domenica 10 novembre 2024

6 novembre 2024

Nel 2009 ho scelto di effettuare una ITG (interruzione terapeutica di gravidanza) alla 28° settimana di gestazione. Ho abortito in Francia perché in Italia dopo le 22° settimana avrebbero rianimato il feto e dopo la 24° non avrebbero più concesso un'interruzione nonostante le evidenze mediche. Sono stata costretta a lasciare il mio paese per andare a partorire da sola tra le lacrime e in mezzo ad estranei che parlavano una lingua diversa dalla mia. Ho spinto fuori dal mio corpo una bambina cadavere dopo sette mesi di gravidanza. Dopo averla sentita scalciare e vista succhiare il liquido amniotico attraverso le ecografie. Dopo averla desiderata e amata con tutta me stessa. Dopo aver scoperto due mesi prima attraverso l'eco morfologica che aveva delle malformazioni cerebrali. Dopo aver aspettato tutto il tempo necessario per capire se esistesse un modo per aiutarla a stare bene. Dopo aver sottoposto lei e me stessa a ogni tipo di analisi e consulto. Dopo essermi infine arresa di fronte all'evidenza del suo peggioramento e aver accettato che quel modo non c'era. Dopo aver scelto di non farla nascere e di salvare prima di tutto lei (e poi chi al mondo già c'era) dalle sofferenze che ci sarebbero state fuori dal conforto della mia pancia. Di questa decisione non provo alcuna vergogna e non mi sono mai pentita, neppure una sola volta in tutti questi anni. Sono certa di essere stata per lei la migliore madre che potessi essere. Scrivo questo oggi perché mi sembra giusto ribadire, in un momento storico in cui tutto sembra andare dalla parte opposta, che ogni donna ha il proprio vissuto, la propria testa e il proprio cuore. Che tutti gli altri dovrebbero fare un passo indietro senza giudicare e lasciare che ciascuna possieda anche, in ogni parte del mondo, porca miseria, il sacrosanto diritto di scegliere cosa fare del proprio corpo e del proprio destino. lalla



martedì 22 ottobre 2024

piove

Piove. Io non amo la pioggia. Non sono una pianta e non ho bisogno di essere annaffiata. Il cattivo tempo mi stronca l'umore. E il buio di più. Insieme mi portano a rimuginare e a fare bilanci, a soppesare e a percepire soprattutto quello che manca nonostante sia tanto, tantissimo, quello che c'è. Spesso mi viene detto: "Sei una persona così forte!" Lo sono perché voglio esserlo. Le persone forti lo sono per scelta: scelgono di attutire i colpi (che arrivano per tutti e con la stessa intensità, forti o deboli che siano) e di non far piovere sugli altri il proprio dolore. La disillusione, la frustrazione, la fatica. Niente. Nascondono ogni cosa e la affrontano da sole. Sole. Come il sole non potranno mai essere guardate perché emanano luce verso l'esterno. Va bene così: abbronzatevi con i miei raggi, consolatevi con i miei sorrisi e nutritevi della mia energia, ma sappiate che essere una stella in fiamme richiede un alto grado di sopportazione. Non è sempre così facile, soprattutto sotto la pioggia.

