venerdì 25 aprile 2025

seconda presentazione de "la saga dei colori" in arrivo

Ma io che ogni tanto scrivo commedie romantiche? Infatti colleziono anche Barbie, quindi il profilo folle coincide alla perfezione. Davvero, eh, non sto scherzando: sono già a quattro!
Di libri, il numero delle Barbie non ve lo dico altrimenti mi fate rinchiudere.
In ogni caso, dimentichiamo per un attimo le inquietanti ragazze di plastica e concentriamoci sulle commedie romantiche.
Se non le avete ancora lette, vi invito a provarci, pare che non siano poi così male...
Se lo avete già fatto e vi sono piaciute, sappiate che mi fareste un enorme regalo lasciando una recensione su Amazon (anche fosse di una sola riga, mi aiuterebbe moltissimo a realizzare il mio sogno).
Cavolo, scusate, mi dispiace pensare di scocciare la gente, tanto è vero che ho aspettato tantissimo per organizzare la mia prima presentazione letteraria de "la saga dei colori". Ma, inaspettatamente, a febbraio è venuta fuori una serata parecchio allegra;
Allora, per chi se la fosse persa (o fosse tanto masochista da volersene sorbire due), ne sto mettendo su un'altra che dovrebbe avvenire giovedì 5 giugno alle 18:00 alle Murate Caffè Letterario a Firenze.
Sia che leggiate i miei romanzi, sia che partecipiate con me alla serata di giugno, sia che seguiate il mio blog il Re dei Sugolini o i miei profili social oppure che ci si ritrovi a chiacchierare per strada... sia quel che sia, spero di intrattenervi e di non annoiarvi mai. Se dovesse accadere, chiedo scusa.
Intanto: grazie, grazie, grazie di cuore a tutte le persone che mi sostengono! 

lalla

#BluMaria #RossoLeonardo #GialloCristina #IndacoBianca



martedì 22 aprile 2025

Pasquetta

Stasera penso che la vita sia straordinaria così com'è, senza il bisogno di scomodare grandi nomi, eroi, morti o presunte resurrezioni. Perfino senza riferirsi al genere umano.
Me lo ricorda la mia gattaccia Selina.
Lei che mi guarda sempre come se mi schifasse a morte. Lei che mi sfugge irritata ogni volta che la sbaciucchio.
Lei che però si fida di me e la notte si accovaccia tra le mie gambe.
Lei che oggi pomeriggio ha aspettato che rientrassi per iniziare il travaglio e mi ha chiamata, supplicata di starle accanto. Per ore. Arrivando a pretendere di partorirmi in braccio. E io che gliel'ho lasciato fare, accarezzandola e consolandola senza sosta, fusa e dolore, occhi negli occhi. Finché non è arrivato il primo piccino e lei è diventata mamma. Finché non ha distolto il suo sguardo verso qualcosa di molto più importante 
della propria paura e di me.
Grazie Selina e viva la vita che, ne sono certa, è più forte dello squallore, dell'egoismo e anche della grandezza degli esseri umani. È più forte dei peggiori e dei migliori di noi.
È più forte e basta e va avanti sempre.

lalla

lunedì 14 aprile 2025

la casa di lalla

Stamani, dopo aver salutato mia figlia, mi sono guardata intorno e ho capito: la mia casa non è più solo la mia casa. Sto propagando me stessa, sto debordando. Senza rendermene conto, e con estrema lentezza, sto costruendo il mio "Merzbau".
La meravigliosa casa di Schwitters fu tragicamente bombardata e distrutta durante la seconda guerra mondiale.
Pensare che anche "la casa di Lalla" un giorno venga distrutta, smembrata e persa, un po' mi spaventa e un po' mi consola. Mi deresponsabilizza.
Ho un problema di "contenimento", non riuscirò mai a fermarmi e quasi certamente arriverò a dilagare, ma poco importa: sono praticamente sconosciuta e quello che faccio non ha un valore per il resto dell'umanità. Non servirà scomodare il frastuono della Storia per cancellare il mio passaggio, basterà il silenzioso scorrere del tempo.

