Prima ho parlato della sua formazione neoplatonica, della sua volontà di liberare l’idea imprigionata nel pezzo di marmo (nella materia) aggredendolo solo frontalmente con la sua tecnica unica. Mi ci è voluto almeno un quarto d’ora per analizzare la giovanile Pietà romana. Abbiamo parlato dell’iconografia nordica, letto la composizione piramidale (e a “z”) e ammirato il virtuosismo del panneggio reso con solchi profondi che generano drammatici effetti chiaroscurali. Poi ci siamo spostati sul delicato volto di Maria, idealizzata e giovanissima perché pura (ricordiamoci che si tratta dell’unico essere umanano venuto al mondo senza peccato originale)e sul suo dolore toccante e malinconico. Ci siamo soffermati sul corpo senza vita di Cristo, sulla forza di gravità che lo attrae inesorabile verso il basso e sulla morbida flaccidità delle sue carni molli e abbandonate. Infine ho guardato i miei studenti e gli ho detto: “Michelangelo, orgoglioso e giovane com’era, pensava di aver raggiunto l’idea, la perfezione assoluta, di aver realizzato non una Pietà, ma La Pietà, ne era convinto al punto da mettere una fascia sul busto di Maria (tipo Miss Italia)e firmarla col suo nome”. Tutti hanno sorriso “Ma effettivamente ragazzi, quello che è riuscito a fare è piuttosto sconcertante, soprattutto riflettendo su un fatto: tutto ciò di cui abbiamo parlato fino a adesso non è altro che un enorme sasso bianco… giusto? O almeno, lo sarebbe stato, se lui non ci avesse messo le mani”.
Far le foto ai miei quadri non è facile.
Prima di tutto non sono una professionista, poi mi servo di un’illuminazione improbabile. Nel mio salone (purtroppo) esposto a Nord non entrano mai direttamente i raggi del sole, quindi la luce esterna “raffredda” eccessivamente le immagini. Provo con alcune lampade, ma quelle le “scaldano” troppo. La via di mezzo non esiste, si tratta di aggiustare un po’ le cose e far finta che vadano abbastanza bene.
Inoltre, come si fa a far arrivare il massimo della luce e posizionarsi perfettamente frontali (per non deformare l’immagine)? Rischio di fare ombra io stessa e la luce crea strani riflessi sulla tinta a olio. E non ho manco un cavalletto quindi infiliamoci pure il tremolio della mano: un disastro! Mi arrangio all’Italiana, mi accontento, cerco di aggiustare le cose con Photoshop (e non è detto che invece non finisca per peggiorarle). Che poi, tutta questa fatica che la faccio a fare se i social-networks comprimono le foto senza alcun criterio, ma a sentimento, compromettendo ogni cosa?
Vale anche per le opere d’Arte (e non di puro diletto come le mie): le sculture e le pitture, belle o brutte che siano, andrebbero sempre viste dal vivo.
Come consolazione, va detto che anche al museo, anche quando uno è fortunato (e quindi non si ritrova davanti un gruppo di turisti disinteressati a ingombrare tutta la visione), i riflessi dei vetri o varie ombre esterne vanno a mescolarsi con le sacre tinte e a inficiare in parte la percezione dell’oggetto reale… perciò pazienza, se succede a un divino Kandinskij, figuriamoci che sarà mai se le mie opere vengono riprodotte un po’ maluccio.
Prima di tutto non sono una professionista, poi mi servo di un’illuminazione improbabile. Nel mio salone (purtroppo) esposto a Nord non entrano mai direttamente i raggi del sole, quindi la luce esterna “raffredda” eccessivamente le immagini. Provo con alcune lampade, ma quelle le “scaldano” troppo. La via di mezzo non esiste, si tratta di aggiustare un po’ le cose e far finta che vadano abbastanza bene.
Inoltre, come si fa a far arrivare il massimo della luce e posizionarsi perfettamente frontali (per non deformare l’immagine)? Rischio di fare ombra io stessa e la luce crea strani riflessi sulla tinta a olio. E non ho manco un cavalletto quindi infiliamoci pure il tremolio della mano: un disastro! Mi arrangio all’Italiana, mi accontento, cerco di aggiustare le cose con Photoshop (e non è detto che invece non finisca per peggiorarle). Che poi, tutta questa fatica che la faccio a fare se i social-networks comprimono le foto senza alcun criterio, ma a sentimento, compromettendo ogni cosa?
Vale anche per le opere d’Arte (e non di puro diletto come le mie): le sculture e le pitture, belle o brutte che siano, andrebbero sempre viste dal vivo.