lalla

domenica 6 ottobre 2024

Helen Frankenthaler a Palazzo Strozzi

Sono stata alla presentazione per gli insegnanti della mostra di Helen Frankenthaler a Palazzo Strozzi e dopo ho visitato l'esposizione in libertà con le mie fantastiche colleghe del dipartimento.
Allora, la mostra mi è piaciuta, ma la presentazione organizzata dalla fondazione no. Trovo anche il sottotitolo dell’esposizione “dipingere senza regole” abbastanza fuorviante. L’artista ha più volte dichiarato di ispirarsi alla pittura classica e rinascimentale nella ricerca di un’armonia compositiva e cromatica, quindi “senza regole” una cippa! Quando ci è stato detto: “Chiediamo ai ragazzi, cosa vedete in questo quadro astratto? Ognuno è libero di vederci quello che vuole”, stavo per alzarmi e picchiare qualcuno.
In ogni caso, non credo sia facile capire appieno il valore di quest’artista senza snaturala. Dopo essermi immersa di persona nei suoi colori e aver ascoltato le sue parole dai video, anche se non conta niente, provo a dirvi come la penso io.
Primo punto, a molti darà un certo fastidio sapere che questa artista americana abbia avuto molto culo. È nata in una famiglia ricca e progressista che le ha permesso di formarsi in una scuola d’arte contemporanea, di entrare in contatto con i migliori galleristi, di frequentare chi le pareva, di viaggiare e villeggiare e di fare arte liberamente e incurante di qualsiasi aspetto economico per tutta la vita. Beata lei. Sì: beata lei, perché è chiaro che il povero Jackson Pollock morto di fame, alcolista e maledetto ci intenerisca di più, ma la spontanea forma di invidia generata dalla certezza che stiamo parlando di una privilegiata va superata. Soprattutto perché lei lo sapeva di essere una privilegiata, non l’ha mai negato, eppure si è impegnata tutta la vita nella sua ricerca artistica. Poteva vivere d’inedia, sperperare i beni di famiglia come molte “figlie di papà”, magari darsi ai vizi e alle droghe. Invece si è data da fare. Detto tra noi, a proposito del caro Pollock, se anche lui avesse bevuto di meno non gli avrebbe fatto male, ma evidentemente c’è chi nasce pieno di demoni e fa fatica a domarli. Lei, sempre beata, era nata senza demoni.
Ed eccoci al secondo punto: la sua pittura non significa niente. Amen! Helen Frankenthaler non si è eretta a profeta, non ha scelto di denunciare ipocritamente i mali del mondo, non ha aggiunto una ricerca spirituale o un’indagine sulla condizione umana. Niente. Questo, a mio parere, non scalfisce in nessun modo il valore della sua ricerca soprattutto materica e cromatica. Interessantissime le sue sperimentazioni tecniche, le pozze di tinte fluide e la stesura del colore con la spugna.
È cresciuta artisticamente accanto e in mezzo all’Espressionismo Astratto (ispirandosi nelle tecniche e nelle dimensioni del formato sia all’Action Painting di Pollock, sia allo spirituale Camp Field di Rothko e Newman), eppure non penso ne abbia mai fatto filosoficamente parte.
Prima di tutto, non mi sembra che Frankenthaler sia propriamente una pittrice astratta: le sue enormi tele hanno quasi sempre dei titoli, quindi dei soggetti (“Cosa ci vedi?” un'altra cippa). Il suo astrattismo, come direbbe Paul Klee, “è un mezzo, non un fine”.  Inoltre, manca tutta la componente di espressione (soprattutto di malessere in Pollock e di spiritualità in Rothko e Newman).
Si ispirava alla natura, all’acqua, agli splendidi paesaggi conosciuti nei suoi viaggi. In un’intervista dice che stava dipingendo un soggetto naturale, ma non gli interessava davvero cogliere lui, quanto il disegno e il colore che lo caratterizzavano. Mi ha ricordato tanto Claude Monet quando disse: “Metto del rosso sulla tela e solo dopo mi rendo conto di aver dipinto un tetto.”
Mi è venuto di pensare che la ricerca pittorica di Frankenthaler fosse più simile a un “Impressionismo astratto” che a un Espressionismo Astratto. Catturare e sublimare il dato ottico, l’armonia compositiva e cromatica della natura. Con un certo distacco scientifico e senza cercare di mandare nessun messaggio o raccontare niente di speciale, proprio come faceva il caro e vecchio Monet. Monet che alla fine, nelle enormi tele delle ninfee, del tutto inconsapevolmente, aveva fatto scivolare tutto sé stesso, raggiungendo un altissimo lirismo e uno dei più splendidi paradossi dell’Arte. Visitare l’Orangerie è come immergersi nel suo stagno a Giverny, è come fare un bagno nei colori e arrivare a toccare la sua anima.
Provate a visitare la mostra della Frankenthaler e a fare lo stesso: gioire degli accostamenti cromatici, danzare tra le linee e i pesi compositivi. Lasciatevi andare e fatevi tirare dentro. Tuffatevi nei suoi colori, guardate attraverso i suoi occhi e, con una certa leggerezza, accarezzate la sua anima.

