giovedì 21 marzo 2019

l'dea, la materia e i bioccoli di colore stregati

Venerdì scorso, in terza, ho iniziato a spiegare Michelangelo.
Prima ho parlato della sua formazione neoplatonica, della sua volontà di liberare l’idea imprigionata nel pezzo di marmo (nella materia) aggredendolo solo frontalmente con la sua tecnica unica. Mi ci è voluto almeno un quarto d’ora per analizzare la giovanile Pietà romana. Abbiamo parlato dell’iconografia nordica, letto la composizione piramidale (e a “z”) e ammirato il virtuosismo del panneggio reso con solchi profondi che generano drammatici effetti chiaroscurali. Poi ci siamo spostati sul delicato volto di Maria, idealizzata e giovanissima perché pura (ricordiamoci che si tratta dell’unico essere umanano venuto al mondo senza peccato originale)e sul suo dolore toccante e malinconico. Ci siamo soffermati sul corpo senza vita di Cristo, sulla forza di gravità che lo attrae inesorabile verso il basso e sulla morbida flaccidità delle sue carni molli e abbandonate. Infine ho guardato i miei studenti e gli ho detto: “Michelangelo, orgoglioso e giovane com’era, pensava di aver raggiunto l’idea, la perfezione assoluta, di aver realizzato non una Pietà, ma La Pietà, ne era convinto al punto da mettere una fascia sul busto di Maria (tipo Miss Italia)e firmarla col suo nome”. Tutti hanno sorriso “Ma effettivamente ragazzi, quello che è riuscito a fare è piuttosto sconcertante, soprattutto riflettendo su un fatto: tutto ciò di cui abbiamo parlato fino a adesso non è altro che un enorme sasso bianco… giusto? O almeno, lo sarebbe stato, se lui non ci avesse messo le mani”.

Far le foto ai miei quadri non è facile.
Prima di tutto non sono una professionista, poi mi servo di un’illuminazione improbabile. Nel mio salone (purtroppo) esposto a Nord non entrano mai direttamente i raggi del sole, quindi la luce esterna “raffredda” eccessivamente le immagini. Provo con alcune lampade, ma quelle le “scaldano” troppo. La via di mezzo non esiste, si tratta di aggiustare un po’ le cose e far finta che vadano abbastanza bene.
Inoltre, come si fa a far arrivare il massimo della luce e posizionarsi perfettamente frontali (per non deformare l’immagine)? Rischio di fare ombra io stessa e la luce crea strani riflessi sulla tinta a olio. E non ho manco un cavalletto quindi infiliamoci pure il tremolio della mano: un disastro! Mi arrangio all’Italiana, mi accontento, cerco di aggiustare le cose con Photoshop (e non è detto che invece non finisca per peggiorarle). Che poi, tutta questa fatica che la faccio a fare se i social-networks comprimono le foto senza alcun criterio, ma a sentimento, compromettendo ogni cosa?
Vale anche per le opere d’Arte (e non di puro diletto come le mie): le sculture e le pitture, belle o brutte che siano, andrebbero sempre viste dal vivo.
Come consolazione, va detto che anche al museo, anche quando uno è fortunato (e quindi non si ritrova davanti un gruppo di turisti disinteressati a ingombrare tutta la visione), i riflessi dei vetri o varie ombre esterne vanno a mescolarsi con le sacre tinte e a inficiare in parte la percezione dell’oggetto reale… perciò pazienza, se succede a un divino Kandinskij, figuriamoci che sarà mai se le mie opere vengono riprodotte un po’ maluccio.
 