lalla

domenica 6 aprile 2025

il dittico della cura

Per una volta, vorrei provare a vincere la mia natura logorroica e non scrivere (quasi) niente nella speranza che la mia pittura riesca a spiegarsi da sola.
Speranza vana, ne sono cosciente; ma in ogni caso, anche se provassi a farlo a parole, verrei comunque fraintesa. E allora, sai cosa? A questo giro, mi piacerebbe risparmiarvi la noia di leggermi.
Ci terrei a fare una sola (inutile) precisazione: questo dittico non è né il mio autoritratto, né il ritratto di mia figlia. Vi chiederei quindi di astenervi, se possibile, da commenti del tipo: "Ti sei fatta più vecchia" o "Matilde ha la faccia diversa", il naso così, il naso colà e via dicendo. Cioè: non è che questi due quadri debbano piacervi per forza, ma almeno sappiate che il soggetto che ho tentato di rappresentare non sono due persone, bensì la cura.

La cura che mi prendo delle persone che amo. 
La cura che loro hanno di me. 
La cura che metto nei miei quadri. 
La cura con cui la pittura mi guarisce.

lalla

P.S. Chiedo scusa, a stare proprio zittina non sono riuscita neppure stavolta.
"Dittico della Cura", olio su masonite, marzo-aprile 2025
"La cura - primo pannello", olio su masonite, 60 x 45,5 cm
"La cura - secondo pannello", olio su masonite, 60 x 45,5 cm

venerdì 14 marzo 2025

la piena

Sono cresciuta in mezzo ai campi. In campagna il valore di una persona si misura a seconda che sappia o meno accendere un fuoco. Io so accendere un fuoco e non solo: so gestirlo e prendermene cura. Le fiamme mi sono amiche e non mi hanno mai spaventata.
L'acqua sì, tanto.
Quella eccessiva, piovuta dal cielo sotto forma di rovesci e grandine e, soprattutto, quella straripata dai fossi, dai torrenti, dai fiumi. Quella che distrugge.
Ieri, percorrendo le scale della mia scuola appollaiata sull'Arno, l'ho guardato gonfiare rabbioso avvertendo salire la consueta inquietudine. Lui può tutto.
Da quasi vent'anni vivo sotto il livello dell'Arno, la mia casa del '66 fu riempita di melma fino al soffitto.
In situazioni metereologiche estreme come oggi, mi capita di immaginare i miei quadri che galleggiano nel fango. Tutto il racconto della mia vita devastato e perduto.
Non è una visione rassicurante.

lalla

sabato 1 marzo 2025

senza rimpianti

Cinque anni e, se non sbaglio, cinque chili fa.
Tornare indietro con gli anni non posso e, a dire il vero, neanche voglio. Ho fatto tante cose in questi cinque anni, me li sono vissuti bene e guadagnati fino in fondo. Sono miei, non vorrei mai che qualcuno me li portasse via.
Tornare indietro con i chili, ammetto la mia vanità, mi piacerebbe. Ci sto provando e magari ci riesco pure, ma senza farne un dramma. Vediamo.
Tornare all’estate e al mare che adoro, direi che mancano solo pochi mesi. Però una cosa: anche se la tentazione è forte, non voglio fare l’errore di farmeli scivolare via nell’attesa. Voglio giocarmeli al meglio. Pure se gli impegni di lavoro mi sfiniranno. Pure se sarà buio e piovoso come oggi (e pioggia e buio mi fanno schifo). Voglio trovare il modo di gustarmi ogni giorno. Un colore, un sapore e una nuova avventura alla volta.
Voglio arrivare su quella spiaggia senza rimpianti.