lalla






















sabato 8 giugno 2024

Piccola Fata pasionaria

Passeggiando per strada, tutto a un tratto: "Mamma, io credo che oltre al maschilismo, esista anche il problema dell'adultismo."
Indago: "Adultismo?"
"Sì, puoi capirlo anche dalle piccole cose: tipo quando usciamo da un negozio tu dici 'arrivederci' e loro ti rispondono 'arrivederci', anche io dico 'arrivederci' e loro delle volte non mi rispondono, oppure mi rispondono 'ciao'."
Mi lascia interdetta, chiaramente non va bene ignorare un bambino, ma il 'ciao' l'ho sempre inteso come una tenerezza, non come una mancanza di rispetto... va considerato però che chi ha un privilegio difficilmente tende a rendersene conto.
"E la cosa ti disturba?"
Annuisce.
"Quindi... come definiresti l'adultismo?"
E lei, precisissima: "L'adultismo è quando gli adulti pensano che i bambini non siano in grado di fare le cose da soli o anche, quando pensano che le cose fatte dai bambini siano meno importanti di quelle fatte dai grandi."
E che le vuoi dire a questa?
Solo congratulazioni e magari alle elezioni avessi la possibilità di votare per lei!

Nota bene che la definizione è perfetta anche se traslata su ogni tipo di razzismo, sessismo, etc.
Rimanendo sulla problematica specifica di adultismo (termine da oggi ufficialmente inserito nel vocabolario della lingua italiana dall'Accademia della Crusca e altro che 'petaloso'!😉), l'ho sempre percepita anch'io (fortunatamente meno presente in Italia che in altri paesi dove i bambini vengono totalmente esclusi dalla vita sociale dei grandi).
Come insegnante, ho cercato e cerco di tenerne conto, di non erigermi mai al di sopra di studenti e studentesse. Come mamma, pure.
Viva il giovanismo e arrivederci a tutte e tutti!

lalla


mercoledì 29 maggio 2024

incomprensioni, pittura e amore

L’altro giorno riflettevo su quale fosse la molla che mi spinge a fare arte nonostante sia tanto faticoso (e pericoloso) e mi è venuto di essere sincera. Ho scritto questo sui social:

Mi sento incompresa da tutta la vita.
E per questo, sola.
Vorrei bastare a me stessa, ma tutto quello che faccio, me ne rendo conto, è una richiesta di condivisione e vicinanza. Il continuo raccontarmi, che chiaramente mi espone e porta al risultato opposto.
Dipingere, scrivere.
In fondo la mia arte è solo un tentativo disperato e vano di spiegarmi.
A me stessa e agli altri.”