Pochi giorni fa cercavo di fotografare il mio ultimo quadro e non c’era proprio verso, riflessi ovunque. Ho combattuto un po’ e poi basta, ho cominciato a prenderci gusto nel percepire il riflesso di qualche dettaglio ancora umido o l’ombra dei bioccoli di pittura. La matericità delle opere è una cosa meravigliosa.
D’altronde, cercate di capirmi, gli anni passano e io appartengo a quella generazione di persone che quando leggono adorano ciancicare la consistenza della carta tra le dita e annusare il profumo della stampa, non mi accontenterò mai di un libro digitale (per questo mi piacerebbe tanto trovare un editore e pubblicare qualcosa da poter toccare con le mani).
La materia delle cose le rende corruttibili, è vero, ma anche tangibili e reali. Vestendo le idee di materia, possiamo farle scendere dall’Iperuranio fino a noi, sulla terra, e possiamo toccarle.
Sono stata tante cose nella mia vita (anche e soprattutto un’artigiana) e modellare la creta con le mani insegna, che si tratta di terra, di fatica, di polvere, non solo di effimera Arte. Accarezzo spesso le mie sculture perché finché erano nella mia testa non averi potuto farlo, ma adesso posso.
Quando dipingo mi sento come una bimba euforica che ha rubato la cassetta dei colori, non mi dispiace nemmeno rovinare abiti e mobili con schizzi e macchie più o meno casuali, perché so già che quelle tracce in seguito mi parleranno, mi racconteranno la gioia che ho provato durante il mio gioco. Adoro sporcarmi le mani e macchiarmi di pigmento sotto le unghie (ne vado proprio orgogliosa).
Quanto mi affascinano quelle tinte vischiose dal profumo pungente, quel loro scintillare, quel modo tutto particolare con cui impregnano la masonite!
Perché infondo si tratta solo di questo: di bioccoli di oleose miscele di minerali che vanno a sporcare un infimo supporto di truciolare di legno compresso… giusto?
Oppure mi sto sbagliando e forse nei miei quadri io metto anche qualcos’altro: un po’ di me stessa.
Se così fosse, anche senza l’infinito talento di Michelangelo (ma solo con quelle poche briciole che ho a disposizione) riuscirei a trasformare la materia in idea e non solo l’idea in materia.
Ma guarda, può darsi che alla fine io sia davvero un po’ streghetta… o no?
 

lalla

lunedì 18 marzo 2019

la vita è bella, ma tignosa

Premessa: se cercate “tignoso” sul vocabolario lo trovate ma è un cosiddetto toscanismo, cioè un termine dialettale usato dalle nostre parti, significa “duro a levarselo di torno”, “persistente”, in poche parole “rompicoglioni”. 

