sabato 8 novembre 2025

gioco di ruoli per raccontare la "Condizione Femminile"

Siccome stamani mi va di divertirmi, facciamo un gioco.
Una sorta di gioco di ruolo (o meglio di ruoli) in cui lalla è una pittrice già morta e sepolta… o magari anziana (che darmi così la morte non è il massimo neppure per finta), ma soprattutto tanto e inspiegabilmente (ri)conosciuta da meritare una lettura d’opera fatta in classe da un'entusiasta Professoressa Gonnelli durante la sua ora di Storia dell’Arte.
Fine quinta, fine programma… Ogni anno, nelle ultime ore a disposizione, l’insegnate si dedica a commentare insieme a studenti e studentesse alcune opere di arte contemporanea, tanto per generare qualche ultimo spunto di riflessione nelle sue classi prossime al distacco e alla partenza per il mondo, quindi ci sta.
Va bene, cominciamo a giocare.

Sono le 13:02 e l’orologio ha appena intaccato la diabolica sesta ora di lezione durante la quale la stragrande maggioranza dei neuroni del cervello (di insegnanti e studenti/sse) si è ormai suicidata e i pochi superstiti gridano disperati: “Ma basta, cazzo! È pomeriggio… Abbiamo fame!!!”
L’eroica PG (Professoressa Gonnelli) irrompe in classe apparentemente splendida e splendente e dotata di una voce squillante quanto una venditrice d’asta: “Buongiorno classe!”
Pinco Pallo, ridestandosi dall’angolo in fondo all’aula nel quale sonnecchiava spalmato più sulla parete che sul banco: “Buongiorno Prof…. Ma come fa ad avere ancora tutta questa energia alla sesta?”
PG, ridacchiando: “Più che di energia, a quest’ora parlerei di forza della disperazione, ma facciamoci coraggio, che oggi commentiamo l’opera di un’artista vivente… Forza Pinco Pallo, che siamo agli sgoccioli!” (mai dimenticarsi di Pinco Pallo, altrimenti quello torna in letargo) “Vi ricordate quella pittrice e scultrice fiorentina di cui abbiamo iniziato a parlare la scorsa settimana? Lalla?”
Meno male che qualcuno ancora è sveglio, infatti interviene la stoica e diligentissima Priscilla, ancora perfettamente eretta al primo banco: “Certo: è anche una scrittrice, mia mamma ha letto alcune sue commedie romantiche.”
PG: “Grazie Priscilla. Sì, è vero: scriveva per diletto (e credo che lo faccia ancora) perché adorava divertirsi e far divertire, ma ha invece dipinto e scolpito per esigenza, per sopire un bisogno profondo. Per cura.”
Si risolleva anche Pallina, quella apprensiva del gruppo: “Perché? Era malata prof?”
PG: “No, Pallina: non era malata, ma era viva. E la vita non è sempre semplice, soprattutto per una persona empatica e (iper)sensibile quale probabilmente è stata, soprattutto per una donna.”
Pinco Pallo e gli altri maschietti non se la prendono per un’affermazione del genere; con la scusa di parlare di Storia dell’Arte, nei cinque anni passati insieme, spesso PG li ha portati a riflettere sui diritti umani, sui doveri civili, sulle ipocrisie umane e sulle problematiche legate alle differenze e disparità (tra cui anche quelle di genere). Sarà anche la sesta ora e saranno tutti mezzi addormentati, ma stiamo pur sempre parlando di una classe molto consapevole.
PG: “Bene, l’opera scelta è Condizione femminile, realizzata nel giugno del 2025,” e così dicendo, proietta l’immagine sulla LIM.
Protesta Cippa Lippa, che oltre a essere cotta dalla stanchezza, è sempre stata un po’ polemichina: “Che senso ha fare una pittura così tradizionale nel 2025 dopo che Duchamp ha girato un cesso al contrario e l’ha chiamato Fontana nel 1917?”
