venerdì 20 settembre 2019

non per tentare l'opera d'arte, nè per diletto, ma per necessità

Una volta ammirato il mio quadro con il Tigro (“il gatto della Strega”), Matilde me l’aveva fatto promettere che le avrei regalato un ritratto con Daenerys.
La prima settimana di settembre è stato il momento ideale: l'ho passata da sola, avevo tanta voglia di dipingere di nuovo e di trovare un modo per sentire vicina la mia bambina.
Non è stato facile cercare di cogliere l’incanto che la pervade, io c’ho provato. Il risultato non è male (lei è contenta!), ma la magia della mia Piccola Fata è troppo vasta per riuscire a catturarla in una
pittura.
In ogni caso è stato un tentativo bellissimo e terribile.
Ho iniziato la mia ultima domenica di vacanza, alle 7.30, ancora in pigiama, pensando: “inizio a dipingere un’oretta e poi mi lavo/vesto/nutro più tardi” . Invece la mia Piccola Fata mi ha risucchiato senza pietà. Verso l’ora di pranzo ho avvertito una voragine nello stomaco, mi sono trascinata verso il frigorifero praticamente senza forze, ma piena di speranze… semi-vuoto, l’immagine della tristezza. Allora con un po’ di pane raffermo ho messo insieme il solito spuntino/degrado di quando sono sola: un crostone condito con olio, sale, mozzarella light e un pizzico di curry. Rinvigorita dal lauto pasto, ho trascritto velocemente sul blog un post che avevo già ultimato nella mia testa durante la notte. Mi sentivo tranquilla (di poter rimandare ancora un’oretta il tempo di riprendere la battaglia) perché avevo già superato quel terribile momento (quello che prima o poi arriva sempre) in cui sembra tutto inutile e sono tentata di buttare via quel pezzo di masonite riottoso, di ripudiarlo. Lo avevo già domato (o lui aveva domato me), quindi ho ripreso a dipingere più rilassata e ogni minuto che passava l’immersione diventata sempre più forte. 

Quasi una perdita di volontà, una sbronza.  Nel tardo pomeriggio ce l’ho fatta a riallontanarmi, mi sono staccata e finalmente ho potuto guadare negli occhi mia figlia (nonostante lei non si trovasse lì con me), ho avvertito una grande fierezza: in qualche modo, trascinandoci a vicenda (io e la pittura), stavamo approdando dove io avrei voluto. Subito dopo ho iniziato a sentire una smania terribile alla schiena e alle braccia. L’ultima ora ho dipinto massaggiandomi e rigirandomi sullo sgabello come se mi avesse morso la tarantola. Dolori ovunque. Ho guardato l’orologio e mi sono resa conto che quella dolcissima tortura si era protratta per oltre dodici ore.
Basta. Ho appoggiato il pennello, la mia mano destra, macchiata di colore, tremava. 