Il 14 febbraio Daenerys è scomparsa.
Ci sono rimasta malissimo perché non mi aspettavo certo di trovare un fidanzato, ma che proprio quel giorno mi sparisse anche la gatta, no!
I miei amici pelosi abitano in casa e in giardino (che è abbastanza vasto e segreto, circondato da alte mura), tramite gli alberi riescono a salire anche su alcuni tetti bassi e si stendono per ore a prendere il sole. Ebbene, da uno di quei tetti deve essere caduta nella strada e non si capisce bene il perché visto che conosce da sempre l’ambiente. Forse ha scelto di allontanarsi per cercare l’amore (vista la ricorrenza), ma questa versione non mi convince: era in calore la settimana prima e avevo invitato a far turismo sessuale. un aitante “Sacro di Birmania”. E poi, gettarsi da una parete di 6m nel vuoto e sulle auto sottostanti, non la chiamerei una fuga amorosa, bensì un tentativo di suicidio.
Comunque, l’ho cercata per due giorni, ho tappezzato il quartiere con i manifesti (come nei film). Ho avuto anche la pessima idea di scrivere un appello su FB. Ho pensato che quando scompare una persona si chiamano gli ospedali, quindi ho chiamato e allertato tutti i veterinari e questa invece è stata un’ottima idea: alla fine l’ha ritrovata una clinica veterinaria, ma purtroppo troppo tardi, un’auto l’aveva colpita.
E’ stata tutta una vicenda drammatica: Matilde era molto scossa (la considera la sua gattina) e per due giorni si è fatta la pipì addosso (evento che non era mai più accaduto da un anno e mezzo), io non ho dormito per giorni durante le ricerche (dovevo cercare di tranquillizzare i bambini e fargli accettare ogni possibile scenario, ma ero molto angosciata a pensare quella povera bestia là fuori, persa e terrorizzata in mezzo al traffico cittadino), poi, una volta ritrovata, è stato ancora più terribile perché la botta le aveva compromesso il senso di orientamento ed equilibrio e temevo di doverla far sopprimere. Intanto ho dovuto subite l’attacco mediatico di alcune talebane-feline da quello che doveva essere un gruppo FB di aiuto per la ricerca di animali smarriti, con tanto di forconi mi hanno incolpato di essere stata io a condannarla “facendola uscire di casa” (ne parlavano come se le avessi dato io la via sui viali di circonvallazione), mi hanno dato della pazza, dell’arrogante, di essere una che gioca a fare Dio, una che compra i gatti come fossero giocattoli per i suoi bambini e poi li abbandona al loro destino, mi hanno augurato di essere tormentata per sempre dagli incubi della mia gatta straziata e molte altre cose carine….. e vabbè, quanto è bella l’umanità, sempre pronta a giudicare (senza conoscere), puntare il dito verso il colpevole e sputare veleno!
Che poi, io sono una che non ha certo bisogno di aiuto per convincersi di avere delle colpe, anche da sola ho pensato di averne (non certo per averle permesso di divertirsi rincorrendo farfalline e arrampicandosi sugli alberi), ma per non averla sterilizzata. E’ solo che io, per l’appunto, odio giocare a fare Dio e vorrei che i miei gatti vivessero nel modo più naturale possibile, che non somigliassero a dei soprammobili ciccioni e indolenti (come Gattolinzi), ma che sviluppassero il proprio carattere e conservassero il proprio istinto. Per altro, i siamesi originali (ora chiamati “Thai”) alla fine degli anni ’90 si sono praticamente estinti a causa della sterilizzazione default di tutti gli esemplari domestici, solo negli ultimi anni hanno cominciato a ripopolarsi grazie all’impegno di alcuni allevatori, quindi, potendo, non sarebbe stata una cattiva idea cercare di darle la possibilità di riprodursi conservando il suo patrimonio genetico. Ovviamente, ho evitato di parlare su FB della questione ovaie-sì/ovaie-no, altrimenti le suddette talebane-feline avrebbero indetto una sacra processione fin sotto casa mia e mi avrebbero bruciato come strega!
Vabbè, per fortuna la micetta (per questa volta) se l’è cavata, alla facciaccia loro! Purtroppo una zampina è paralizzata e ciondola un po' strana, ma sa già fare tutto con tre zampe, è un fenomeno. L’ho costretta in casa quasi per tutto il mese, ha chiesto sempre più insistentemente di uscire e ha sofferto segregata in casa, è nata libera e libera vuole restare. Non potrò impedirle di vivere anche all'aperto, ma almeno s
pero che la brutta esperienza le abbia insegnato a essere un po’ più prudente. 

Comunque, riacquistata una certa tranquillità, ho iniziato a dipingere un mio ritratto col Tigro.
Nonostante sua Maestà sia convinto di essere il padrone di casa e di ospitarci tutti per gentil concessione, nonostante cerchi di assestarmi dei morsi dolorosissimi ogni volta che lo invito a fare qualcosa contro il suo volere e in particolare se cerco di prenderlo di peso e spostarlo, va detto che è un Signor gatto.
Lui è arrivato per primo, ben 9 anni fa, e ha accolto con amore prima Gattolinzi e la micetta dagli occhi azzurri poi. Quando li nutro, si mette da parte e lascia finire le gatte prima di cominciare.
Durante la scomparsa di Daenerys, l’ha cercata per giorni, mi si siedeva davanti, mi guardava fisso e poi miagolando mi chiedeva di lei, come per dire: “dove l’hai messa la mia gattina?”.
Quando finalmente l’ho riportata a casa dalla clinica, aveva recuperato l’equilibrio, ma era molto spaventata e debolissima perciò avevo approntato un giaciglio e una lettiera in bagno, per tenerla isolata dagli altri due gattoni (pesano il doppio di lei). Ma Tigro l’ha sentita tornare, si è piazzato davanti alla porta del bagno e ha iniziato un miagolio straziante. Ho resistito cinque minuti, poi l’ho lasciato entrare.
E’ stato delicatissimo, se l’è tutta leccata e sbaciucchiata, anche lei era felicissima di rivederlo, dopo le coccole si è addormentata tranquilla, Tigro finalmente si è calmato e l’ho potuto far uscire.
E va bene che sono bestie, ma è stata una scena abbastanza commovente.
Mi piaceva l’idea di rendere omaggio al mio gattaccio inserendolo in un dipinto. E mentre dipingevo pensavo al periodo molto bello che sto attraversando (spaventi felini a parte). Mi sentivo tutta in brodo di giuggiole e avevo anche cominciato a scrivere un post paradisiaco dove parlavo di piccole grandi gioie legate a tanti aspetti della mia vita, al mio amore infinito per i figli, al mio senso di completezza streghesca, alle mie soddisfazioni con gli studenti…
 

