mercoledì 18 luglio 2018

nella vita ci vuole fortuna... culo, anzi, classe

Anni fa vidi “Match Point” di Woody Allen, un film perfetto, ma difficile da classificare. Un film che forse non ti aspetteresti, strano per essere di Woody Allen. Interessata alla questione, ascoltai un’intervista del regista che spiegava che non aveva voluto girare un film romantico, né un thriller, né un poliziesco, bensì un film sulla fortuna e su quanto peso possa avere nella vita delle persone. Mica scemo Woody Allen (mai avuto dubbi a riguardo, cioè: magari gravemente disturbato e pedofilo sì, ma scemo no di certo!).
Per vivere bene ce ne vuole parecchia di fortuna.
Il mio babbo era un accanito giocatore di carte, almeno una partitina in pausa pranzo tutti i giorni e magari due in vacanza. Non giocava mai per soldi perciò non parlerei di vizio, ma di passione, tramandatagli da sua madre. Giocava per il gusto di giocare, e di vincere. Perché in effetti non sapeva perdere e comunque vinceva tantissimo, specialmente contro noi figli, infieriva volentieri e si incazzava pure se sbagliavamo a giocare, come fosse stato un peccato mortale aver scartato un cinque invece che un quattro a “scala 40”(soprattutto perché il quattro sarebbe servito a lui per aprire!).
Entrambi i miei genitori mi hanno raccontato che una delle prime volte che la mia mamma era stata introdotta nella famiglia di lui, avrà avuto 16 anni, dopo un pranzetto cordiale, fu invitata a fare una partitina a carte… accettò, mal gliene incolse! Il novello fidanzatino e la futura suocera non solo si infuriarono a vicenda ma soprattutto contro di lei che non era abbastanza ferrata e con i suoi errori falsava e comprometteva l’andamento del gioco! La mamma decise di tenersi comunque il ragazzo, ma promise a se stessa che non avrebbe mai più giocato a carte, né con lui, né con alcun membro della sua famiglia. E’ una donna di parola: neanche con noi figli ha mai giocato!
Insomma il babbo giocava e vinceva tantissimo e il gioco di carte è un gioco di fortuna, no? Hai voglia a giocare bene, ma se hai una mano di merda, c’è poco da fare, no? Perciò la nostra unica difesa, poveracci noi, era giustificarsi con il solito: “ma non vale babbo, te c’hai culo!”
E lui, saggio, rispondeva: “Una volta è culo, ma tre volte culo è classe!”.
Allora mettiamola così, come sarebbe piaciuta a lui: il mio babbo era un uomo di classe.
La fortuna, nella vita, è tutto.



