Per questo, anche oggi mi sono svegliata alle 7.00, come avrei fatto in ogni 22 marzo della mia vita, l’orologio del mio corpo ignora la quarantena da covid-19 quanto l’ora legale.
I bambini dormono (Matilde mantiene il suo orario interiore delle 8.30, Elia è fin troppo bravo a spostare l’orologio, se verso le 10.00 non lo aggredisco potrebbe scivolare tranquillamente a mezzogiorno).
I gatti si rincorrono e giocano, loro dormono 16h al giorno e stanno svegli soltanto dalle 5.00 alle 9.00 (sia a.m. che p.m). Il resto intorno a me è silenzio.
Dopo un’intera settimana passata “collegata” alla scuola e un mal di testa portentoso di cui soffro da tre giorni, ieri sera ho promesso di staccare. Oggi è pur sempre domenica.
So che probabilmente il mal di testa è dovuto agli arrovellamenti collegati alla didattica a distanza e all’eccesso di schermo pc. Questo portatile l’avevo acquistato con i 500e del bonus docenti e poi non l’avevo mai usato, mi erano sembrati soldi buttai via, dal 5 marzo è diventato il mio mondo, quindi devo ricredermi, 500e spesi bene (o male, dipende dai punti di vista).
In ogni caso, non è certo un segno di furbizia averlo riaperto anche stamani, ma scrivere per me vale il rischio mal di testa. Il benessere ha tante sfaccettature.
Qualcosa mi ronza in testa, mi serve tirarlo fuori.
Mentre sono qui, circondata da qualche balzo felino e dal silenzio, circa 5000 persone sono morte in Italia per il nuovo coronavirus.
Scusate se oggi mi concentro solo sulla nostra nazione, non ce la faccio a pensare anche a tutti gli altri.
E man mano che la situazione peggiorerà, io credo, sarò portata a pensare maggiormente alla nostra regione, la Toscana, E poi alla nostra città, Firenze. E infine alla nostra famiglia.
Perché siamo in guerra, e in guerra arriva il momento in cui sei costretto a ripiegarti indietro, nella tua tana, e a sperare che si salvi l’essenziale.
L’essenziale che ti permetta di poter ricominciare quando sarà finita, che ti permetta di spostare indietro nella memoria questa merda di virus, di parlare delle vittime e dello strazio delle loro famiglie con grande compassione certo, ma anche con un certo distacco e con la piena consapevolezza di essere stato fortunatissimo perché infondo tu, nel tuo piccolo, non sei stato toccato veramente.
Come quei professori di Storia che parlano delle deportazioni degli ebrei, dei russi in Siberia, delle foibe, dei massacri in Libia, quei professori che prima o poi parleranno anche dei massacri che stanno avvenendo a Lesbo e nel resto dei confini greci in questo momento (di cui adesso non si parla più perché appunto chissenefrega dei migranti e delle altre guerre, visto che in guerra adesso ci siamo anche noi) … come quei professori che appassionatamente cercano di spiegare quei genocidi, ma che in quei genocidi, beati loro, non hanno perso nessuno.
Ho molta paura di poter vivere quel momento, il momento in cui mi renderò conto di essere felice, anche se altre 10.000 persone saranno morte, ma solo e soltanto se il mio piccolo mondo, solo il mio, si sarà salvato. Ho tanta paura della vergogna che proverò, ma temo ancora di più di non avere mai la fortuna di poterla provare. Nessuno può dirmi adesso, con certezza, che io sarò tra le fortunate che non perderà la madre diabetica di 75 anni, i tanti amici ultrasessantenni, le molte persone con una patologia che conosco (io stessa non ho un fisico perfetto).
5000 persone sono già morte.
Fin dall’inizio di questa pandemia, come un mantra, è stata ripetuta la media dell’età nei decessi (che ronza intorno agli 80 anni).
Su questo, ho bisogno di fare alcune considerazioni.
In base al desiderio intrinseco ed egoistico della sola sopravvivenza personale (che è ancora più schifoso e bestiale di quello di cui parlavo sopra) da parte di una bella fettona di gente (evidentemente giovane) si è levato il pensiero (anche espresso a voce e per scritto) “questo virus non è poi tanto pericoloso, infondo muoiono solo i vecchi!”. Tale nobile pensiero è stato alla base di comportamenti incivili e irresponsabili, del fregarsene delle regole, prendere treni che non andavano presi, continuare a fare apericena e festini che non andavano fatti. Ne paghiamo e ne pagheremo a lungo tutti le conseguenze, grazie.
E’ stato anche detto: “in Italia muore più gente con il coronavirus perché l’Italia è un paese di vecchi”.
Sempre i vecchi, ma chi sono questi vecchi?
La parola non mi disturba e per questo continuerò a usarla per tutto il post, non cambia molto chiamandoli anziani o diversamente giovani.
E’ vero, l’Italia è sempre stata un paese con un’aspettativa di vita molto lunga e crescita demografica vicina allo 0. Se ne sono sempre lamentati tutti e io non ho mai capito il perché. Mi sono sempre sembrati due dati estremamente virtuosi. Pochi bambini e molti vecchi, perfetto direi.