PG sorvola, come anche Duchamp avrebbe serenamente fatto, sulla poca eleganza della parola cesso: “Beh, la Storia dell’Arte è fatta di corsi e ricorsi e la pittura figurativa (che non è per forza anche tradizionale) è sempre destinata a tornare. Un autore può risultare originale e contemporaneo anche attraverso una tecnica poco innovativa. Ad ogni modo, Cippa Lippa, proviamo ad analizzare l’opera e poi alla fine ne riparliamo, Okay?”
“Prima di tutto, io ho avuto la fortuna di vedere questa opera dal vivo e ricordatevelo: le opere andrebbero sempre viste e giudicate nelle loro reali dimensioni (che a proposito non sono queste, è un po’ più grande: 120 x 90 cm) e nella loro reale matericità. La materia, la tecnica, sono importanti. Della tecnica utilizzata dall’autrice abbiamo già parlato la scorsa volta… Qualcuno si ricorda?”
Priscilla, sperticandosi con la mano, come se nel primo banco l’intera classe e PG non riuscissero a vederla: “Utilizzava una tecnica molto diretta (probabilmente ispirata da quella dei Macchaioli avendo avuto una prozia, Emma Chiarugi, allieva di Giovanni Fattori ed essendo cresciuta con molti suoi quadri appesi alle pareti) e cioè mettendo i colori a olio con diluente vegetale direttamente su un supporto ligneo senza alcun tipo di imprimitura o trattamento.”
Sia lodata Priscilla, sempre sia lodata.
PG: “Molto bene. Ora, nel caso dei Macchiaoli la scelta era dettata dalla povertà (ricorderete che spesso dipingevano su tappi di scatole di sigaro inchiodate ad un tronco d’albero come cavalletto) e anche dal desiderio di velocità esecutiva (dipingendo all’aperto), invece per lalla le motivazioni sono differenti: il supporto da lei scelto (la masonite o MDF), non è solo il più economico e meno prestigioso in commercio (un pochino le piaceva l’idea di nobilitare con il talento un materiale tanto umile, è pur sempre fiorentina come noi e tutti i fiorentini si sentono un po’ figli del grande Brunelleschi, capace di inventare il Rinascimento e dare un nuovo volto alla città utilizzando i materiali più poveri a disposizione: muratura mista con intonaco e pietra serena o semplici mattoni rossi), ma anche il più difficoltoso. Senza imprimiture, senza trattamento, l’MDF succhia tutto il colore, lo assorbe, lo ferma e si oppone allo scivolare della pennellata. Più volte lalla ha raccontato di quanto fosse fisicamente estenuante dipingere, ma anche di quanto quella fatica della mano e delle membra le risultassero essenziali per accompagnare la fatica psicologica che il processo le richiedeva.”
Adesso tutta la classe la ascolta.
Pallina: “Io però Prof non capisco: se dipingere era così faticoso, perché lo faceva?”
PG, che mentre spiega si infervora come se stesse difendendo una parente prossima: “Perché non poteva farne a meno. Perché dentro sentiva tante cose e, quando queste diventavano troppe, logoravano, spingevano e l’unico modo di stare bene era riuscire a tirarle fuori ed affrontarle. Per questo vi dico che la sua pittura è stata una cura. Ogni quadro l’ha aiutata ad affrontare dei mostri o a comprendere meglio ed esprimere delle sensazioni, talvolta anche di tenerezza estrema o amore.”
Pallina: “Amore per chi? Non ci aveva raccontato che era stata parecchio sfigata con gli uomini?”
PG: “È stata tradita o delusa da quasi tutti gli uomini che ha conosciuto, sì. E, se è per questo, anche da molte amiche femmine. Tanto per non farsi mancare nulla, ha avuto anche un po’ di problemi fisici. Ma, nonostante tutto, è sempre stata molto innamorata della vita, dei suoi figli, della sua famiglia e di molte altre persone di cui si è presa cura. Compresa sé stessa: ha amato molto anche sé stessa e di sé stessa si è sempre presa cura… Adesso torniamo a leggere l’opera in questione, va bene? Prima di tutto: il soggetto. Sempronio, prova tu.”