Prima di tutto ci vuole la fortuna di nascere nel posto giusto. Perché se fossi nata nel 1975 come sono nata, ma in un paese africano poverissimo o in guerra, sarei probabilmente morta affogata cercando di traversare il Mediterraneo (io bevo se metto la testa sotto senza tapparmi il naso, figuriamoci che goduria rovesciata da uno scafista criminale di notte nell’acqua nera petrolio a km dalla costa), oppure sarei sopravvissuta nonostante il viaggio stipata come una sardina per poi finalmente approdare in Italia, dove mi avrebbero tenuta due giorni bloccata in porto con un caldo bestia, senza sapere niente del mio destino, quindi fatta sbarcare e guardata con sospetto, scansata e magari presto costretta a prostituirmi per ripagare il debito del passaggio ponte…
invece sono nata a Firenze, una delle città più belle del mondo, in una famiglia colta e benestante e al massimo posso incazzarmi se, tornando da una vacanza al mare come domenica scorsa, la nave dell’Elba Ferries ritarda due ore lasciandomi in attesa sul molo in auto e sotto il sole. Un bel disagio, ma c’è una sostanziale differenza.
Ho un bel culo, no?
Poi ci vuole la fortuna  di nascere al momento giusto. Perché se fossi nata a Firenze come sono nata, ma durante il medioevo, mi avrebbero impedito di studiare e di dipingere, mi avrebbero ammaestrata per diventare una brava moglie-bambina, oppure una suora. Nella prima ipotesi sarei probabilmente morta di parto giovanissima dopo aver sgravato un erede maschio o un’altra femmina sciagurata come me. Nella seconda ipotesi, nonostante l’ammaestramento, essendo portatrice sana di moltissima curiosità e propensione alla ribellione intellettuale, mi sarei probabilmente inoltrata nella ricerca clandestina e nella voglia di conoscere e così mi avrebbero bruciata viva come strega…
invece sono nata oggi, quando la parità dei diritti è ancora lontana mille miglia, ma almeno noi femminucce un po’ ce la caviamo. Ho potuto studiare (anzi, sono stata invogliata a farlo) e dipingere. Ho potuto scegliere il mio destino. Sono eretica e me ne vanto. Ho sconfitto grazie ai progressi della scienza una serie di possibili sciagure legate alle gravidanze: 1) ho quasi abortito Elia dopo 5 mesi di gestazione e poi sono quasi morta per emorragia al parto, 2) sono stata quasi condannata dal caso a partorire una creatura deforme e sfortunata, che non sarebbe sopravvissuta a lungo e ho potuto fare tutti gli accertamenti possibili prima della sua nascita, tentare di salvarla in ogni modo e infine scegliere di salutarla senza rimorsi e senza farla soffrire, 3) Matilde è quasi morta per grave sepsi (infezione diffusa da streptococco) alla nascita… quasi, quasi, quasi… in questi 3 QUASI c’è tutta la differenza del mondo e dei 1000 anni di evoluzione scientifica e culturale che ci hanno permesso di cavarsela!
I miei figli sono state o no delle vere e proprie botte di culo?!
Ci vuole la fortuna di avere un corpo sano e molta forza(fisica). Perché se fossi nata gravemente malata o deboluccia e non fondamentalmente una roccia come sono, tutto sarebbe stato diverso. Le persone che patiscono dolori fisici o che vivono con menomazioni , non valgono certo meno degli altri, ma, ricordiamocelo sempre: faticano il triplo degli altri e magari lo fanno anche col sorriso e senza farcelo pesare! Certe malattie sono un impegno grande, che richiede tanto sforzo fisico e mentale, certo, io ho un fegato così così, ma chi non ha qualche acciacco? C’è una bella differenza!