Il che mi pareva un pensiero fin troppo scontato e comune, soprattutto tra le personalità creative.
Ma invece no, anche questa riflessione è stata fraintesa.
Si è alzato un coro di: “Devi amarti per quello che sei e bastare a te stessa” o addirittura: “Esci di casa, fai cose, ama”.
Il buffo della questione è che tale coro non provenisse da un popolo di eremiti appollaiati su cocuzzoli di montagna che vivono ognuno per conto suo e si amano in completa solitudine e realizzazione personale, bensì da esponenti della società. Mi ha ricordato quelle donne fresche di tintura che mi fanno sperticati complimenti per i miei capelli bianchi. E a me ogni volta viene di pensare: mi stanno prendendo per il culo? Può darsi. O forse ancora una volta ci stiamo solo fraintendendo a vicenda, come sempre.
Spiegarsi è faticoso quanto dipingere e pericoloso nello stesso modo. Scrivere lo è altrettanto. Ma sono tutte la stessa cosa, no? Sono sempre io.
Mi pare che in un’intervista 
Marina Abramović abbia detto: “sono un’artista anche quando vado a fare la spesa”. Io forse non sono un’artista mai, neanche quando dipingo, ma il concetto è quello: non riesco a scindere me stessa da quello che creo, sono tutti pezzi di me che escono fuori e si mostrano. Si espongono al pubblico ludibrio. Creare è come spogliarmi nuda e lasciare che la gente mi spii. Che indugi con lo sguardo su ogni mia caratteristica, che noti tutto ciò che in me si allontana dal loro modello ideale. Che mi ammiri o più soventemente mi derida. Chi vede raramente mi comprende, talvolta commenta e spesso mi ferisce. Per questo considero tutto ciò una pratica quasi autolesionista, un “tentativo disperato e vano”.
Eppure, necessario.
Sicuramente non lo faccio per diletto, ma per bisogno.
Che volete che vi dica? Io al mondo ci so stare solo in questo modo: i miei non sono hobby, ma necessità.
Ho dipinto la mia mamma. Lei non ha mai voluto e credo che fosse perché si è sempre considerata vecchia, dai quarant’anni in poi. E mi rattrista molto pensare che lei, che è sempre stata una donna bellissima, si sia sentita sciupata e sfiorita per metà della vita. Che peccato terribile.
Io la penso come gli antichi ritrattisti romani: i segni del tempo sono belli, sono simboli di esperienza e saggezza. Sono una fortuna. La memoria di come è stata vissuta la propria vita, dei traguardi raggiunti e del tempo trascorso insieme alle persone amate. Come Anna Magnani 
disse a una truccatrice : “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C'ho messo una vita a farmele!
Temevo la reazione della mamma. Mi dispiaceva pensare che vedersi ritratta da me avrebbe potuto darle fastidio. Soprattutto perché la mia "non è una pittura cosmetica” (indugia su ogni aspetto, ricama ogni piega, affonda nello sguardo e cerca di indagare l’anima). Ma avevo tanta voglia di dipingerla da troppo tempo e in fondo sono un’egoista, quindi l’ho fatto.
Sono anche presuntuosa perché cullavo la piccola speranza che vedendo il quadro si sarebbe piaciuta più che guardandosi allo specchio e che magari si sarebbe perfino commossa. Che avrebbe percepito l’amore che ho provato durante la stesura di ogni singola pennellata. Che avrebbe letto la propria bellezza attraverso i miei occhi.
Così non è stato.
Lei, come altre, ha visto solo le rughe. Come se la bellezza di una persona (nota bene, di una donna) fosse legata a questo unico fattore: la giovinezza.
Magari la colpa è mia che non sono stata all’altezza. O forse essere fraintesa è davvero intrinseco nel mio DNA.
Però, due cose voglio ancora provare a chiarirle.
Prima di tutto, l’errore non può essere il non aver alleggerito i contrasti cromatici in modo da mascherare e nascondere. La mia pittura tende al reale e non può essere intesa come una seduta di chirurgia estetica. Una cosa del genere mi ripugnerebbe.
Seconda cosa, non sono una pittrice esistenzialista alla Lucian Freud. Non voglio ritrarre il disfacimento della carne per disperarmi del degrado fisico e dell’insensatezza dello stare a questo mondo. Io sono esattamente il contrario: a me piace parecchio starci e quando dipingo una ruga, un seno cadente o una piega insolita della carne (che appartengano a me o a un altro soggetto), non lo faccio con disprezzo e disgusto, bensì con grande attenzione e cura. Dipingere, ormai ne sono certa, è per me soprattutto un modo d’amare.

lalla

P.S. penso che il quadro sia finito. Dopo la sua prima reazione è stato difficile riuscire a recuperare la serenità necessaria per andare avanti. L'ho lasciato a lungo in attesa. Solo quando mi sono sentita di nuovo tranquilla, l'ho portato fin dove volevo. In un angolino nascosto spero ancora che col tempo riesca ad apprezzarlo (e ad apprezzarsi) di più.

"la mia mamma", olio su masonite, 40x60 cm.