Sempronio, dal terzo banco, nel quale fino ad adesso si sentiva abbastanza al sicuro: “Rappresenta una donna mezza nuda seduta su un letto un po’ disfatto, no?”
PG: “Va bene. E la composizione com’è?”
Sempre Sempronio, che a questo punto si sente preso di mira: “Boh… cioè: è divisa in due, no?”
PG: “Sì: è divisa in due fasce orizzontali: sfondo neutro e letto, quindi molto classica ed equilibrata.”
Sempronio, a cui non è andata giù di essere stato interpellato: “La figura però le è venuta un po’ spostata da una parte, mi pare.”
PG: “Ora, le è venuta… Magari ha deciso di dipingerla decentrata a ragion veduta.”
Priscilla, sempre sul pezzo: “Infatti anche Fattori utilizzava composizioni a fasce e decentrava il soggetto (si pensi al Carro di buoi in Maremma), questo fa proprio parte della classicità: raggiungere l’armonia compositiva senza la perfetta simmetria che conferirebbe all’immagine troppa rigidità. Inoltre, la scelta del formato mi sembra vicina al rettangolo aureo.”
Vabbè, in pagella a Priscilla tocca darle 10 per forza.
E, dal fondo, inaspettatamente risorge anche Pinco Pallo: “Forse ha scelto di mettere la donna di lato per evidenziare un vuoto accanto a lei.”
Vedi Pinco Pallo quando si sveglia come è arguto? Mai sottovalutare i sonnecchiosi!
PG: “Molto, molto bene.”
Priscilla, che ama avere l’ultima parola: “La posa della donna ricorda un po’ La Pubertà di Munch.”
PG: “Perfetto Priscilla, sicuramente. Anche la rarefatta ombra portata della figura sulla sinistra sembra citare quella più compatta e incombente del grande pittore pre-Espressionista. In quel caso l’autore aveva una visione molto negativa del femminile e voleva raccontarci che il diventare donna equivale quasi a una condanna a morte… Vediamo invece cosa voleva comunicarci questa autrice concentrandoci sull’iconografia, su rimandi e simboli, oltreché semplicemente sul soggetto ritratto… Qualche idea sul letto?”
Immancabilmente, Priscilla: “Nella tradizione classica spesso le figure femminili sono state ritratte in posa semi distesa su un talamo (come Veveri, amanti e procreatrici) a differenza della posa eretta del chiasmo attribuita agli uomini (simbolo delle loro virtù eroiche)… Qui la donna è seduta, quasi come se si fosse alzata dal letto.”
PG: “Proprio così, Priscilla. È seduta in modo solido e sembra quasi osservare e quindi prendere coscienza e le dovute distanze dal letto e dalla posizione semidistesa che le è sempre stata attribuita, insomma: dalla condizione femminile, che infatti è il titolo del quadro.”
Sempronio, a cui si è risvegliato pure l’ormone: “Il letto disfatto non potrebbe alludere al fatto che c’è stato un rapporto sessuale con un uomo che poi se n’è andato?”
PG: “E perché no? Può alludere a quello o più in generale alla dimensione domestica e intima, alle molti notti di sonno insieme e ad un periodo di vita condiviso con qualcuno che adesso non le è più accanto.”
“E lei, la protagonista, come vi sembra fisicamente?”
Sempronio: “Altetica.”
PG: “E’ vero, ha una muscolatura molto definita, ma anche un’anatomia minuta. Aggiungerei che il suo corpo risulta molto bello, ma altrettanto particolare e non omologato ad un preciso canone estetico. Possiede insomma la bellezza della realtà... Sui colori, qualcosa da dire?”
