domenica 22 febbraio 2009

le cose che non ti aspetti

In settimana son successe alcune cose che non ti aspetti.

LA PRIMA COSA riguarda il mio rapporto con l'arte e mi ha provocato sensazioni contrastanti.
Per la prima volta in 30 anni, qualcuno si è proposto di acquisire un mio lavoro in cambio di denaro. La persona in questione non mi conosce, ha visto i miei lavori solo in rete, è stato molto gentile, ha espresso il desiderio di acquistare due quadri.
In un primo momento tutta la questione mi ha sorpreso e lusingato.
In un secondo momento mi sono resa conto che avrei dovuto chiedere una cifra. Mi sono scontrata col fatto che nel mercato l'arte è prezzata secondo due parametri: un tot al metro (come un'imbiancatura) e applicando un coefficiente che varia a seconda che l'autore abbia fatto più o meno mostre o sia appoggiato a delle gallerie (non in base alla qualità effettiva del prodotto).
Ebbene, riguardo ai parametri sopra espressi, i quadretti in questione sono di piccole dimensioni e io sono una perfetta sconosciuta.
Vaglielo a spiegare al mondo che per me hanno un valore speciale...
In un terzo momento mi sono resa conto che mi sarei dovuta separare dai miei quadri. Per sempre.
Insomma non è stato facile gestire la cosa, alla fine ho deciso che potevo, con fatica, cedere un solo quadro, quello a cui ero meno legata sentimentalmente e ho probabilmente sparato una cifra troppo alta.
Il cortese compratore si è quindi defilato.
Da questo fatto inconsueto ho imparato alcune cose.
Prima di tutto adesso mi è chiaro il
perchè molti giovani artisti contemporanei scelgano di lavorare su enormi formati.
Secondo, il "nulla di fatto" mi ha molto sollevato, ho sempre dipinto per piacere, mai per denaro.
Non so se tutto ciò sarebbe stato un bene, mi sarei sentita una specie di "prostituta dell'arte", dicono che la prima volta sia la più difficile e dopo ci si abitua... non so.

LA SECONDA COSA riguarda il Re dei
Sugolini e mi ha provocato solo sensazioni spaventose.
Durante tutta la settimana pregustavo l'arrivo del venerdì, sapendo che mi attendeva un lunghissimo ponte a scuola, fino al giovedì seguente.
Pregustavo le mattinate a dipingere, dopo aver depositato Elia all'asilo.
E invece..
.
Innanzi tutto la notte tra giovedì e venerdì dormo male, mi sale un
di febbre e il mal di gola (porca miseria). Eppure, stoica, tiro in fondo la mattinata a scuola, sicura che una volta a casa potrò godermi il mio programmino (si può dipingere anche con la febbre...).
Invece, arrivo a casa ed Elia mi accoglie con una vomitata spettacolare... ecco, il programmino di pittura si
sfascia davanti ai miei occhi.
Le vomitate si susseguono nella giornata (la pediatra, che come al solito non viene a casa, improvvisa una diagnosi telefonica e mi liquida con "è il solito virus, mezza Firenze ce l'ha").
Nel pomeriggio il piccolo Re dei
Sugolini non riesce a tenere neanche un cucchiaino d'acqua e comincia a diventare strano, cade in una specie di dormi-veglia, è sempre più terreo, smette perfino di lamentarsi.
C'è qualcosa che non va, altro che programmino di pittura saltato.
Prima di cena il suo stato mi spaventa e insisto per andare al
Meyer.
Non sappiamo cosa fare, non siamo dei dottori, siamo solo i suoi genitori.

Theo ha paura che per un virus ci ridano in faccia e ci rimandino a casa, io ci spero che ci ridano in faccia e ci rimandino a casa, ma ci credo poco.
Per farla breve, abbiamo passato la notte al nuovo
Meyer (un luogo funzionalmente e architettonicamente bellissimo, ma meno ci si va, meglio è).
Io, con 38° di febbre, e
Theo abbiamo passato la notte intorno al suo letto. Com'era tenero e indifeso, con la manino tutta steccata e incerottata da cui usciva il tubicino della flebo.
Elia era in uno stato di grave disidratazione, ancora poche ore senza liquidi e la situazione poteva precipitare, ma al mattino, dopo tre flebo, stava già bene.
Da questo fatto inconsueto ho imparato alcune cose.
Prima di tutto mi sono resa conto che nella vita esistono dei momenti catartici, nei quali devi prendere una decisione, se per qualche ragione prendi quella
sbalgiata, tutto sarà diverso e forse, irrecuperabile.
La seconda è che sono troppo fortunata.
Perchè è stato straziante tenere tra le braccia quella specie di fantoccio senza forze, è stato orribile vedere che si spegneva e non saperlo riaccendere, ma a me è successo solo per una sera.
Il resto dei giorni il Re dei Sugolini non mi da tregua, rompe, pretende e comanda, e meno male!