domenica 17 marzo 2024

tutto quello che verrà

Tutte le età sono belle, ma al di là dei luoghi comuni e dei punti di vista politicamente corretti: ce ne sono alcune più belle di altre.
Ne esiste una, oserei dire, "perfetta" in cui si è ancora abbastanza piccole dal credere che il mondo sia composto di persone gentili e rispettose e che tutto andrà sempre bene. Un’età in cui prevalgono curiosità e speranza, non timore. E dove si è già abbastanza grandi per aver capito cosa ci piace ed aver elaborato sogni complessi. Un’età che purtroppo, incaute, desideriamo abbandonare perché smaniose di crescere convinte come siamo che il futuro non potrà altro che darci la possibilità di realizzarli.
Quindi, un’età destinata a durare pochissimo e a scontrarsi con gli imminenti cambiamenti fisici, chimici e mentali dell’adolescenza; per alcune tanto violenti dal mettere in discussione tutto.
In ogni caso, anche l’età del sentirsi inadeguata e strana, passerà.
Arriverà quella adulta in cui si intraprendono avventure, si imbastiscono progetti e si costruiscono cose, le occupazioni, il grande amore, i rapporti umani, la propria casa e magari si lavora ancora incessantemente per inseguire gli stessi sogni, quelli che avevamo immaginato nell’età perfetta. Magari solo un po’ rivisti e più concreti.
Poi arriverà l’età delle scoperte, dove i rapporti umani si rivelano quasi sempre rapporti di comodo, dove tante persone del mondo mostreranno la loro vera faccia di egoismo e indifferenza. Dove ce ne saranno alcune che tenteranno solo di sfruttarci e poi distruggerci, noi e i nostri sogni.
La disillusione rischierà di schiacciarti, ma invece no, andrà bene comunque perché come tutte le età anche quella passerà.
Arriverà l’età della maturità e della consapevolezza, quella in cui ti renderai conto che, se hai agito con impegno, coraggio, gentilezza e onestà, niente sarà stato inutile e che in fondo non hai perso i tuoi sogni. Sono ancora lì con te, a portata di mano. Forse non sono proprio gli stessi che avevi a dieci anni, ma a dire il vero: neppure tu sei proprio la stessa. Magari sono cresciuti con te, si sono evoluti e adesso sono perfino migliori.
Certo: ci vuole fortuna, non solo impegno.
Quella ti auguro, mia Piccola Fata, tanta, tantissima fortuna. La stessa che ho avuto io e che mi ha concesso di continuare a sognare liberamente, scrivere, dipingere ed anche essere la tua mamma. Avere una figlia o un figlio significa sdoppiare il proprio interesse, allontanarsi da sé stesse e guardare da fuori la vita di un’altra persona, una persona più importante di te. Diventare spettatrice oltreché attrice. Anche questo ti auguro di provare un giorno perché è qualcosa di potentissimo, ma solo se lo vorrai. Perché, innegabilmente, diventare madre complica le cose. Si rimane fregate: la propria felicità non dipende più solo dalla fortuna e dall’impegno personale, ma soprattutto dal riflesso di quella della propria prole. Potrà sembrare poco femminista, ma che posso farci? Per me è un istinto naturale: da quando vi ho messo al mondo le cose devono andare bene per voi e solo così sento che stanno andando bene anche per me.
Eh, lo so, non è giusto caricare te e il Re dei Sugolini di questa responsabilità, ma infatti tranquilla: io non ho intenzione di dirtelo. Ti prometto che quando attraverserai età sfortunate io cercherò di rimanerti accanto (o di spostarmi da una parte, se lo preferirai) e non verrò mai a dirti che vederti delusa o infelice mi sta facendo soffrire. Le età di merda (alla faccia del “tutte le età sono belle”) fanno già abbastanza schifo senza bisogno che una madre ci metta il carico da undici. In cambio vorrei chiederti, se posso, di non arrenderti mai, di lottare e avere fiducia. I momenti difficili, le disillusioni peggiori: tutto passerà. Dalle cadute più rovinose ti rialzerai più forte e io, se tu lo vorrai, sarò lì a porgerti una mano.
Non ho più dieci anni e sarei un’imbecille se ti promettessi che tutto andrà bene proprio come vorrai, anzi, posso rivelarti in piena coscienza che non accadrà di certo. Purtroppo, te lo confesso, un’altra cosa che una persona ansiosa come me diventa partorendo è: "apprensiva". Su questo aspetto lavoro quotidianamente, non voglio opprimere te ed Elia con le mie preoccupazioni e quindi adesso ti dico che con tanto coraggio e, ribadisco, la giusta dose di culo, le cose evolveranno, si sistemeranno e magari andranno perfino meglio di come ti eri immaginata. La vita, scoprirai, possiede una certa ironia e sa essere molto fantasiosa. Lasciati sorprendere, figlia mia.
Ma non scordarti mai di come sei adesso, di quello che hai provato nella tua età perfetta, rimani amica di questa meravigliosa Piccola Fata come io lo sono rimasta della mia piccola lalla. Questo è il segreto, sai?
Se i miei sogni si sono avverati, si stanno avverando e so che si avvereranno ancora, molto lo devo a lei. A quella bambina di dieci anni che ogni giorno immaginava storie con le sue Barbie e scriveva i suoi racconti su diari segreti, che osservava il mondo con occhi curiosi (soprattutto il mondo della sua famiglia, fatto di tante donne) e lo disegnava con cura chiusa nella sua camera. Ancora e ancora. Quella piccola lalla che immaginava di diventare una celebre scrittrice, un’artista famosa e avere una figlia con le trecce. Che celebre e famosa non è diventata, ma chissenefrega perché ha imparato, sta imparando, che l’approvazione degli altri e il sentirsi dire “brava” non sono così fondamentali se riesci a darteli da sola. Che, inaspettatamente, ha partorito anche un figlio adorato e, nota bene, quella bambina con le trecce sei tu. Arrivata quando mai avrei creduto, dopo una lunga serie di aborti e aver detto la parola “basta”. E invece, a sorpresa: ecco la Matilde! Che culo, per l’appunto.
Ma il mio babbo, accanito giocatore di carte, alle nostre continue lamentele sulla sua fortuna sfacciata rispondeva convinto: “Tre volte culo è classe.”
Allora un po’ di classe ce l’ho anch’io e la stessa, credo e spero, saprai trovarla anche tu.

