Sono
stata alla presentazione per gli insegnanti della mostra di Helen Frankenthaler
a Palazzo Strozzi e dopo ho visitato l'esposizione in libertà con le mie fantastiche
colleghe del dipartimento.
Allora, la mostra mi è piaciuta, ma la presentazione organizzata dalla
fondazione no. Trovo anche il sottotitolo dell’esposizione “dipingere senza
regole” abbastanza fuorviante. L’artista ha più volte dichiarato di ispirarsi
alla pittura classica e rinascimentale nella ricerca di un’armonia compositiva
e cromatica, quindi “senza regole” una cippa! Quando ci è stato detto: “Chiediamo
ai ragazzi, cosa vedete in questo quadro astratto? Ognuno è libero di vederci
quello che vuole”, stavo per alzarmi e picchiare qualcuno.
In ogni caso, non credo sia facile capire appieno il valore di quest’artista
senza snaturala. Dopo essermi immersa di persona nei suoi colori e aver
ascoltato le sue parole dai video, anche se non conta niente, provo a dirvi
come la penso io.
Primo punto, a molti darà un certo fastidio sapere che questa artista americana
abbia avuto molto culo. È nata in una famiglia ricca e progressista che le ha
permesso di formarsi in una scuola d’arte contemporanea, di entrare in contatto
con i migliori galleristi, di frequentare chi le pareva, di viaggiare e
villeggiare e di fare arte liberamente e incurante di qualsiasi aspetto
economico per tutta la vita. Beata lei. Sì: beata lei, perché è chiaro che il
povero Jackson Pollock morto di fame, alcolista e maledetto ci intenerisca di
più, ma la spontanea forma di invidia generata dalla certezza che stiamo
parlando di una privilegiata va superata. Soprattutto perché lei lo sapeva di
essere una privilegiata, non l’ha mai negato, eppure si è impegnata tutta la
vita nella sua ricerca artistica. Poteva vivere d’inedia, sperperare i beni di
famiglia come molte “figlie di papà”, magari darsi ai vizi e alle droghe. Invece
si è data da fare. Detto tra noi, a proposito del caro Pollock, se anche lui
avesse bevuto di meno non gli avrebbe fatto male, ma evidentemente c’è chi
nasce pieno di demoni e fa fatica a domarli. Lei, sempre beata, era nata senza
demoni.
Ed eccoci al secondo punto: la sua pittura non significa niente. Amen! Helen Frankenthaler
non si è eretta a profeta, non ha scelto di denunciare ipocritamente i mali del
mondo, non ha aggiunto una ricerca spirituale o un’indagine sulla condizione
umana. Niente. Questo, a mio parere, non scalfisce in nessun modo il valore della sua
ricerca soprattutto materica e cromatica. Interessantissime le sue sperimentazioni tecniche, le pozze di tinte fluide e la stesura del colore con la spugna.
È cresciuta artisticamente accanto e in mezzo all’Espressionismo Astratto (ispirandosi
nelle tecniche e nelle dimensioni del formato sia all’Action Painting di
Pollock, sia allo spirituale Camp Field di Rothko e Newman), eppure non penso
ne abbia mai fatto filosoficamente parte.
Prima di tutto, non mi sembra che Frankenthaler sia propriamente una pittrice
astratta: le sue enormi tele hanno quasi sempre dei titoli, quindi dei soggetti
(“Cosa ci vedi?” un'altra cippa). Il suo astrattismo, come direbbe Paul Klee, “è un
mezzo, non un fine”. Inoltre, manca
tutta la componente di espressione (soprattutto di malessere in Pollock e di
spiritualità in Rothko e Newman).
Si ispirava alla natura, all’acqua, agli splendidi paesaggi conosciuti nei suoi
viaggi. In un’intervista dice che stava dipingendo un soggetto naturale, ma non
gli interessava davvero cogliere lui, quanto il disegno e il colore che lo
caratterizzavano. Mi ha ricordato tanto Claude Monet quando disse: “Metto del
rosso sulla tela e solo dopo mi rendo conto di aver dipinto un tetto.”
Mi è venuto di pensare che la ricerca pittorica di Frankenthaler fosse più simile
a un “Impressionismo astratto” che a un Espressionismo Astratto. Catturare e
sublimare il dato ottico, l’armonia compositiva e cromatica della natura. Con
un certo distacco scientifico e senza cercare di mandare nessun messaggio o
raccontare niente di speciale, proprio come faceva il caro e vecchio Monet. Monet
che alla fine, nelle enormi tele delle ninfee, del tutto inconsapevolmente, aveva
fatto scivolare tutto sé stesso, raggiungendo un altissimo lirismo e uno dei
più splendidi paradossi dell’Arte. Visitare l’Orangerie è come immergersi nel
suo stagno a Giverny, è come fare un bagno nei colori e arrivare a toccare la sua
anima.
Provate a visitare la mostra della Frankenthaler e a fare lo stesso: gioire degli
accostamenti cromatici, danzare tra le linee e i pesi compositivi. Lasciatevi
andare e fatevi tirare dentro. Tuffatevi nei suoi colori, guardate attraverso i
suoi occhi e, con una certa leggerezza, accarezzate la sua anima.
lalla
domenica 6 ottobre 2024
Helen Frankenthaler a Palazzo Strozzi
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