Come consolazione, va detto che anche al museo, anche quando uno è fortunato (e quindi non si ritrova davanti un gruppo di turisti disinteressati a ingombrare tutta la visione), i riflessi dei vetri o varie ombre esterne vanno a mescolarsi con le sacre tinte e a inficiare in parte la percezione dell’oggetto reale… perciò pazienza, se succede a un divino Kandinskij, figuriamoci che sarà mai se le mie opere vengono riprodotte un po’ maluccio.
Pochi giorni fa cercavo di fotografare il mio ultimo quadro e non c’era proprio
verso, riflessi ovunque. Ho combattuto un po’ e poi basta, ho cominciato a
prenderci gusto nel percepire il riflesso di qualche dettaglio ancora umido o l’ombra
dei bioccoli di pittura. La matericità delle opere è una cosa meravigliosa.
D’altronde, cercate di capirmi, gli anni passano e io appartengo a quella generazione di persone che quando leggono adorano ciancicare la consistenza della carta tra le dita e annusare il profumo della stampa, non mi accontenterò mai di un libro digitale (per questo mi piacerebbe tanto trovare un editore e pubblicare qualcosa da poter toccare con le mani).
La materia delle cose le rende corruttibili, è vero, ma anche tangibili e reali. Vestendo le idee di materia, possiamo farle scendere dall’Iperuranio fino a noi, sulla terra, e possiamo toccarle.
Sono stata tante cose nella mia vita (anche e soprattutto un’artigiana) e modellare la creta con le mani insegna, che si tratta di terra, di fatica, di polvere, non solo di effimera Arte. Accarezzo spesso le mie sculture perché finché erano nella mia testa non averi potuto farlo, ma adesso posso.
Quando dipingo mi sento come una bimba euforica che ha rubato la cassetta dei colori, non mi dispiace nemmeno rovinare abiti e mobili con schizzi e macchie più o meno casuali, perché so già che quelle tracce in seguito mi parleranno, mi racconteranno la gioia che ho provato durante il mio gioco. Adoro sporcarmi le mani e macchiarmi di pigmento sotto le unghie (ne vado proprio orgogliosa).
Quanto mi affascinano quelle tinte vischiose dal profumo pungente, quel loro scintillare, quel modo tutto particolare con cui impregnano la masonite!
Perché infondo si tratta solo di questo: di bioccoli di oleose miscele di minerali che vanno a sporcare un infimo supporto di truciolare di legno compresso… giusto?
D’altronde, cercate di capirmi, gli anni passano e io appartengo a quella generazione di persone che quando leggono adorano ciancicare la consistenza della carta tra le dita e annusare il profumo della stampa, non mi accontenterò mai di un libro digitale (per questo mi piacerebbe tanto trovare un editore e pubblicare qualcosa da poter toccare con le mani).
La materia delle cose le rende corruttibili, è vero, ma anche tangibili e reali. Vestendo le idee di materia, possiamo farle scendere dall’Iperuranio fino a noi, sulla terra, e possiamo toccarle.
Sono stata tante cose nella mia vita (anche e soprattutto un’artigiana) e modellare la creta con le mani insegna, che si tratta di terra, di fatica, di polvere, non solo di effimera Arte. Accarezzo spesso le mie sculture perché finché erano nella mia testa non averi potuto farlo, ma adesso posso.
Quando dipingo mi sento come una bimba euforica che ha rubato la cassetta dei colori, non mi dispiace nemmeno rovinare abiti e mobili con schizzi e macchie più o meno casuali, perché so già che quelle tracce in seguito mi parleranno, mi racconteranno la gioia che ho provato durante il mio gioco. Adoro sporcarmi le mani e macchiarmi di pigmento sotto le unghie (ne vado proprio orgogliosa).
Quanto mi affascinano quelle tinte vischiose dal profumo pungente, quel loro scintillare, quel modo tutto particolare con cui impregnano la masonite!
Perché infondo si tratta solo di questo: di bioccoli di oleose miscele di minerali che vanno a sporcare un infimo supporto di truciolare di legno compresso… giusto?
Oppure mi sto sbagliando e forse nei miei quadri io metto anche qualcos’altro: un
po’ di me stessa.
Se così fosse, anche senza l’infinito talento di Michelangelo (ma solo con quelle poche briciole che ho a disposizione) riuscirei a trasformare la materia in idea e non solo l’idea in materia.
Ma guarda, può darsi che alla fine io sia davvero un po’ streghetta… o no?
Se così fosse, anche senza l’infinito talento di Michelangelo (ma solo con quelle poche briciole che ho a disposizione) riuscirei a trasformare la materia in idea e non solo l’idea in materia.
Ma guarda, può darsi che alla fine io sia davvero un po’ streghetta… o no?
lalla