lalla

"Tutto quello che verrà", olio su masonite, 60x60 cm, marzo 2024


sabato 17 febbraio 2024

conversazioni distopiche pre-scrutinio

Pomeriggio di febbraio in una scuola semideserta.
Ciondolo come gli/le altre/i insegnanti in fase digestiva e attesa semi-vegetativa che si liberi un'aula per procedere allo scrutinio.
Nel salone centrale e in bella vista, mi si avvicina collega eccentricamente festosa e urlante: "Ilariaaa!!!!"
Mi scuoto dal torpore e saluto gentilmente.
"Ma tu per caso stai scrivendo il tuo terzo librooo?!"
Un po' imbarazzata per il tono altissimo che attira l'attenzione delle/i presenti, ma grata per l'interessamento, rispondo cauta: "L'ho già pubblicato."
E quella, giuliva: "Posso consigliarlo a una studentessa?"
Perché mai questa proposta?
Il mio cervello ancora mezzo in catalessi e già settato sul dovere che l'attende, fatica a cogliere immediatamente il senso della conversazione, in ogni caso: "Veramente io evito di pubblicizzare i miei libri nelle classi."
Gesticola con fare comprensivo: "Certo, fai bene." Poi aggiunge, quasi preoccupata: "Ma li pubblichi senza uno pseudonimo, proprio così col tuo nomeee???"
Quando le rispondo guardinga ammetto che il mio livello di gratitudine è drasticamente scemato: "Beh, sì, non mi sembra di aver fatto niente di male scrivendo dei libri."
Mi rassicura: "Ma certo... in ogni caso, lei potrebbe acquistarlo?"
"Come tutti... sono su Amazon," e mi informo: "Quale volevi consigliarle?" Ammesso che la signorina esista davvero.
Si affretta a prendere le distanze con gesti teatrali: "Ah, non saprei proprio, io non li ho mica letti," e con fare ammiccante: "Sai, non sono il mio genere."
OK, quindi dove vogliamo andare a parare?
La guardo muta, dandole il permesso di concludere solennemente: "Io leggo Guerra e pace."
Perfetto.
Ora, magari la collega in questione vorrebbe solo essere gentile, è una tipa vivace, sono io a essere cattiva, ammettiamolo: il risveglio disarmonico dallo stato letargico non mi ha fatto bene.
Una piccola stronzissima parte di me avrebbe tanta voglia di risponderle acidamente: "Allora perché non consigli Guerra e pace alla tua studentessa?"
Ma per fortuna sono anche persona educata e francamente impegnata in questioni più serie, quindi recupero lucidità, ringrazio con ampio sorriso e mi dirigo a fare lo scrutinio.

lalla

mercoledì 7 febbraio 2024

bellezza e(è) libertà

Parma, 2004.