Ho accarezzato il mio lavoro, l’ho ringraziato e sono scappata prima in bagno e poi in cucina, a elemosinare un altro spuntino/degrado. Ho agguantato un mucchietto di calorie più o meno casuale e me lo sono consumato all’americana, accompagnato da una birra, ancora in pigiama, davanti alla TV. Più degrado di così!
Non ho rigovernato i piatti, invece mi sono fatta una bella doccia, una dormita troppo breve (anche perché alle prime luci dell’alba il desiderio di tornare a salutare il mio aguzzino è stato fortissimo) e alle 9.30 mi sono presentata al primo Collegio Docenti con due belle occhiaie nascoste sotto l’abbronzatura.
Mi rendo conto che da vari punti di vista potrei sembrare folle: ho trovato il modo di lavorare come un’ossessa nel mio ultimo giorno di vacanza, di alienare la mia mente fino al completo distacco dalla realtà e di condurre il mio fisico allo stremo.
Non so che dire in mia difesa, tranne che quella mattina del 2 settembre, nonostante persistessero stanchezza e dolori ovunque, mi sentivo felice. Certo, dopo un’esperienza tanto intensa, mente e corpo si sono ribellati e hanno preteso almeno tre giorni prima che io potessi anche solo pensare di riprendere in mano il pennello. Poi il desiderio è tornato, fortissimo, e allora mi sono dedicata alle mani di Tinne e alla gattina. 
Nonostante pareri contrari da parte del web, fino a quando ho sentito un impulso spontaneo, sono andata avanti.
Mi sembra, ma non so se è solo una sensazione, che ogni volta che dipingo sia più forte e più estenuante. Intendiamoci: ho sempre lasciato che la foga prendesse il sopravvento, che facesse di me una stronza senza rispetto del mio stesso corpo e degli altri. Agli altri non devo più pensare (mi concedo queste maratone di pittura o scrittura quando i miei figli non sono come me), non stanno lì nel tentativo di ancorarmi a questo mondo e io, senza ancore, prendo il largo alla deriva. Forse sto solo invecchiando e il mio fisico soccombe con più facilità. O forse negli anni ho davvero abbandonato sempre di più i freni.  Fa un po’ paura, in effetti. Eppure mi chiama e io ne ho bisogno.
Dico grazie a questa mia pazza inclinazione al Disegno e all’Arte. Mi accompagna dall’infanzia, è imprescindibile dal mio modo di esistere e sopravvivere, a lei devo, bene o male, tutto quello che sono.
Non mi importa se queste mie pitture non piaceranno, io non sono “un’artista”, non sono spinta dal desiderio di realizzare il capolavoro, nè da quello di vendere o di convincere nessuno. Mi mantengo in altro modo. 

Tante volte ho spiegato che sono più “una dilettante”, cioè una che disegna per diletto.
Mi rendo sempre più conto che neanche questa è la verità.
Non è mai stato così, non è un diletto (è più vicino a un tormento), bensì una necessità.


lalla

"la gatta della Piccola Fata", olio su masonite 70x70cm
 

domenica 15 settembre 2019

domani il Re pedalerà verso il liceo

E’ incredibile, ho riletto il post che avevo scritto il tuo primo giorno di elementari (“il Re va a scuola”) e le sensazioni che provo adesso, alla vigilia del tuo primo giorno di liceo, sono praticamente le stesse.
Che vergogna: cerco di evolvermi e invece rimango sempre la classica mamma italiana di quelle che ci pigliano per il culo in giro per il mondo!
Eppure tu sei cresciuto (fisicamente tantissimo, sei più alto di me, emotivamente eri già grande a 6 anni), sono io che dovrei cercare di farmi un po’ di coraggio. Anche socialmente sei cresciuto (ma rimani sempre piuttosto sprovveduto) e la cosa peggiore è che sono io, socialmente, a non essere cresciuta per niente. Essere un po’ nerd ci accomuna.
Dovrò provare a smettere di scrivere di te su questo blog (che porta il tuo soprannome dei tempi di ciuccio e pannolini). Devo provarci per il tuo bene, ciuccio e pannolini li abbiamo salutati da 11 anni e frequenteremo la stessa scuola (c’è un forte conflitto di interessi).  Già da un po’ di tempo sto cercando di diradare i tuoi post, mi manca scrivere di te e mi mancherà tanto, perché sei sempre, e sempre sarai, nella mia testa.
Per quanto riguarda la scuola, ora come allora, incrocio le dita, cercando di farmi un po’ più da parte.
Forse per affrontare l’adolescenza di un figlio ci vuole lo stesso coraggio che per insegnargli ad andare in bicicletta. Puoi tentare di spiegargli come fare, inizialmente tenerlo per mano, accompagnarlo per un altro tratto, ma poi ad un certo punto basta: gli devi dare una bella spinta e lasciarlo andare. Anche se sai che le prime volte sbatterà per terra e si graffierà le ginocchia, devi lasciarlo andare. Potrai mettergli un casco in testa, ma tanto troverà comunque il modo di farsi male e nonostante ciò, devi lasciarlo andare. Devi metterti dietro di lui, a una certa distanza, e stare a guardare mentre si spalma rovinosamente sull’asfalto. Sarai spaventata a morte, ma non dovrai darlo a vedere. Dovrai correre a raccoglierlo da terra (celando il panico negli occhi) e fargli i complimenti per come si sta rialzando. Perché il punto è proprio questo: prima o poi tutti cadono, l’importante è trovare la forza e il coraggio di rialzarsi.
Che fatica emotiva insegnarti ad andare in bicicletta, non credo che vederti affrontare il liceo sarà una passeggiata.
E mi toccherà farlo pure da vicino! Avessi almeno scelto una scuola diversa da dove insegno io, forse avrei fatto un po’ meno fatica nel tentativo di “stare in disparte”.
Il nostro Liceo Internazionale è davvero la scuola più bella di Firenze, ma quanto è tosta! Domani, letteralmente parlando, la raggiungerai in bicicletta e allora è proprio il caso di dire: “l’hai voluta la bicicletta? … o pedala!”.
Rassereniamoci, nonostante tutte le mie paure, infondo hai imparato in un attimo ad andare in bici e, che io ricordi, al massimo ti sarai fatto due o tre graffietti…
lascia indietro la tua ansiosa mamma e vai, in bocca al lupo Re dei Sugolini!