lalla

giovedì 27 febbraio 2025

la pittura come cura al "carcere duro" delle Murate

Qualche giorno fa ho avuto modo di visitare uno spazio del vicino complesso delle Murate che ancora non conoscevo: il carcere duro.
Durante il regime fascista vi vennero reclusi diversi dissidenti politici e un gruppo che aveva rifiutato la leva (in seguito fucilato). Dopo la seconda guerra mondiale questa piccola ala carceraria divenne tra le più temute d’Italia.
Il primo impatto con l'ambiente mi ha stretto lo stomaco.
Ciò che mi ha ferito maggiormente non è stata la metratura ridotta delle celle, ma la mancanza di luce. Le finestre non sono vere finestre, ma solo prese d’aria che affacciavano su un corridoio. Non si vede il cielo. Non concedevano di percepire lo spazio aperto neppure all'esterno (e spesso venivano oscurate). I detenuti non potevano osservare il cromatismo di un’alba o di un tramonto, il mutare delle nubi, l’alternanza tra notte e giorno. Niente, solo buio, per giorni e giorni. Che carognata.
L’assenza di luce è una forma di tortura e porta alla disperazione.
Poi, la sorpresa che è arrivata a commuovermi: nonostante quegli uomini fossero stati rinchiusi con il chiaro intento di portarli a un passo dalla morte, molti di loro sono stati capaci di sentirsi ancora vivi.
I detenuti potevano comunicare con i secondini solo scrivendo con un carboncino le richieste su dei piccoli foglietti da inserire in un cassettino/feritoia; ebbene, molti hanno utilizzato quei carboncini anche per scrivere sulle pareti. Motti politici, battute di spirito, calendari e forse un alfabeto morse.
Infine, alcuni hanno scelto di disegnare.
Hanno scelto la pittura come conforto e cura.
La cella numero 45 conserva due paesaggi dal tratto pulito e fresco (segno di una mente ancora incredibilmente lucida): una veduta cittadina datata 25 settembre 1945 e un’oasi nel deserto (chissà se ricordo di un viaggio o metafora della salvezza).
La cella numero 65 mostra un’ammaliante figura femminile con blusa elegante e mano sul fianco. Il punto di vista leggermente ribassato dello spettatore le conferisce potenza. Sulla destra, una scena erotica piuttosto naif espressione del desiderio spontaneo e giusto dell’autore di assaporare ancora il piacere.
Anche la cella 66 è decorata con tre figure femminili a grandezza naturale. Nella parete di sinistra sorprendono una sorta di danzatrice del ventre (maestosa e dettagliatamente agghindata) e una donna nuda dal busto di profilo (con seni perfettamente in scorcio prospettico) e sguardo intenso. 
Queste figure femminili mi hanno ricordato quelle del Simbolismo tardo ottocentesco (la Salomé di Gustave Moreau, per intenderci). Mi hanno trasmesso un senso di potere quasi mistico. Sono vere e proprie dee, dell’amore, della procreazione, della vita.
Sono vere e proprie opere d’Arte. E non importa se mancano di virtuosismo tecnico (evidentemente impossibile, considerando il contesto e la privazione di mezzi). Sono Arte nella sua accezione più pura ed elevata. Lo sono come compiutissima espressione di sé del detenuto che, in quel momento, per esigenza e non per posa, si è fatto artista. Tanto quanto lo è stata Frida Kahlo rappresentando ed esorcizzando per tutta la vita il proprio dolore fisico e psicologico attraverso autoritratti surrealisti. Tanto quanto lo sono stati gli uomini preistorici scolpendo “veneri” come speranza di prosperità, fertilità e sopravvivenza. Tanto quanto lo diventa chiunque quando intensamente percepisce l’esigenza di creare per resistere al dolore dell’esistenza e poter continuare a vivere.