Ignoriamo per un attimo la mano di Priscilla e concediamo la parola a Pinchina che ha osato alzare la sua dalla seconda fila: “Ci sono tanti bianchi, ma non sono mai del tutto bianchi… comunque molto neutri e desaturati. Solo nella figura spicca il blu del velo che contrasta con l’incarnato un po' aranciato, che infatti è il suo complementare.”
PG si complimenta con sé stessa: ha fatto un bel lavoro con questa classe.
“Brava Pinchina, i bianchi non sono mai del tutto bianchi e neppure i neri, sai: la pittrice non usava mai il nero puro, ma mescolava blu e marroni in modo che ne risultasse sempre una tinta mutevole e mai un colore piatto che avrebbe monopolizzato troppo la tavolozza cromatica e l’attenzione... Rappresentazione dello spazio?”
A questo punto tocca a Chicca (stanno prendendo coraggio): “C’è molta tridimensionalità, le pieghe del lenzuolo sembrano vere e le gambe della donna sono un po’ in scorcio prospettico, no?”
PG: “Concordo. E adesso provate a dirmi cosa vi trasmette questo quadro.”
Dopo un po’ di silenzio, Pallina: “Solitudine e tristezza. Anche il volto in ombra di lei…”
Priscilla: “Anche se il lenzuolo è tutto ripiegato, ordine… e vuoto, come diceva Pinco Pallo.”
Strano che Priscilla conceda un merito a un suo compagno, ci sta che Pinco Pallo le garbi un po'.
Quello, forse recependo il richiamo della foresta, torna da noi: “Però lei così seduta eretta a me sembra molto padrona della situazione, molto solida, non mi pare che le manchi nulla e quindi vuoto sì, ma anche pienezza.”
Stai a vedere che tocca dare 10 pure a Pinco Pallo!
PG: “Vuoto, ma anche pienezza. Potremmo forse dire anche: assenza, ma anche presenza (magari nel ricordo). Fragilità, ma anche forza. Mancanza, ma anche completezza… Siete d’accordo?”
Annuiscono tutti convinti, anche Cippa Lippa, che si è tenuta in disparte rispetto alla conversazione, ma che ha ascoltato con attenzione e che adesso non pensa più che fosse inutile dipingere un quadro come questo nel 2025.
PG: “Bene. In conclusione, osservando anche la tecnica, la figurazione e cosa trasmette, se doveste definire lo stile di questa pittura o inserirla in un movimento, dove la piazzereste?”
Priscilla: “È una pittura realistica. Come tecnica assomiglia a quella dei Macchiaioli o agli autori della pittura del Ritorno all’Ordine che infatti viene chiamata del Ritorno al Realismo.”
PG: “Bene, quindi Realismo, ma proprio come Fattori?”
Ecco finalmente anche la voce di Cippa Lippa: “No. Non si tratta di un realismo distaccato e scientifico come quello di Fattori, dentro c’è dell’altro: c’è il sentire personale dell’autrice.”
Ovvia, allo scrutinio toccherà abbondare con i 10.
“Proprio così, Cippa Lippa, infatti l’autrice stessa ha definito la sua pittura Realismo Intimo.”
“Ottimo lavoro ragazzi e ragazze! Vi invito ad andare a vedere le opere dell’autrice presenti in città e adesso, mancando venti minuti alla conclusione della sesta ora del venerdì della penultima settimana delle vostre lezioni di liceo, vi concedo di sbracarvi sui banchi senza ritegno.”
Invece no, almeno in quattro si avvicinano alla cattedra e chiedono di poter osservare altre opere dell’autrice insieme a PG perché ormai gli è scattata la curiosità, unica e sola scintilla capace di condurre alla conoscenza.

Gioco finito e vi prego di perdonarmi. Lo so che è stato molto autocelebrativo e altrettanto surreale. Primo perché come pittrice non mi si fila nessuno, secondo, perché vivo in una società che non attribuisce quasi alcun valore all’insegnamento. Ma mi andava di raccontare molte cose del mio quadro e stamani avevo deciso di divertirmi, quindi mi sono concessa di ruzzare.

lalla