lalla

mercoledì 11 settembre 2019

nell'incertezza di sapere quello che vi passa per la testa, mi tuffo

La Storia dell’Arte non è univoca come la Matematica, diciamo però che certe interpretazioni sono condivise. A noi insegnanti, qualche volta, tocca argomentare una lettura dell’opera, indicarne una simbologia, individuarne un messaggio o uno scopo, insomma tentare di “spiegare” un quadro quando ci sorge il dubbio che da spiegare non ci sarebbe proprio nulla. Nel senso che basterebbe guardarlo e basta. Può darsi che chi l’ha realizzato abbia scelto di colorare in un certo modo anziché in un altro solo seguendo il gusto personale? Solo perché quel giorno aveva voglia di fare così e non alludendo a chissà quale significato recondito? In molti casi, effettivamente, noi non sapremo mai cosa davvero volesse dirci l’autore (e soprattutto se avesse voluto o meno dirci qualcosa), insomma non scopriremo mai cosa gli passasse per la testa. Eppure ci proviamo, ad analizzare l’inanalizzabile e a comprendere l’incomprensibile.  Per questo gli artisti “scientifici” (tipo gli Impressionisti), che vogliono rappresentare solo e semplicemente quello che vedono, da comprendere e spiegare sono una passeggiata di leggerezza. E anche chi ha lasciato qualcosa di scritto e chiarificatore (grazie mille!). Nei casi più misteriosi (quando anche le note biografiche o storiche non vengono in mio soccorso), cerco di cavarmela concentrando l’attenzione su cosa l’opera rapresenta e trasmette e questo va al di là di ciò che l’autore volesse metterci dentro.
Quasi tutti gli autori, più o meno inconsapevolmente, ci hanno messo se stessi.
In ogni caso, ci poniamo molte domande a cui spesso è impossibile rispondere. E non solo sull’Arte, s’intenda. Tendiamo ad appesantire tutto, a cercare una spiegazione ovunque. Lo faccio anche io, fin troppo, ma non dimentico di considerare che qualche volta le cose potrebbero anche essere semplici.
Rimanendo nel settore Arte, valga come esempio “la tomba del tuffatore” di Paestum (V sec. a.C.) , noto quale unico esempio di pittura non vascolare risalente alla Magna Grecia. L'interpretazione potrebbe sembrare banale.
Risultati immagini per tomba tuffatore paestum
Iconografia della lastra di copertura: un tuffatore che si butta di testa verso l’acqua. Esiste forse metafora più perfetta dell’uomo che si stacca dalle sicurezze di questo mondo e si lancia nel vuoto verso l’ignoto dell’aldilà? Il parallelismo è davvero immediato e convincente. E sì, anche io se parlo dell’opera in classe, evidenzio questa lettura. Ma subito dopo insinuo negli studenti anche un’altra possibilità: “e se invece, molto più semplicemente, questa tomba fosse stata destinata a un atleta, un uomo a cui piaceva tuffarsi?”.  Senza tanti significati reconditi. E’ possibile, no? Infondo nelle parti laterali ci sono rappresentazioni di gente che banchetta. Un'insegnante di Filosofia mi ha parlato di un altro significato: la rappresentazione del mondo secondo la scuola pitagorica e quindi i piani di lettura aumentano.
Comunque la si voglia leggere, va detto che per fare un tuffo di testa ci vuole coraggio.