lalla

lunedì 24 febbraio 2025

al GAM da Berthe Morisot

Due settimane fa ho visitato la mostra alla GAM di Torino dedicata a Berthe Morisot, pittrice Impressionista non abbastanza celebre per le sue pitture (forse ricorderete “la culla” del D’Orsay) e nota ai più come “l'amante di Edouard Manet”.
Le tele esposte provengono quasi interamente dal museo Marmottan, che oltre alla sua maggiore raccolta di opere conserva anche “Impression soleil levant” di Claude Monet (e quello lo conoscete tutti, giusto?)
Sono stata due volte al museo parigino e avevo già avuto modo di apprezzare varie opere di Berthe, ma diverse da quelle esposte a Torino (evidentemente in magazzino ne hanno tante), quindi durante la visita non c’è stata alcuna ripetizione, ma solo piacevole scoperta.
Però, prima di passare a parlare di cose belle, siccome sono rompina, due critiche al GAM mi tocca farle per forza.
La prima: l’illuminazione delle tele è spesso inadeguata e costringe a guardarle di tre/quarti per evitare il riflesso dei faretti; non si poteva fare di meglio?
La seconda: non c’era bisogno di un allestimento forzatamente “femminile” con carte da parati floreali dai colori pastello nonché attaccapanni liberty con tanto di sciarpa di seta “da donna” appesa, tanto ridicola che una visitatrice un po’ ingenua ha pensato bene di appenderci anche il suo cappotto e si è beccata una partaccia dal guardiano (una scena esilarante). Insomma, s’è capito che è un’artista donna, ma anche meno. La Morisot è stata grande e ha partecipato a molte mostre del gruppo, a questo punto possiamo smettere di definirla “Impressionista donna”, basta dire “Impressionista”.
Ella stessa dichiarava: “Non credo che ci sia mai stato un uomo che abbia trattato una donna alla pari, e questo è tutto ciò che chiedo perché conosco il mio valore”.
Chapeau.
Riflettiamo ad esempio sull’appellativo “amante di” che le viene soventemente appioppato, per fortuna la mostra non calca eccessivamente la mano su questo, eppure non riesce a esimersi dal riempire una prima sala di copie di ritratti che le fece Manet. Insomma, come prima cosa non può fare a meno di presentarcela attraverso gli occhi di lui (che poi sono diventati quelli della Storia) nonostante, credetemi, Berthe sia perfettamente in grado di raccontarsi anche da sola.
Qualcosa tra loro c'è stato, questo è vero.
Berthe Morisot è giovane, talentuosa e bella, conosce Edouard Manet (già sposato) e si crea tra loro un’intesa artistica e umana molto forte. Non ci sono prove che tale intesa sia diventata anche fisica, ma in varie lettere entrambi parlano dell’altro con ammirazione e trasporto. Berthe posa per Edouard in numerose opere (la prima è “Il balcone”) ed è lui a introdurla nel gruppo Impressionista. In seguito, Berthe ne sposa il fratello (Eugene Manet), un uomo gentile e rispettoso della sua indole artistica, dalla loro unione nascerà la figlia Julie e la pittrice parlerà sempre di un matrimonio molto felice.
Ora mi chiedo, che Berthe e Edouard in principio siano o meno stati amanti: perché non ci si riferisce con la stessa frequenza a Manet come a “l’amante della Morisot”?
Se la vita sessuale (o il ruolo di amante/moglie/madre) di una donna ancora oggi sembra interessarci più del suo operato artistico o bastare da solo a riassumerne l’esistenza, non dovrebbe essere lo stesso anche per quella di un uomo?
Ammetto di essere caduta anche io in questa trappola in passato, ma cara Berthe, te lo prometto: da questa riga in avanti, alla pari.
Ed eccoci al percorso della mostra, osservando il suo lavoro e leggendo le sue parole, traspare quanto la Morisot amasse la vita e ne avesse compreso profondamente il senso.
“…la mia vita si limitava al voler fissare qualcosa di quello che accade. E quell’ambizione è ancora smisurata (…) un atteggiamento di Julie, un sorriso, un fiore, un frutto, un ramo d’albero, una sola di queste cose mi basta.”
Le tematiche raffigurate sono quindi le piccole (e grandi) cose quotidiane che l'autrice sapeva osservare con particolare attenzione e delicatezza. Come Auguste Renoir, canta il benessere della società moderna. Una cosa da notare però è quanto le molte donne della Morisot risultino meno leziose di quelle del celebre collega; Auguste tende ad avere una visione idealizzata del mondo femminile, mentre lei, facendone parte, lo conosce intimamente e può essere più realista.
La pittura tonale an plein air è sicuramente compatibile col resto del gruppo Impressionista, ma la tecnica della Morisot si distingue per l’uso di pennellate molto libere. I quadri sembrano quasi schizzi fatti col colore, il segno è vigoroso e la tavolozza vira spesso verso particolarissimi verdi (con i relativi rosa/arancio complementari). Le immagini sono fresche e l'accordo cromatico perfetto.
Morisot, attraverso colori e segno, riesce a regalare un viaggio molto puntuale all'interno della propria realtà. Meriterebbe una memoria "singola" e sicuramente un po’ più di pagine all'interno dei manuali di Storia dell’Arte.

lalla
























sabato 22 febbraio 2025

quattro vite, ma cinque no.

