio… ho la ciambella sopra i pantaloni, ma che brutta!
Dio, quanto invidio le donne “a pera” e la loro cellulitica femminilità!


Il problema lo conosco molto bene: la mia è fame nervosa.
E ne basta pure poca (visto il mio metabolismo), quindi non aspettatevi grandi abbuffate (ma magari, della serie: ingrasso, ma almeno mi sfondo di leccornie!). No, il mio fegato non le reggerebbe, ormai da un decennio seguo un regime alimentare appropriato a base soprattutto di frutta, carne magra e verdure, condite con olio a crudo.
Però, da ottobre, mi sono concessa di reinserire un po’ di carboidrati (che di solito rifuggo) e poi, soprattutto, indugio nei dolciumi al cacao (di cui, ammettiamolo, sono diventata dipendente).
Non va bene per niente.
Ultimamente, mi sono perfino concessa un’Icnusa non filtrata a settimana.
Il fegato, ne sono certa, non ha gradito: “per me solo acqua, orzo e tisane al finocchio, prego”.
Ma sapeste invece quanto garba a tutto il resto del mio corpo! E come riesce a farmi staccare il cervello alla fine di una giornata scolastica estenuante e interminabile, dodici ore connessa su Whatsap e Teams. L’intero popolo della scuola è al capolinea, sappiatelo, sia professori che studenti, siamo tutti alla canna del gas (io, al collo di bottiglia, evidentemente).
I disturbi psicologici e alimentari non ce li ho solo io, purtroppo.
Le mie sono bazzecole in confronto alle crisi attraversate dalle mie studentesse e dai miei studenti.


Ma torniamo a me e a problemi meno gravi. In questi mesi ho sbocconcellato impunemente tavolette di cacao all’arancia, oppure mangiato una pizza e bevuto una birra (entrambe proibite), guardando bei filmoni in pieno degrado e relax (pigiamata e plaiddata) sul divano. Da sola, per due motivi: 1. mi vergogno a farlo in compagnia. 2. la compagnia non esiste.
Non sono mica scema: lo capisco benissimo che sono azioni consolatorie, coccole alternative (infatti lo faccio quando non ho i figli con me). E so che non è una cosa sana.
Che si tratta di una ricerca di sollievo e piacere immediato (che funziona pure, ma che a lungo andare mi sta condannando ad assumere la forma di un insaccato).
Di cosa mi devo consolare?
Volete saperlo davvero? Di due cose soprattutto:
1) Del clima opprimente che la pandemia ha imposto nelle scuole. Ha distrutto tanta della bellezza dell’insegnamento e ha reso il mio lavoro terribilmente frustrante.
2) Del fatto che sono delusa che quel merdoso del genio della lampada non abbia esaudito il mio desiderio: non ho trovato un editore, sono sconosciuta al popolo del mondo e nessuna amante del rosa leggerà mai il mio libro!
Poi c’è una certa solitudine esistenziale di fondo, che mi accompagna da tutta la vita (come il desiderio di sfogarla sul cibo).
E ora, anche una nuova guerra. Da sommarsi a tutte quelle che già c’erano.
Infine, devo ammettere una certa ciclicità, ogni tre anni circa mi lascio andare a una leggera, ma progressiva, trasgressione alle mie regole alimentari. E boom: gonfio come un pallone!
Dopo, mi scatta qualcosa nel cervello. Una sorta di schifo per me stessa, uno scatto d’orgoglio, che mi porta di nuovo a auto-contenermi nella mia dieta perenne: niente grassi saturi, niente carboidrati, niente alcolici.
Divento isterica, questo è vero, però dimagrisco.
Per perdere i 6kg accumulati negli ultimi 6 mesi, mi ce ne vorrebbero almeno altrettanti di semi-digiuno e, una volta persi, la gioiosa condanna al solito regime di privazioni. Che fatica…


Come faccio ad uscirne? Dove la trovo la forza di impormi di nuovo la disciplina ferrea di cui il mio corpo necessita? E quando mi scatta l’auto-schifo stavolta? Mi sto avvicinando al temibile punto di non ritorno… aiutatemi!
Ovviamente, per pandemia e guerra, non potete nulla, ma ci sono altri tentativi di intervento possibili:
1) Sei un’amica?
- Leggi il mio libro, recensiscilo e consiglialo a tutto l’universo femminile!
- Invitami a uscire, ci vediamo un film al cinema e poi ci beviamo una birra insieme (linea a parte, è comunque molto più sano che farlo da sola sul divano).
2a) Sei un amico?
- Leggi il mio libro (o regalalo alla tua lei), recensiscilo e consiglialo a tutto l’universo femminile!
2b) Sei un amico single e belloccio?
- Invitami a cena (evento mai successo in vita mia), per una volta mi metterei in tiro (rotolini permettendo) e ingrasserei a sbafo.
Che dite? Alla veneranda età di 46 anni, farei meglio a godermi la vita senza rimorsi, arrendermi ad un certo sovrappeso e ricomprarmi il guardaroba?
Uffa… ma io odio fare shopping!

lalla

P.S. Nel disperato tentativo di raggiungere  lettrici sconosciute amanti del rosa, ho cercato di creare una nuova copertina più "romantica". Di disegnare due corpi avvinghiati (lui a torso nudo e lei col vento nei capelli) non ce l'ho proprio fatta (per ora). Per la posa mi sono ispirata al manifesto del film "l'ultimo bacio" e per il profilo di lui un po' a Robert Pattinson. Il risultato mi piace, ma io non faccio testo: a me piaceva anche l'altra. Evidentemente, alle lettrici di rosa su Amazon, no.