Guardo l’acqua, so di essere surriscaldata dal sole e che la sentirò gelida, so che l’impatto sarà come uno schiaffo, non sono certa di come riuscirò a fare il tuffo, potrebbe entrarmi un po’ d’acqua nel naso (mi capita spesso), potrei battere una panciata o scodare troppo e farmi male alla schiena, ma io sono intrepida, mi concentro su un punto preciso (che di solito è un po’ in profondità) e quindi arriva quell’attimo, quello prima di staccarmi, l’attimo in cui decido che sono pronta, raccolgo tutte le mie forze e mi do una spinta verso l’alto, puntando a capofitto verso il basso. E’ un attimo fantastico, in cui mi sento viva e fiera. Non importa se alla fine bevo o batto una panciata: io mi sono staccata, mi sono buttata nel vuoto!
Forse il parallelismo esiste davvero? Amo tuffarmi in mare e sono anche una scema che si espone quasi sempre più del dovuto, che prende la parola per parlare in pubblico, che si mette alla prova in tutto e con tutti (nell'incertezza di sapere cosa passi nella testa degli altri). Mi tuffo spesso anche nella vita e infatti quanti schiaffi in faccia prendo!
Non mi importa: dopo anni e anni di figuracce e terribili batoste, ho ancora il coraggio di staccarmi da una sponda sicura e buttarmi nel vuoto. Non è mica poco!
Ma sì dai, invece della lettura scientifica (mi tuffo in mare perché muoio di caldo stando al sole, entrare un po’ per volta è un supplizio peggiore, quindi meglio tutto d’un botto così mi tolgo il pensiero) accettiamo quella simbolica (mi tuffo in mare = sono temeraria nella vita), augurandomi che a forza di allenarmi (un giorno spero lontano) io sappia fare anche l’ultimo grande salto con una certa eleganza.


lalla
P.S. un po’ è indole, un po’ al coraggio si educa
 
 

domenica 1 settembre 2019

provateci voi

Provate voi a stare con una fata per quasi un mese tutto di fila.
Quando al mattino approdate al dormiveglia, socchiudete gli occhi e guardatela dormire nel letto (annodata al suo Purci di pezza) per un attimo vi sembrerà ancora piccola, indifesa e tutta vostra.
Al suo risveglio vi abbraccerà inebriandovi del suo magico profumo di bavetta.
Convincetela a fare un po’ di colazione controvoglia e poi lasciatela abbrutirsi ancora in pigiama sbracata in poltrona davanti a Cartoonito per almeno un’oretta, perché si sveglia presto (molto prima del fratellone) e perché se anche voi decideste di impedirglielo in nome di un’educazione migliore, ci sarà la nonna ad accenderle la TV.
Nutritela ancora a ritmi abbastanza regolari durante tutto il dì (soprattutto di yogurt, cioccolata, carote, cetrioli e pomodori, pane e olio, pizze, pesche, uva, poponi dello zio e panini ad angolo).
Estirpatele i pidocchi col pettinino per i primi quindici giorni, quindi acconciate con cura e attenzione i suoi lunghissimi capelli di seta corvina.
Vestitela. Lei vorrà sempre scegliere un abito (possibilmente con rimani, fiocchi e lustrini), voi vorrete infilarle comodi pantaloncini e maglietta. Indosserà l’abito.

