Il piacere non è una questione da sottovalutare.
E' uno dei più grandi motori della vita. La piccola dose di droga
che il nostro corpo anela. La piccola dose per cui facciamo tutto. Siamo tutti
dei tossicodipendenti in cerca di una ricompensa. Il piacere fisico, il piacere
psicologico. Per un’atea come me, non c’è molta differenza. Siamo anima e
corpo, indissolubili. Nutro l’uno, nutro l’altra. Muore l’uno, muore l’altra. E
viceversa.
In Arte, la prima allegoria del sesso arriva a metà
del Cinquecento a Firenze con Agnolo Bronzino. Venere e Cupido
si baciano e si toccano lascivamente davanti ai nostri occhi. Intanto si
ingannano: l’una cerca di sottrarre una freccia dalla faretra del
figlio, l’altro di rubare la tiara della madre. Maschere teatrali ammiccano al
travestimento, al risveglio dei sensi, all’interpretazione di ruoli. Il Tempo (con
la sua clessidra) incornicia con un drappo la scena e ricorda il mutare delle
sensazioni e il degenerare delle emozioni. Le allegorie della Gioia (un bimbo
con i sonagli alle caviglie e dei fiori destinati ad appassire presto), della
Gelosia, della Follia, circondano i due protagonisti. La virtuosissima tecnica
di Agnolo (fatta di linee curve, superfici levigate e colori smaltati) indugia
sui corpi sinuosi, sui glutei sodi, sui volti perfetti e su ogni raffinatissimo
dettaglio. L’opera oggi si trova a Londra e posso confermare che tanto stile e bellezza dal vivo sono ipnotiche. Il sesso è spiegato e raccontato (in
modo intellettualistico per l’utenza ristretta della corte medicea) come qualcosa
di delizioso, ma pericoloso: un piacere temporaneo e ingannevole, che può
portare alla rovina e alla disperazione. Periodo difficile il Manierismo, ansie
da prestazione artistiche, crisi religiosa e politica, gente un po’ ripiegata
su sé stessa e poco allegra.
Una cinquantina d’anni dopo, il piacere ci viene mostrato
in tutto il suo splendore e, finalmente, senza controindicazioni. Lo fa il
grande Gian Lorenzo Bernini nel gruppo scultoreo dell’estasi di Santa Teresa.
L’angelo trafigge compiaciuto Teresa e la santa viene travolta da un’ondata di sensazioni
fortissima che ne scuote il volto e le membra, lasciandola senza
forze. Non si trattava di una provocazione, né di blasfemia e, nonostante
l’epoca inquisitoria (nel Seicento i Gesuiti bruciavano le persone senza farsi troppi
problemi), l’opera non fu assolutamente messa in discussione. Il grande
spettacolo barocco sfruttava le sensazioni di meraviglia suscitate nello spettatore,
lo coinvolgeva emotivamente al solo scopo di veicolargli la certezza che esistesse
un’unica e sola grande chiesa cristiana, quella di Roma (cosa ovviamente falsa,
dato che il protestantesimo le aveva sottratto mezza Europa). Ma Bernini e
compagnia avevano capito benissimo che per veicolare un messaggio di propaganda
alle grandi masse, non serviva tentare di convincerle con un ragionamento
razionale (più o meno comprensibile o giusto), ma trascinarle emotivamente.
E, tornando alla nostra Teresa trafitta, come si fa a rappresentare un’estasi
religiosa? Cos’è un’estasi religiosa? Come puoi spiegarla a una massa di fedeli
peccatori e ignoranti? Datemi retta, meglio farla sentire, che spiegarla. Gian
Lorenzo non era un santo, ma un genio. L’unica cosa che potesse avvicinare lo
spettatore a un concetto tanto difficile (e labile), era farlo attraverso la
rappresentazione di un’estasi fisica (conosciuta da tutti). E grazie al suo
infinito talento funziona benissimo. Ogni volta che mi ci trovo davanti, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, avverto la stessa ondata di
emozioni in ogni fibra del mio corpo e lo ringrazio. Fatelo anche voi,
lasciatevi trascinare dal piacere artistico senza vergogna perché siete nel
giusto. Il piacere non è un peccato, il piacere è nutrimento per il corpo e lo
spirito di noi persone imperfette e comuni, ma non banali. Per noi che santi
non siamo.