Sono sempre stata forte, una pellaccia, non mi ha mai fermato niente, tantomeno il ciclo mestruale. Ho un’altissima resistenza al dolore e grande capacità di recupero (meno di una settimana fa mi sono affettata mezzo pollice tagliando il pane, ci sono rimasta un po’ male perché non mi era mai successo e se non avessi incontrato l’osso avrei proseguito tranquillamente la mia corsa fino ad amputarmelo completamente. Comunque sia: è praticamente già tornato tutto a posto, guarisco più velocemente dei cani!). Ho gambe e braccia possenti. Nonostante la statura limitata, posso arrampicarmi ovunque, camminare intere giornate e sollevare con discreta facilità un po’ di tutto: banchi in classe per fare esperimenti, mobili in casa per fare traslochi, valige in auto per iniziare viaggi, mia figlia che pesa già 20 kg. per farla volare...
ancora un bel culo, no?
E ci vuole la fortuna più grande: quella di saper apprezzare le proprie fortune. La fortuna di avere entusiasmo e amare la vita, saper assaporare le piccole cose (che in realtà sono grandi) e quelle grandi (che in realtà sono enormi). Non dirò “la fortuna di svegliarsi sempre di buon umore”, ma più che altro: di svegliarsi sempre, più o meno, dello stesso umore. Perché se non fossi nata razionale ed equilibrata come sono nata, ma di volta in volta scossa da ormoni contrastanti, sarebbero stai loro a decidere se quel giorno era un buon giorno o se quella cosa era una giusta cosa, non io. Sarebbero stati loro a farmi sentire felicissima o tristissima, indipendentemente da come stavano andando realmente le cose intorno a me. Sarebbero stati loro a mentirmi e condizionarmi, a farmi prendere fischi per fiaschi e giudicare male il valore delle cose piccole (che sono grandi) e di quelle grandi (che sono enormi). Mi avrebbero confuso le idee, condizionato nel fare tutta una serie di sbagli e la cosa più triste è che avrei creduto di fare solo cose giuste…
invece io mi sveglio ogni giorno ricordando perfettamente la mia situazione di vita (nel bene e nel male), mi guardo allo specchio, riconosco me stessa e, siccome mi sto simpatica, mi faccio un bel sorriso. Ogni giorno non scordo quali siano le cose che contano davvero (come ascoltare i miei figli e guardare la bellezza) e quelle che posso anche lasciar perdere (come fare shopping). La razionalità non mi rende arida o seria, anzi, richiama tante emozioni e coccole e soventemente mi spinge a prenderla a ridere, questa strana vita, e a lasciarmi andare alle stupidaggini, al sentirmi ancora una bambina.
Sempre più culo, vero?
Infine, non dirò che ci vuole “la fortuna di incontrare la persone giuste” lungo la strada perché questa proprio non esiste. Si incontrano emeriti stronzi invece, nel 95% dei casi. Allora dirò invece che ci vuole la fortuna di saper riconoscere quei 5 che valgono, o in alternativa (se si è un po’ tardi e creduloni come me) ci vuole la fortuna di possedere la forza (mentale) per resistere all’onda d’urto dei 95 stronzi. Piantare bene i piedi e mantenere la posizione, nonostante lo tsunami che ti si abbatterà contro e ricordare il proprio nome e se stessi, nonostante il ciclone che ti scuoterà la testa. Serve davvero tanta forza interiore, ora, non vorrei montarmi la testa, ma pure ‘sto culo qui mi pare d’avere!
Insomma: non tre, ma almeno cinque volte culo (e potrei elencarne molte altre)… come direbbe il mio babbo: sono una donna di gran classe!
Qualcuno potrebbe obiettare: "dalla terza in poi non si tratta di fortune, ma di caratteristiche tue". Certo, è vero. E io cosa sono se non una combinazione genetica e irripetibile estratta a caso tra milioni di probabilità? Io sono, tutti lo siamo, frutto della fortuna (più o meno buona).
Molti di noi hanno vinto al super-enalotto almeno una volta nella vita, la volta più importante, quella che ci ha portato su questa terra, sarebbe bene rendersene conto.
Ed esultare.


