mercoledì 29 maggio 2024

incomprensioni, pittura e amore

L’altro giorno riflettevo su quale fosse la molla che mi spinge a fare arte nonostante sia tanto faticoso (e pericoloso) e mi è venuto di essere sincera. Ho scritto questo sui social:

Mi sento incompresa da tutta la vita.
E per questo, sola.
Vorrei bastare a me stessa, ma tutto quello che faccio, me ne rendo conto, è una richiesta di condivisione e vicinanza. Il continuo raccontarmi, che chiaramente mi espone e porta al risultato opposto.
Dipingere, scrivere.
In fondo la mia arte è solo un tentativo disperato e vano di spiegarmi.
A me stessa e agli altri.”

Il che mi pareva un pensiero fin troppo scontato e comune, soprattutto tra le personalità creative.
Ma invece no, anche questa riflessione è stata fraintesa.
Si è alzato un coro di: “Devi amarti per quello che sei e bastare a te stessa” o addirittura: “Esci di casa, fai cose, ama”.
Il buffo della questione è che tale coro non provenisse da un popolo di eremiti appollaiati su cocuzzoli di montagna che vivono ognuno per conto suo e si amano in completa solitudine e realizzazione personale, bensì da esponenti della società. Mi ha ricordato quelle donne fresche di tintura che mi fanno sperticati complimenti per i miei capelli bianchi. E a me ogni volta viene di pensare: mi stanno prendendo per il culo? Può darsi. O forse ancora una volta ci stiamo solo fraintendendo a vicenda, come sempre.
Spiegarsi è faticoso quanto dipingere e pericoloso nello stesso modo. Scrivere lo è altrettanto. Ma sono tutte la stessa cosa, no? Sono sempre io.
Mi pare che in un’intervista 
Marina Abramović abbia detto: “sono un’artista anche quando vado a fare la spesa”. Io forse non sono un’artista mai, neanche quando dipingo, ma il concetto è quello: non riesco a scindere me stessa da quello che creo, sono tutti pezzi di me che escono fuori e si mostrano. Si espongono al pubblico ludibrio. Creare è come spogliarmi nuda e lasciare che la gente mi spii. Che indugi con lo sguardo su ogni mia caratteristica, che noti tutto ciò che in me si allontana dal loro modello ideale. Che mi ammiri o più soventemente mi derida. Chi vede raramente mi comprende, talvolta commenta e spesso mi ferisce. Per questo considero tutto ciò una pratica quasi autolesionista, un “tentativo disperato e vano”.
Eppure, necessario.
Sicuramente non lo faccio per diletto, ma per bisogno.
Che volete che vi dica? Io al mondo ci so stare solo in questo modo: i miei non sono hobby, ma necessità.
Ho dipinto la mia mamma. Lei non ha mai voluto e credo che fosse perché si è sempre considerata vecchia, dai quarant’anni in poi. E mi rattrista molto pensare che lei, che è sempre stata una donna bellissima, si sia sentita sciupata e sfiorita per metà della vita. Che peccato terribile.
Io la penso come gli antichi ritrattisti romani: i segni del tempo sono belli, sono simboli di esperienza e saggezza. Sono una fortuna. La memoria di come è stata vissuta la propria vita, dei traguardi raggiunti e del tempo trascorso insieme alle persone amate. Come Anna Magnani 
disse a una truccatrice : “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C'ho messo una vita a farmele!
Temevo la reazione della mamma. Mi dispiaceva pensare che vedersi ritratta da me avrebbe potuto darle fastidio. Soprattutto perché la mia "non è una pittura cosmetica” (indugia su ogni aspetto, ricama ogni piega, affonda nello sguardo e cerca di indagare l’anima). Ma avevo tanta voglia di dipingerla da troppo tempo e in fondo sono un’egoista, quindi l’ho fatto.
Sono anche presuntuosa perché cullavo la piccola speranza che vedendo il quadro si sarebbe piaciuta più che guardandosi allo specchio e che magari si sarebbe perfino commossa. Che avrebbe percepito l’amore che ho provato durante la stesura di ogni singola pennellata. Che avrebbe letto la propria bellezza attraverso i miei occhi.
Così non è stato.
Lei, come altre, ha visto solo le rughe. Come se la bellezza di una persona (nota bene, di una donna) fosse legata a questo unico fattore: la giovinezza.
Magari la colpa è mia che non sono stata all’altezza. O forse essere fraintesa è davvero intrinseco nel mio DNA.
Però, due cose voglio ancora provare a chiarirle.
Prima di tutto, l’errore non può essere il non aver alleggerito i contrasti cromatici in modo da mascherare e nascondere. La mia pittura tende al reale e non può essere intesa come una seduta di chirurgia estetica. Una cosa del genere mi ripugnerebbe.
Seconda cosa, non sono una pittrice esistenzialista alla Lucian Freud. Non voglio ritrarre il disfacimento della carne per disperarmi del degrado fisico e dell’insensatezza dello stare a questo mondo. Io sono esattamente il contrario: a me piace parecchio starci e quando dipingo una ruga, un seno cadente o una piega insolita della carne (che appartengano a me o a un altro soggetto), non lo faccio con disprezzo e disgusto, bensì con grande attenzione e cura. Dipingere, ormai ne sono certa, è per me soprattutto un modo d’amare.

lalla

P.S. penso che il quadro sia finito. Dopo la sua prima reazione è stato difficile riuscire a recuperare la serenità necessaria per andare avanti. L'ho lasciato a lungo in attesa. Solo quando mi sono sentita di nuovo tranquilla, l'ho portato fin dove volevo. In un angolino nascosto spero ancora che col tempo riesca ad apprezzarlo (e ad apprezzarsi) di più.

"la mia mamma", olio su masonite, 40x60 cm.