E a proposito di questo, ecco uno scritto della Santa, tanto per scagionare
Gian Lorenzo e tutti noi:
«Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni
misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava
esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da
penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta
voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata.
Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse
la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.» (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)
Per incontrare il più grande cantore del piacere,
facciamo passare tre secoli e spostiamoci a Vienna, durante la Secessione
Viennese.
Il magnifico Gustav Klimt, anima guida di Ver Sacrum, era una sorta di
seduttore seriale. Per capirsi, amava fisicamente le sue modelle perché sopra
ogni cosa inseguiva il piacere, voleva provarlo e rappresentarlo. Per Gustav le
donne sono misteriose, pericolose e potenti. E anche il sesso è pericoloso, ma
senza rimorsi, il pericolo gli piace. Lo brama. Desiderio e paura, dolore e
piacere. Insieme hanno sempre funzionato benissimo e per sempre funzioneranno
(non a caso un romanzetto rosa-fantasy come Twilight ha venduto milioni di
copie).
Guardiamo Giuditta I, ho avuto la fortuna di poterla di nuovo ammirare a Roma
questa primavera. Porta ancora tra le mani la testa di Oloferne, ma di lui
(come del messaggio religioso) a Klimt importava poco e questo trofeo macabro
lo relega in basso a destra, chissenefrega se gli spettatori manco lo notano.
Non ci credete? Si divertiva a esporre la seconda versione, Giuditta II anche
come Salomè. La prima è un’eroina religiosamente positiva, l’altra negativa, ma
sono entrambe donne seducenti e assassine, questo gli interessava. Il vero
protagonista del quadro è il piacere. La questione è che Giuditta ha appena
ucciso un uomo e le è piaciuto parecchio. Dischiude le labbra, le palpebre
vibrano e la donna lupa, splendida e invincibile, gode davanti ai nostri occhi.
Puro sesso.
I quadri di Klimt facevano scandalo, sia chiaro, ma per fortuna niente roghi.
Non a caso, Vienna era la città di Sigmund Freud e della sua psicoanalisi (che
spiega qualsiasi aspetto della mente legandolo al sesso).
E veniamo al mio, di
piacere.
Non ho bisogno di un angelo che mi trafigga, per ottenerlo. Non ho bisogno di
un uomo che mi possieda, per raggiungerlo. E neppure di ucciderne uno come
Giuditta.
Posso più semplicemente fare tutto da sola, assecondando la mia natura.
Sono l’unica persona autorizzata ad usare ed abusare del mio corpo. Per questo
non gli concedo quasi mai riposo. Lo torturo privandolo del sonno per scrivere
o lo logoro attraverso estenuanti sedute pittoriche nelle quali combatto, patisco
e quasi perisco. Ma infine, quando mi salvo… oh, se solo potessi farvi sentire quanto
è dolce il sapore nella mia bocca.
Porto il mio corpo (e la mia mente) allo sfinimento e lo faccio solo per il mio
piacere. O meglio, per far cessare l’esigenza, la sete. Perché in effetti un
tossicodipendente soffre senza la sua dose quanto un assetato patisce senza la
sua fonte. Il piacere è l’appagamento di un bisogno. L’unico modo di trovare la
pace.
La mia è una pace meravigliosa e che provo spesso, ma purtroppo (o per fortuna)
breve. Mi nutro dell’amore per la mia famiglia e per i miei figli, ma non mi
basta. Mi nutro dell’impegno nel mio lavoro e delle gratificazioni con i miei
studenti, ma non mi basta. Mi nutro di cibo, di sensazioni, di scoperte, di viaggi
e di Arte, ma non mi basta. Mi nutro della mia scrittura, ma non mi basta. Mi
nutro della mia pittura, ma niente mi basterà mai perché la vita mi piace tutta.
Mi sazio e in breve tempo avverto un nuovo appetito. Allora so che è già il momento
di rimettermi in gioco. E’ faticoso, sì, ogni tanto devo fermarmi per riprendere le forze.
Ma penso proprio
che, una volta recuperate, mi concederò di giocare e di godere all’infinito.
E che
lo farò senza rimorso alcuno perché mi amo.
lalla |
"Amarmi", olio su masonite, 70 x 50 cm. |
P.S. Il quadro non so ancora se è finito, ma oggi lalla aveva voglia di
scrivere questo post, è il primo dell’anno, non potevo certo dirle di no e il
senso del dipinto è questo.