lalla


P.S. tra due giorni saluterò i miei figli (che passeranno una settimana al mare col padre) e salirò su un aereo per Londra con la mia mamma… volare mi fa paura, anche saperli lontani da me, ma ormai abbiamo stabilito che sono una persona fortunata, giusto? Quindi siamo d'accordo amico culo, ci conto.

lunedì 16 luglio 2018

chi vogliamo far vivere per sempre?


Pochi giorni fa, siamo all’Elba, a fare il bagno in mezzo al golfo di Marina di Campo, dove c’è la secca, l’acqua è cristallina e tocca anche la Piccola Fata. C'è poca gente.
Il Re dei Sugolini canta “Who want to live forever”. Ora, così a mollo in mezzo al paradiso saremmo stati bene anche in silenzio, ma comunque non mi lamento, prima di tutto perché il Re non ha attaccato con uno dei suoi soliti jingle dei videogames che mi fanno uscire di cervello e poi perché non sarà Freddie, ma ha una voce bellissima e in fin dei conti non ne viene fuori lo scempio che potreste immaginare.
Poi si ferma e tenta di fare il simpatico improvvisando una delle sue solite battute che non sono molto ben calibrate e spesso risultano, loro sì, un po’ stonate: “Ganzo, no? Voleva vivere per sempre, invece è morto”.  Che allegria.
Mitighiamo, va, cerchiamo di alleggerire e recuperare la spensieratezza dell’ammollo: “A parte che questa canzone è la colonna sonora di un film su un tizio immortale, comunque, Freddie Mercury è stato davvero grande e adesso tu stai qui, in mezzo al mare, a cantare una sua canzone, tutti si ricordano di lui, si può dire che un po’ vivrà per sempre, non credi?”
Ma lui non è mica un ragazzino qualunque, abbagliabile con facili miti, è il Re dei Sugolini e anche se ha un umorismo davvero strano e spesso indelicato, sa darti quelle risposte lì, secche e precise, che non ti aspetti.
“Potremmo dire lo stesso di Hitler, anche di lui si ricordano tutti”.
Questo è profondamente vero, e ingiusto.
Spensieratezza addio.
“E’ vero, in effetti anche lui è stato grande, purtroppo, grande nel male… “ Sto faticando “Voglio dire: le persone cattive esistono e nella storia dell’umanità ce ne sono state e ce ne sono anche adesso crudeli quanto lui, però lui è stato uno davvero “bravo” nell’attuare il suo terribile disegno, pensa che è riuscito a convincere una nazione intera (mica erano tutti cattivi come lui i tedeschi, ma li aveva convinti) che l’origine di ogni male fosse un popolo “diverso” da loro, quello ebraico, e che la cosa giusta da fare fosse uccidere milioni di persone o più semplicemente far finta che tutto questo non stesse neanche avvenendo. Nel suo orrore, se ci pensi, non è mica una cosa da poco!”.
“Sì, mamma, ma si tratta solo di saper essere convincenti, di saper parlare alla gente, di condizionare gli altri e invogliarli a fare quello che vuoi tu, di manipolarli, come Ulisse con i suoi compagni: gli fece un bel discorsino e quelli tutti contenti lo seguirono al purgatorio”.
Allora rimango in silenzio, perché non è facile ribattere, va a finire che dalla laguna paradisiaca dove siamo, c’infiliamo in un ginepraio.
Pochi capiscono le sue battute e non è un manipolatore proprio per niente, questo un po' mi consola, magari verrà ricordato per cose belle... due schizzi in faccia e riporto tutto a una dimensione più ludica. La Piccola Fata vuol giocare alle sirene.
Però la cosa non mi piace per niente e in realtà vorrei dirgli: “Hai ragione figliolo mio, alla morte non sopravvivono i giusti, le persone di valore, ma più spesso chi “ci sa fare”, i carismatici, gli imbonitori, quelli pieni di fascino e privi di scrupoli. E’ profondamente ingiusto che certi individui si guadagnino l’immortalità!”

Dopo, con calma, mi metto a riflettere sulla questione.
Gli ebrei hanno perfino istituito un Giorno della Memoria, col cavolo che si scordano Hitler!
Non sono per niente brava con i grandi numeri, allora provo a scendere nel piccolo, nel conosciuto, nel personale, d'altronde le persone cattive (che fanno del male) esistono nella vita di tutti i giorni, non c’è bisogno di scomodare i grandi sterminatori della storia.
Di fronte a un abuso, a un male fatto da qualcuno, le possibilità sono due.
La prima: provare a minimizzare, far finta di non vedere, girarsi dall’altra parte oppure guardare con una calibrata disattenzione, e presto dimenticare. Lasciare che il tempo lavi il ricordo, farlo scorrere via, come se il male provato non fosse mai esistito e quindi non fosse mai stato fatto. Si comportano così il 90% delle persone, quasi sempre quelle non direttamente interessate dagli spregi (le non-vittime) e qualche volta anche chi ha subito, ma non ha la forza di ricordare e la sente come unica strada possibile. Fanno così non solo per piccole questioni, lo fanno con tutto, anzi: più il fatto è brutto e spiacevole, più è ingiusto e ripugnante, più è insopportabile associarlo a un amico, a un conoscente o a un connazionale, quindi (per continuare a vivere sereni) più velocemente va minimizzato o dimenticato.
Nel ricordo di questi “smemorati” si sostituiscono velocemente versioni più edulcorate, più piacevoli, “che infondo che vuoi che sia” “alla fine è stato meglio così” “non si rendeva conto di quello che faceva” “ormai è acqua passata”… infine si arriva al negazionismo, al mettere in discussione che i fatti siano veramente successi.
Insieme con Elia abbiamo visto il film “La verità negata”, mica era uno scherzo.
O.K., allora io dico (sia che venga applicata a un abuso privato, che al genocidio di un popolo): questa prima possibilità fa schifo!