Quando, venerdì sera, mi rendo conto che la piccola tre piedi ha preso la tigna.
La tigna!
L’ha presa nella costosissima clinica veterinaria dove è stata ricoverata 2gg in seguito all’incidente (dove non le hanno fatto un bel niente, tranne attaccarle una flebo e la Tigna e in cambio mi hanno estorto 225e). Guardo meglio e scopro che l’ha pure già attaccata a Gattolinzi.
La tigna!
Per quanto ne so potrebbe averla anche già attaccata a me e alla Piccola Fata, dato che ce la stiamo sbaciucchiando anche noi (e non solo il Tigro) da due settimane.
Ecco.
Dopo un primo, lungo e doveroso momento di scoramento, sono passata all’azione.
Con i bambini dal padre, ho spalmato di crema antimicotica le povere bestiole e le ho espulse in giardino (a questo punto, anche e soprattutto Daenerys), quindi ho passato tutta la mattinata di sabato a cercare di disinfestare la casa, ho aspirato ovunque, cenciato i pavimenti, salviettato i mobili, sbudellato i divani, spellato i cuscini e lavato ogni tipo di tappezzeria (e sapete quanto io ami fare la brava donnina di casa… per niente!).
Verso l’ora di pranzo, ho chiamato la clinica per avvertirli del contagio (non solo per avere un consiglio, ma anche per il bene degli altri gatti ricoverati da loro), il giovane veterinario mi ha spiegato che non era affar suo e che avrei dovuto richiamare lunedì quando c’era il titolare.
Visto che la crema se l’erano già leccata via tutta in 5’ (a vicenda: nel senso che ho visto Tigro leccare Daenerys e “pulirla” direttamente sulla zona lesionata…. orrore!), il resto della giornata ho imbastito un pietoso pellegrinaggio in ben 5 farmacie di Firenze alla ricerca di un farmaco antimicotico orale per uso animale. Ma niente, evidentemente la Tigna è una malattia medievale ritenuta ormai estinta al pari delle streghe. Alla fine un povero Cristo si è mosso a compassione e mi ha venduto una capsula con lo stesso principio attivo del rarissimo farmaco, ma pensata per uso umano (quindi con dosaggio troppo elevato) calcolando lui il frazionamento che avrei dovuto eseguire.
Arrivata a casa ormai nel tardo pomeriggio, diligentissima, ho svuotato la polvere su una stagnola e ho cercato di sezionarla in 14 parti abbastanza equivalenti (mentre separavo le “dosi” mi è venuto in mente che se fosse arrivato qualcuno mi avrebbe preso per una spacciatrice e ho addirittura rischiato di starnutirci sopra e rovinare tutto), ma alla fine credo di essermela cavata, anche senza un trascorso da eroinomane. E lasciamo perdere le scene tragicomiche quando ho dovuto somministrare le piccole palline di carne macinata “drogata” ai tre gatti… vabbè.
Adesso non mi resta che proseguire la cura orale per un altro giorno, incremarli per settimane, aspettando e sperando, che i nostri amici pelosi guariscano e che nel prossimo mese non compaia anche su di noi l’amato ospite.
E insomma, peggio dei pidocchi, il post sui Campi Elisi della vita terrena lo scrivo un’altra volta.
 

lalla
"il Gatto della Strega", olio su masonite, 51x60,5 cm

P.S. La Piccola Fata è molto entusiasta di questo quadro: “bello mamma, dopo ne fai uno di me con Daenerys!!!”. Magari anche sì, se e quando riusciremo ad arrestare la pandemia fungina.