Prima di tutto non fare figli o farne pochi è un comportamento encomiabile dato che abitiamo su un pianeta di dimensioni limitate. Siamo quasi otto miliardi (aspetta che lo scrivo con gli zeri, così è più chiaro: 8.000.000.000), ci siamo moltiplicati in modo spropositato e stiamo prosciugando le risorse della Terra in modo irreversibile. No via, un po’ d’ottimismo, irreversibile no, il nostro pianeta è molto in gamba e la Vita ha trovato sempre un modo di andare avanti. Io spero che ce la faccia ancora per millenni, nonostante noi.
Sapete in quale modo la Natura si difende quando una specie animale cresce a dismisura e mette in pericolo l’intero ecosistema? Di solito insorge una grande epidemia. Ma dai?
Questa Terra deve provare ad ucciderci, noi ce lo meritiamo, deve provare in ogni modo a decimarci, ne va della Vita stessa. Il genere umano deve ritenersi molto fortunato perché a questo giro la nostra cara Madre Natura non è stata abbastanza brava. Questo virus, almeno che non si inventi una bella mutazione a sorpresa col botto, non ci decimerà. Ma ci metterà in ginocchio, ci farà soffrire molto e ci cambierà per sempre. Questo sì.
Parlo dell’Italia, questo virus ci sta portando via una grossa fetta di società, una fetta importante e senza cui ci sentiremo meno italiani di prima. Da noi le persone vivono a lungo perché alla fine forse il nostro sistema sanitario (nonostante i tagli criminali degli ultimi vent’anni) non fa così schifo come pensiamo, ma c’è anche un altro motivo.
I nostri vecchi noi li teniamo vicini, non li chiudiamo negli ospizi, non li escludiamo dalla vita sociale, non li allontaniamo nella solitudine. Li teniamo letteralmente in vita e all’interno della famiglia perché hanno tutto il diritto di farne parte. Li facciamo partecipare alle riunioni, alle feste, ai pranzi e alle cene (vecchi e bambini). Noi, in Italia, ci mescoliamo, mangiamo, parliamo, ridiamo, fregandocene dell’età.
Non fanno così nel resto d’Europa, sappiatelo. Parlo per esperienza, in Francia e Inghilterra i vecchi e i bambini sono esclusi dalla vita sociale e infatti in questi giorni dall’estero ci hanno detto anche questo: “In Italia il coronavirus si è diffuso maggiormente per colpa dalla famiglia”. Colpa? Mi permetterei di rispondere “vaffanculo!”.
Sì, siamo italiani, siamo macchiette che gesticolano, siamo quelli che parlano troppo forte, che mangiano e festeggiano di continuo (non siamo quelli della siesta, quelli sono gli spagnoli, lo preciso perché uno razzista e pure ignorante una settimana fa ha detto: “ma non staranno esagerando gli italiani a fermare tutto per il coronavirus? Secondo me è una scusa per fare la siesta!”)
Sì, i nostri vecchi noi li amiamo e siamo pronti a fermare tutto, a rinunciare al nostro benessere economico, a mettere a rischio l’intero sistema per salvarli (e non ci sono solo i vecchi, ci sono anche gli immunodepressi, i malati e anche molta gente apparentemente sana, ma molto fragile verso questo virus). Non è che una persona visto che non produce denaro allora non conta niente, per lo meno non in Italia. I nostri vecchi sono i custodi della nostra memoria, sono i nostri saggi, lo sapevano bene i Romani che li ritraevano con grande realismo e attenzione, indugiando su ogni ruga e segno del tempo. Molti di loro se ne stanno andando e le nostre famiglie non saranno più le stesse. L’Italia non sarà più la stessa.
E nonostante tutto quello che ho scritto, ringrazio la protezione civile che ogni giorno, subito dopo averci dato il conto dei morti, ci tiene velocemente a specificare l’età media dei deceduti.
Perché se adesso provo a pensare allo strazio di Bergamo, ai figli e ai nipoti che in videochiamata danno l’ultimo saluto ai propri cari che muoiono da soli, se penso che potrebbe capitare a me di perdere mia madre senza poterle neanche stringere la mano, mi tremano le gambe. Io sento che non ce la farei, che sarebbe troppo, ma mi sbaglio.
Io sono obbligata a rendermi conto che in qualche modo dovrei trovare la forza di andare avanti. La stessa Madre Natura che sta cercando di farci fuori, non so come, mi aiuterebbe, noi siamo geneticamente progettati per sopportare il dolore di veder morire i nostri genitori. E’ incredibile, ma è così, l’Italia ce la farà.
Non funzionerebbe mai con i nostri figli.
Proviamo tutti a immaginare se quelle 5000 vittime fossero bambini e rendiamoci conto che una guerra del genere non l’avremmo mai potuta vincere, né superare. Mai.
Quanto sono felice che la Natura, per questa volta, abbia preso male le misure.
Quanto sono felice che il Covid-19 non abbia generato una pandemia pediatrica.
Quanto sono certa che anche i nostri vecchi, che sono grandi persone, che ci hanno insegnato a vivere, a sacrificarsi e ad amare, la pensano come me.
Quanto sono felice adesso di smettere di scrivere perché Matilde si è già svegliata da una mezz’oretta, sta benissimo ed è arrivato il momento di farsi una bella colazione e una doccia, insieme.
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Ritratto di Patrizio, Roma Repubblicana |