La seconda possibilità è ricordare.
Fanno benissimo gli ebrei ad aver instituito il Giorno della Memoria altrimenti le prime a essere dimenticate sarebbero state le vittime e il loro dolore. I fatti vanno ricordati per quello che sono. Certo, le persone che hanno subito un trauma vivrebbero meglio (più serenamente) se riuscissero a dimenticare e risulterebbero anche più simpatiche alla comunità. Così come sono (traumatizzate appunto) fanno tristezza a tutti, a tutti ricordano il crimine subito (da loro) e soprattutto commesso (dal proprio aguzzino), a tutti ricordano la vergogna di appartenere al genere umano. Per questo le persone traumatizzate vengono velatamente scansate da un bel po’ di gente, cioè da tutti quelli che preferiscono vivere smemorati (e sereni). Ma a loro, ai traumatizzati, va bene così, loro preferiscono ricordare (anche se è difficile e questo ricordo li condizionerà per sempre nella vita), perché almeno così il dolore che hanno provato ha un senso, portarselo dietro, accoglierlo e conviverci è un sacrificio necessario. La memoria non serve solo a condannare fermamente e a prendere le distanze, serve soprattutto a mantenere viva la speranza più importante: che certi fatti possano non risuccedere più. Serve a proteggerci e a proteggere.
Poi un’altra cosa: conservare la memoria della verità storica è faticoso e riuscire a farlo deve farci sentire fieri, non farci vergognare, si vergognino quelli che hanno fatto del male e anche quelli che dimenticano ed edulcorano, la via più giusta non è quasi mai quella più semplice da seguire!
Mi torna tutto, ma così l’inghippo rimane, non c’è una via d’uscita, ha ragione il Re dei Sugolini: Hitler non verrà mai dimenticato, al pari di Gandhi e Michelangelo e questo è ingiusto. Non solo, venendo conservato all’interno della storia dell’umanità, ogni tanto raccoglierà qualche allegro simpatizzante, ogni tanto nascerà qualche imitatore e i suoi metodi, la sua logica, il suo carisma, potranno sempre essere d’esempio.
Dobbiamo stare attenti: ricordare i cattivi è un'arma a doppio taglio.
Non va bene, porca miseria!

Ci vuole una terza possibilità.
Le vittime andrebbero sempre consolate, aiutate, frequentate e accolte (anche se portatrici di dolore, non sempre allegre, leggere e corrispondenti alla tipologia “Re della festa”), i fatti andrebbero sempre ricordati per come sono andati (anche se dolorosi o atroci), i carnefici no (per quanto carismatici e potenti), loro si meriterebbero solo due cose, non la memoria e neanche il rancore, solo la solitudine e l’oblio.
Questa terza possibilità e l’unica giusta davvero, io non so bene come fare a realizzarla, non so farlo nel mio piccolo (a livello personale), non credo sia possibile farlo nel grande (a livello storico e globale).
Non so farlo ma sono ottimista, il mio straordinario figlio sta crescendo, io lo ascolto con attenzione e chi lo sa, tra un tuffo nel blu e una battuta fuori luogo, un giorno non lontano forse sarà lui a suggerirmi il modo.

lalla