Qualche volta datele un po’ di lucidalabbra e ombretto, anche se vi sembrerà una cosa ridicola, fatelo perché altrimenti vi ruberà i rossetti mentre siete ai fornelli e se li spalmerà sul viso secondo flussi emotivi di colore circolari (effetto “Urlo” di Munch).
Assecondatela quando vi dirà: “io quest’estate i braccioli non li uso perché ho compiuto 5 anni, quindi so nuotare”.  Non ribattete: “E quando avresti imparato scusa?” perché c’è poco da fare, ha ragione lei: sa nuotare. Avrà imparato tramite uno dei suoi incantesimi, durante l’inverno, dormendo.
Sa anche tuffarsi spericolatamente dalla barca nell’acqua alta e sa risalire da sola, sa usare la maschera e le pinne e, se non la fermerete, tenterà di affogare i suoi cuginetti più grandi.

 
Ammiratela giorno dopo giorno mentre si muove con disinvoltura, osserva e comprende praticamte ogni cosa, si diverte spensierata e comanda a bacchetta il povero Re dei Sugolini (e qualsiasi altro essere vivente le capiti a tiro). Non lo farà mai in modo sgradevole, bensì con una dolcezza infinita, ma, statene certi, nel pieno possesso delle sue facoltà, lo farà.
Annusatela molto spesso, non ci sarà bisogno di andarla a cercare, sarà lei ad abbracciarvi e baciarvi di continuo, le servirà per “segnare il territorio” e drogarvi con il suo profumo che in realtà è una pozione magica.
Ogni tanto portatela sulla “macchina dell’oceano” (una minuscola e insipida giostrina che gli anni passati le piaceva un sacco), anche se ormai non le piace più un granché, ha compiuto 5 anni, si veste come le pare, si trucca, sa nuotare, tiene testa a tutti, ma ancora la diverte, ogni tanto, fare la bambina piccola.
Concedetele pennarelli e fogli a volontà e lasciatele tappezzare la casa con centinaia di “opere”.

Osservate con quale facilità riuscirà a corrompere e ammaliare tutti intorno a sé.
E’ vostro dovere provare a resisterle e ridimensionare i suoi poteri. Fate qualche tentativo, tanto per salvare la faccia. Non ce la farete.
Senza rendervene conto, cadrete lentamente vittima dei suoi incantesimi.
Sole, mare, fata.
Un mese.
Poi tornerete a casa e ve la toglieranno di botto per una settimana.
E quella settimana ricomincerà a piovere.
E quella settimana voi ricomincerete a lavorare.
Forza, provateci, se ne avete il coraggio.
Attenzione all’altissima percentuale di rischio di cadere in depressione.
Rimedi: ciucciare i gattini Siamesi/Sacri di Birmania sfornati da Daenerys (hanno anche loro un ottimo odore) e (provare a) dipingere la vostra fatina.

Il quadro verrà una mezza schifezza. Avete perso in partenza e lo sapete: non sarà mai bello quanto lei, ma non importa, fregatevene del risultato, combattete l’astinenza e dipingete al solo scopo di sentirla vicina e superare questi stranissimi sette giorni senza di lei.
Provateci e buona fortuna.


lalla

P.S. non è la prima volta che sto una settimana senza figli e anche il Re dei Sugolini mi manca, per carità, ma ormai è un ragazzo e (per sua fortuna) vive un po’ meno in simbiosi con me rispetto a quando aveva 5 anni. Un po' meno sì, ma mica tanto, a dire il vero.
Di solito organizzo un viaggio (un diversivo), ma prima o poi dovevo provare a restare da sola nella nostra casa vuota.
Perché in effetti mi sento ogni giorno più forte e spero di poter resistere all’atroce combinazione (senza prole + rientro al lavoro + autunno alle porte).
Bo, speriamo bene, intanto ho pensato che pittura e scrittura, come sempre, mi avrebbero dato una mano.