Ogni tanto razzolo nel pc e scovo qualche vecchia foto. Questa tutta in ghingheri davanti all'ingresso di un alberguccio emiliano inizialmente mi aveva un po' intristito. Il fatto è che, porca miseria, in questo scatto sembro Monica Bellucci al lido di Venezia!
Mi sono ricordata che quando ero così "in forma" era perché mi privavo del cibo per mesi e mesi cercando di essere abbastanza magra e bella per la persona che avevo accanto. Sinceramente, un po' per scherzo e molto sul serio, ha sempre tentato di non farmi sentire del tutto alla sua altezza. Mi diceva che avevo un modo di fare poco femminile, che qualche volta gli sembrava di stare con un maschio. Io non è che ci credessi davvero, ma a ripensarci, che rabbia!
Ok, poi ho continuato a scorrere le foto e ne ho trovate molte altre dove rido sguaiatamente con la qualunque e mi scateno in pista peggio di Bella Baxter. E allora mi è tornata l'allegria.


Ricordo bene anche le gomitate che mi tirava sotto il tavolo quando secondo lui alzavo troppo il tono della voce o chiacchieravo a vanvera. La sua supponenza nei confronti della mia pittura e del mio modo di scrivere. Tanti sforzi inutili per sottomettere e imprigionare me che probabilmente hanno finito per frustrare lui. In fondo non gli ho mai dato troppa retta, la mia natura, solo all'apparenza mite, è profondamente disubbidiente e libera.
E la dieta dimagrante l'ho fatta anche prima di lui (perché è soprattutto la società a farti sentire inadeguata) e l'ho rifatta pure dopo, sia chiaro, dovrei rifarla anche adesso, ma per questioni di benessere e salute va bene, non per inseguire un merdoso standard imposto da qualcun altro.

lalla

venerdì 2 febbraio 2024

torna quando vuoi

Che cosa strana l’inconscio, non trovi?
Nel mio caso spesso e volentieri lavora contro di me sostenendo simpatici sensi di colpa e immancabili ansie da prestazione; stanotte pareva dello stesso avviso. Invece.
Come sai in questo periodo siamo di scrutini, quelli del primo quadrimestre e io potrei concedermi di dormire se non fosse che ci sono già in ballo decisioni importanti come la composizione delle commissioni (i miei studenti e le mie studentesse mi fanno una corte spietata perché li porti all’esame, ma quest’anno, non so se lo sai, anche tuo nipote Elia deve sostenere la maturità nella mia scuola; diciamo che la situazione è più complicata del solito e dovunque mi volti rischio di far danni e scontentare qualcuno). Tanti, tanti pensieri. A metà nottata mi sono ritrovata con l’occhio pallato. I miei intorcinamenti cerebrali, ti confesso, non ti riguardavano (ero così presa dai miei doveri di insegnante e di mamma che mi stavo scordando quelli di figlia).
Ma per fortuna dopo un po’ mi sono addormentata di nuovo e ho iniziato a sognare: un gruppo di persone allegre, tipo quasi a braccetto, chi fossero non mi interessa, ma a due metri da me e un po’ spostato sulla sinistra c’eri tu. Tu ancora vigoroso e forte, ma non troppo in sovrappeso. Neanche troppo imbiancato, diciamo un tu cinquantenne, praticamente mio coetaneo.
Ti ho riconosciuto e mi sono sentita fortunatissima di poterti incontrare di nuovo: “Che bello che sei venuto, era tanto tempo che non lo facevi.” Anche tu mi hai riconosciuto e mi hai sorriso. Sapevo che era un sogno e sapevo anche che avevamo poco tempo a disposizione così ti sono venuta subito incontro e ti ho abbracciato. Ho percepito fisicamente il nostro contatto (ed è strano, nei sogni di solito vedo ciò che succede “da fuori” e non riesco ad utilizzare davvero i sensi). Invece ho sentito la solidità del tuo corpo e, deliziosa, la tua barba sulla mia guancia. Come allora, forse un pochino più dura di allora perché in effetti la tua era molto soffice, ma l’ho sentita. Chiaramente. Ho fatto bene ad abbracciarti, è stata una sensazione bellissima. Ma è durata solo un attimo, poi mi sono svegliata.
Se avessimo avuto ancora un po’ di tempo, magari anche solo una frazione di secondo, che nel sogno si sarebbe dilatata, avrei potuto raccontarti tante cose su di noi e su quello che facciamo. Rassicurarti sul fatto che stiamo tutti bene e ricordarti che devi aver fatto qualcosa di davvero buono se ancora oggi, dopo otto anni, ti portiamo con noi. Forse avrei potuto utilizzare quel poco tempo che avevamo per confessarti che la mamma ti guarda ancora con lo stesso sguardo, so che ti avrebbe fatto piacere perché sei sempre stato un inguaribile romantico. Invece no, non ho potuto fare a meno di essere egoista: avevo tanto bisogno dal tuo abbraccio e me lo sono preso. Mi ha riempito di soddisfazione, ha sciolto ogni nervosismo e tensione, ha riportato la mia mente alle cose belle e giuste. È stato un dolcissimo modo di passare la giornata ogni tanto toccarmi la guancia e ricordare quella carezza ispida. Grazie.
Grazie di essermi venuto a trovare proprio per il tuo compleanno.  
Caro babbo, torna quando vuoi.


