domenica 6 ottobre 2024

Helen Frankenthaler a Palazzo Strozzi

Sono stata alla presentazione per gli insegnanti della mostra di Helen Frankenthaler a Palazzo Strozzi e dopo ho visitato l'esposizione in libertà con le mie fantastiche colleghe del dipartimento.
Allora, la mostra mi è piaciuta, ma la presentazione organizzata dalla fondazione no. Trovo anche il sottotitolo dell’esposizione “dipingere senza regole” abbastanza fuorviante. L’artista ha più volte dichiarato di ispirarsi alla pittura classica e rinascimentale nella ricerca di un’armonia compositiva e cromatica, quindi “senza regole” una cippa! Quando ci è stato detto: “Chiediamo ai ragazzi, cosa vedete in questo quadro astratto? Ognuno è libero di vederci quello che vuole”, stavo per alzarmi e picchiare qualcuno.
In ogni caso, non credo sia facile capire appieno il valore di quest’artista senza snaturala. Dopo essermi immersa di persona nei suoi colori e aver ascoltato le sue parole dai video, anche se non conta niente, provo a dirvi come la penso io.
Primo punto, a molti darà un certo fastidio sapere che questa artista americana abbia avuto molto culo. È nata in una famiglia ricca e progressista che le ha permesso di formarsi in una scuola d’arte contemporanea, di entrare in contatto con i migliori galleristi, di frequentare chi le pareva, di viaggiare e villeggiare e di fare arte liberamente e incurante di qualsiasi aspetto economico per tutta la vita. Beata lei. Sì: beata lei, perché è chiaro che il povero Jackson Pollock morto di fame, alcolista e maledetto ci intenerisca di più, ma la spontanea forma di invidia generata dalla certezza che stiamo parlando di una privilegiata va superata. Soprattutto perché lei lo sapeva di essere una privilegiata, non l’ha mai negato, eppure si è impegnata tutta la vita nella sua ricerca artistica. Poteva vivere d’inedia, sperperare i beni di famiglia come molte “figlie di papà”, magari darsi ai vizi e alle droghe. Invece si è data da fare. Detto tra noi, a proposito del caro Pollock, se anche lui avesse bevuto di meno non gli avrebbe fatto male, ma evidentemente c’è chi nasce pieno di demoni e fa fatica a domarli. Lei, sempre beata, era nata senza demoni.
Ed eccoci al secondo punto: la sua pittura non significa niente. Amen! Helen Frankenthaler non si è eretta a profeta, non ha scelto di denunciare ipocritamente i mali del mondo, non ha aggiunto una ricerca spirituale o un’indagine sulla condizione umana. Niente. Questo, a mio parere, non scalfisce in nessun modo il valore della sua ricerca soprattutto materica e cromatica. Interessantissime le sue sperimentazioni tecniche, le pozze di tinte fluide e la stesura del colore con la spugna.
È cresciuta artisticamente accanto e in mezzo all’Espressionismo Astratto (ispirandosi nelle tecniche e nelle dimensioni del formato sia all’Action Painting di Pollock, sia allo spirituale Camp Field di Rothko e Newman), eppure non penso ne abbia mai fatto filosoficamente parte.
Prima di tutto, non mi sembra che Frankenthaler sia propriamente una pittrice astratta: le sue enormi tele hanno quasi sempre dei titoli, quindi dei soggetti (“Cosa ci vedi?” un'altra cippa). Il suo astrattismo, come direbbe Paul Klee, “è un mezzo, non un fine”.  Inoltre, manca tutta la componente di espressione (soprattutto di malessere in Pollock e di spiritualità in Rothko e Newman).
Si ispirava alla natura, all’acqua, agli splendidi paesaggi conosciuti nei suoi viaggi. In un’intervista dice che stava dipingendo un soggetto naturale, ma non gli interessava davvero cogliere lui, quanto il disegno e il colore che lo caratterizzavano. Mi ha ricordato tanto Claude Monet quando disse: “Metto del rosso sulla tela e solo dopo mi rendo conto di aver dipinto un tetto.”
Mi è venuto di pensare che la ricerca pittorica di Frankenthaler fosse più simile a un “Impressionismo astratto” che a un Espressionismo Astratto. Catturare e sublimare il dato ottico, l’armonia compositiva e cromatica della natura. Con un certo distacco scientifico e senza cercare di mandare nessun messaggio o raccontare niente di speciale, proprio come faceva il caro e vecchio Monet. Monet che alla fine, nelle enormi tele delle ninfee, del tutto inconsapevolmente, aveva fatto scivolare tutto sé stesso, raggiungendo un altissimo lirismo e uno dei più splendidi paradossi dell’Arte. Visitare l’Orangerie è come immergersi nel suo stagno a Giverny, è come fare un bagno nei colori e arrivare a toccare la sua anima.
Provate a visitare la mostra della Frankenthaler e a fare lo stesso: gioire degli accostamenti cromatici, danzare tra le linee e i pesi compositivi. Lasciatevi andare e fatevi tirare dentro. Tuffatevi nei suoi colori, guardate attraverso i suoi occhi e, con una certa leggerezza, accarezzate la sua anima.

lalla