E chi se ne frega della pittur
a!

lalla

sabato 7 febbraio 2009

Chiara


"Chiara", olio su masonite, 35x40 cm.

Di seguito allego un brano tratto da "Storia di una bambina di 8 anni", un libretto che ho scritto nel 2000, che parla della mia infanzia e che, ovviamente, non ha mai varcato le mura della nostra casa.

lalla



" (...) Chiara rappresenta invece il rapporto più importante e contorto della mia vita.
Un giorno eravamo la mamma e noi figli sul maggiolino, io ero seduta dietro con Guido, tornavamo a casa dopo essere stati dalla nonna. La mamma a un tratto dice:
- io e il Babbo abbiamo fatto poker, siete contenti?
Gli altri due gioiscono e si complimentano, io non capisco niente.
Allora me lo spiegano e io rispondo: - Che bello… –
No che non ero contenta, tra poco sarei andata a scuola e la mamma c’avrebbe portato il bambino nuovo con se dalla nonna.
Non sarei stata più la piccina di casa. Era una svolta, e grossa.
Invece è stata la più grande delle mie fortune.
E’ nata Chiara, la persona più diversa da me che esista sulla terra.
La persona con cui mi sono sempre dovuta confrontare.
Dai contrasti, dalla vicinanza, dai giochi, dai pianti, dai dispetti e dall’amore che abbiamo avuto insieme si sono formati i nostri caratteri.
Io mi ero abituata a stare da sola e ogni tanto reclamavo il mio spazio, invece lei mi stava sempre appiccicata come l’edera.

Sui 9-10 anni avevo una passione: fare intrugli.
Con Chiara pestavamo i petali di orchidee e camelie con molto spirito per fare i profumi (alla fine veniva solo alcool colorato e ci toccava rovesciarci di nascosto mezza boccetta di schanel della mamma per ottenere il profumo).
Lavoravo anche in proprio però, quando si trattava di cose che ritenevo troppo pericolose per lei, che era piccola.
Avevo escogitato di servirmi dello spazio sotto gli armadi. Per non so quale ragione ero convinta che stando tutta distesa in terra, con solo la parte superiore del corpo nascosta sotto il mobile, nessuno mi avrebbe scoperto.
Talvolta mescolavo le creme della mamma, i saponi e i detersivi in un tappo di barattolo. Dopo qualche settimana nascevano muffette con colori a sorpresa.
Oppure imbastivo dei piccoli falò con ramoscelli in miniatura e fiammiferi che si esaurivano in 10 secondi.
La situazione mi sfuggì di mano quando, essendo il posto sotto l’armadio occupato da troppe cremine, optai per fare un fuochino sotto la libreria di Chiara.
Ovviamente bastarono 5 secondi perché il fuoco attecchisse sulla costola di un libro. Presa dal panico cominciai a soffiare, a sbattere un cuscino, ma era tutto inutile, anzi, il fuoco si diffondeva.
Mi dispiaceva dare fuoco alla casa, ma anche essere scoperta, sapevo di averla fatta grossa e che forse mi toccavano gli sculaccioni. Alla fine cedetti, tentai di cavarmela andando in cucina e fingendo stupore:
- Tata, mamma, sono andata in bagno e mi è parso di veder uscire un po’ di fumo dalla camera di Chiara, chissà cosa sarà successo…-
Penosa.
Quando Chiara lo venne a sapere non voleva più che entrassi in camera sua. Allora gli giurai che non ero stata io, ma i raggi solari che filtrando dal vetro della finestra avevano acceso la scintilla sulla carta (l’avevo visto ne “La casa nella prateria”).
Non ci credette e per tutta risposta mi dette un morso sul braccio.

Cercavo, finchè era piccola, adesso non ci provo più, di far valere con lei le mie ragioni di “sorella maggiore”.
E lei, tra le lacrime, un giorno mi guardò convinta dicendomi:
- Tanto un giorno toccherà a te di essere piccina e io sarò quella grande e mi dovrai ubbidire –
Mai promessa è stata mantenuta di più, Chiara riesce a rigirarmi come un calzino e di sicuro non sono più io a dare ordini.
I nostri rapporti sono un’altalena costante e devo sforzarmi tanto per adeguarmi al suo carattere forte, alla sua fierezza, alla sua intransigenza, in tutto ricorda nostra nonna.
Soffro quando le differenze sono così forti da separarci, ma ci vogliamo bene, sempre."