Nella prima, sarei una madre instancabile e un’ottima insegnante, completamente dedita ai miei ruoli di cura. Dei miei figli, di mia madre, dei miei studenti, delle mie amiche. Di chiunque incontri la mia strada. Sempre in ordine e in orario. Sempre efficiente, accogliente e disponibile con tutti. Cucinerei delizie culinarie solo per soddisfare il gusto dei miei commensali e organizzerei eventi e feste solo per la gioia dei miei invitati. Lascerei che tante amorevoli sanguisughe mi prosciughino senza provare alcun rimorso e mi sentirei realizzata così.

Nella seconda, sarei un’artista (e affanculo tutti gli altri) completamente assoggettata ai bisogni e alle esigenze della mia lalla interiore. Non dipingerei soltanto. Tornerei anche a modellare la creta (Dio, quanto mi manca!) e non solo, non mi basterebbe neppure quella. Avrei uno studio enorme dove mi rifugerei vestita di stracci per sperimentare tecniche nuove e perdermi attraverso colori e materie. Vivrei in modo sregolato, mi nutrirei solo di cibi precotti, perderei il senso del tempo in una ricerca continua e disperata della sola espressione di me.

Nella terza, sarei una scrittrice (e magari pure sceneggiatrice). Osserverei le dinamiche sociali con occhio curioso, le rielaborerei liberamente nel mio cervello e darei vita a migliaia di trame ironiche e avvincenti. Quando la mia mente, prestissimo al mattino, mi riporterebbe alla coscienza attirandomi all’interno delle mie storie, la asseconderei infilandomi una maglia sformata sopra il pigiama e andando alla tastiera del mio pc. Sarebbero ore liete di libertà assoluta e pieno potere. Inventare e manovrare altre vite mi regalerebbe una sensazione quasi divina. Infine, la gratificazione di poter tirare dentro a quelle vite le mie lettrici e i miei lettori mi inebrierebbe totalmente.

Nella quarta, non farei un benemerito cazzo! Troverei il modo di vivere di rendita e divertirmi soltanto. Di mettermi in ghingheri e andare a ballare ogni volta che ne avessi voglia. Di viaggiare ed esplorare il mondo. Di perdermi in luoghi lontanissimi e sentirmi straniera. Di scoprire scenari inaspettati e assaggiare sapori nuovi. Di lasciarmi sorprendere da culture e personalità differenti. O anche di passare ore in completo spegnimento sul divano davanti a una serie TV, sorseggiando una tisana calda o sgranocchiando una tavoletta di cacao amaro. Al massimo stiracchiandomi e basta, che pure andare al gabinetto mi farebbe fatica. E perché no?

Però, porca miseria, non credo nella reincarnazione e di vita ne ho solo una. Sicché mi tocca fare tutto di corsa per farlo rientrare in questa e basta. Arrabattarmi tutto il giorno (e parte della notte) e fare magie come una prestigiatrice, sentendomi sempre in affanno e un pochino in difetto (in colpa) con l’una o l’altra versione di me…

Mi viene di pensare che sarebbe stato più facile essere una persona “normale”. Una mamma un po’ distratta (che forse alla fine i figli crescono pure meglio), un’insegnante un po’ menefreghista (che tanto il monumento non lo fanno a nessuna), una che non sa tenere una matita in mano (molti hanno già creato e meglio, non è che fosse così essenziale che lo facessi anch’io), insomma una tipa tranquilla che non viene svegliata alle cinque del mattino dalla propria immaginazione. Una che dorme in pace.
Una volta a settimana andrei dal parrucchiere e mi piacerebbe fare shopping. Mi farei offrire la cena da bellimbusti più o meno piacenti, troverei gratificante un pettegolezzo così come un acquisto o una conquista amorosa. Sarei una donna serena ed equilibrata. Socialmente molto più accettabile…

No: questa quinta vita non la voglio! Mi tengo le mie quattro pigiate in una. Mi tengo la mia irrequietezza e il mio essere debordante. Magari prima o poi questo rimpallo mi farà diventare pazza, ma preferisco rimanere lalla fino alla fine.

lalla