lalla



sabato 4 novembre 2023

Madre Natura

Mentre dipingevo provavo così tante cose. Avrei dovuto dirvele allora, ma in fondo è proprio quello che stavo cercando di fare con i colori. Adesso forse no, forse è diventato superfluo. E mi fa fatica per una questione di principio e cioè la presunzione di pensare che questo mio quadro possa parlare da solo. 
Da molti giorni lo guardo e in effetti a me parla. 
Ma forse a voi no e allora magari potrei darvi qualche suggerimento, così tanto per capire dove andare a parare, tanto per portavi sulla mia stessa lunghezza d'onda, ma poi basta. Che una volta finite, le immagini diventano di chi le guarda e che ognuno si lasci dire da loro ciò che vuole. Anche niente, se gli garba il mutismo.
In ogni caso, ora ci provo.
Come molti dei mei lavori, anche questo ha a che fare con la Bellezza.
Ha a che fare con la bellezza dell'unicità e della verità. La mia verità, la nostra. Quella di tutte noi.
Ha a che fare con la bellezza dei miei affetti reali e per questo ho chiesto a mia sorella Silvia di posare per me.
Ha a che fare con la bellezza della memoria, dei segni del tempo e delle cicatrici. Che sono magnifici trofei, ricordi di fibre ricucite, di dolori superati, di corpi e di spiriti sopravvissuti. Di voglia di vivere e di andare avanti. Nel 2009 Silvia è stata da Veronesi a Milano e lì le hanno tolto un tumore al seno grosso come un frutto. Tutto in una solo volta: asportazione e ricostruzione; l'intervento è durato più di sei ore. In famiglia siamo talmente poppone che con una mammella sono riusciti a rifarne due e non è che adesso si ritrovi piallata. Le dissero che dopo un taglia e cuci così estremo probabilmente i capezzoli sarebbero morti, ma in famiglia siamo anche parecchio sterpigne e così quelli sono sopravvissuti proprio bene. Non solo: la cicatrice intorno all'aureola si è accresciuta e naturalmente sfrangiata creando un effetto particolare che li fa somigliare a due splendidi fiori.
Questo dipinto ha a che fare con la bellezza di una grande quercia, dal tronco forte e robusto, dalla chioma ombrosa e frusciante nel vento, dalle frasche cariche di bacche nutrienti.
Ha a che fare con la fertilità e la prosperità tanto quanto un'antica venere preistorica. 
Chi meglio di mia sorella poteva interpretare per me Madre Natura? 
Lei che ha dato alla luce quattro figlie e che vive circondata da animali di ogni tipo e in continua riproduzione, lei che adora il cibo e l'abbondanza.
Lei che rinchiude in sé ogni aspetto della natura: quello terribile e sublime amato da Turner e quello pittoresco e rassicurante preferito da Constable. Lei che qualche volta ha quel suo modo aggressivo di porsi, che sembra esplodere come una grandinata d'estate per devastare i raccolti. Lei che con me ha saputo tante volte anche essere mite, l'amica più fidata al mondo e farmi sentire al sicuro come un pulcino in un nido di rondini a primavera. 
Lei che è la mia bellissima sorella grande.

lalla

"Madre Natura", olio su masonite, 70x50 cm.