domenica 22 marzo 2020

ai nostri cari vecchi

Sono una persona abitudinaria.Nel mio corpo ho un orologio che, ogni mattina, mi fa aprire gli occhi pochi secondi prima della sveglia.Per questo, quando scatta l’ora legale fatico molto, perché per spostare l’orologio del mio corpo ci vogliono almeno 15gg, se non un intero mese, non una sola notte.
Per questo, anche oggi mi sono svegliata alle 7.00, come avrei fatto in ogni 22 marzo della mia vita, l’orologio del mio corpo ignora la quarantena da covid-19 quanto l’ora legale.
I bambini dormono (Matilde mantiene il suo orario interiore delle 8.30, Elia è fin troppo bravo a spostare l’orologio, se verso le 10.00 non lo aggredisco potrebbe scivolare tranquillamente a mezzogiorno).
I gatti si rincorrono e giocano, loro dormono 16h al giorno e stanno svegli soltanto dalle 5.00 alle 9.00 (sia a.m. che p.m). Il resto intorno a me è silenzio.
Dopo un’intera settimana passata “collegata” alla scuola e un mal di testa portentoso di cui soffro da tre giorni, ieri sera ho promesso di staccare. Oggi è pur sempre domenica.
So che probabilmente il mal di testa è dovuto agli arrovellamenti collegati alla didattica a distanza e all’eccesso di schermo pc. Questo portatile l’avevo acquistato con i 500e del bonus docenti e poi non l’avevo mai usato, mi erano sembrati soldi buttai via, dal 5 marzo è diventato il mio mondo, quindi devo ricredermi, 500e spesi bene (o male, dipende dai punti di vista).
In ogni caso, non è certo un segno di furbizia averlo riaperto anche stamani, ma scrivere per me vale il rischio mal di testa. Il benessere ha tante sfaccettature.
Qualcosa mi ronza in testa, mi serve tirarlo fuori.
Mentre sono qui, circondata da qualche balzo felino e dal silenzio, circa 5000 persone sono morte in Italia per il nuovo coronavirus.
Scusate se oggi mi concentro solo sulla nostra nazione, non ce la faccio a pensare anche a tutti gli altri.
E man mano che la situazione peggiorerà, io credo, sarò portata a pensare maggiormente alla nostra regione, la Toscana, E poi alla nostra città, Firenze. E infine alla nostra famiglia.
Perché siamo in guerra, e in guerra arriva il momento in cui sei costretto a ripiegarti indietro, nella tua tana, e a sperare che si salvi l’essenziale.
L’essenziale che ti permetta di poter ricominciare quando sarà finita, che ti permetta di spostare indietro nella memoria questa merda di virus, di parlare delle vittime e dello strazio delle loro famiglie con grande compassione certo, ma anche con un certo distacco e con la piena consapevolezza di essere stato fortunatissimo perché infondo tu, nel tuo piccolo, non sei stato toccato veramente.
Come quei professori di Storia che parlano delle deportazioni degli ebrei, dei russi in Siberia, delle foibe, dei massacri in Libia, quei professori che prima o poi parleranno anche dei massacri che stanno avvenendo a Lesbo e nel resto dei confini greci in questo momento (di cui adesso non si parla più perché appunto chissenefrega dei migranti e delle altre guerre, visto che in guerra adesso ci siamo anche noi) … come quei professori che appassionatamente cercano di spiegare quei genocidi, ma che in quei genocidi, beati loro, non hanno perso nessuno.
Ho molta paura di poter vivere quel momento, il momento in cui mi renderò conto di essere felice, anche se altre 10.000 persone saranno morte, ma solo e soltanto se il mio piccolo mondo, solo il mio, si sarà salvato. Ho tanta paura della vergogna che proverò, ma temo ancora di più di non avere mai la fortuna di poterla provare. Nessuno può dirmi adesso, con certezza, che io sarò tra le fortunate che non perderà la madre diabetica di 75 anni, i tanti amici ultrasessantenni, le molte persone con una patologia che conosco (io stessa non ho un fisico perfetto).
5000 persone sono già morte.
Fin dall’inizio di questa pandemia, come un mantra, è stata ripetuta la media dell’età nei decessi (che ronza intorno agli 80 anni).
Su questo, ho bisogno di fare alcune considerazioni.
In base al desiderio intrinseco ed egoistico della sola sopravvivenza personale (che è ancora più schifoso e bestiale di quello di cui parlavo sopra) da parte di una bella fettona di gente (evidentemente giovane) si è levato il pensiero (anche espresso a voce e per scritto) “questo virus non è poi tanto pericoloso, infondo muoiono solo i vecchi!”. Tale nobile pensiero è stato alla base di comportamenti incivili e irresponsabili, del fregarsene delle regole, prendere treni che non andavano presi, continuare a fare apericena e festini che non andavano fatti. Ne paghiamo e ne pagheremo a lungo tutti le conseguenze, grazie.
E’ stato anche detto: “in Italia muore più gente con il coronavirus perché l’Italia è un paese di vecchi”.
Sempre i vecchi, ma chi sono questi vecchi?
La parola non mi disturba e per questo continuerò a usarla per tutto il post, non cambia molto chiamandoli anziani o diversamente giovani.
E’ vero, l’Italia è sempre stata un paese con un’aspettativa di vita molto lunga e crescita demografica vicina allo 0.  Se ne sono sempre lamentati tutti e io non ho mai capito il perché. Mi sono sempre sembrati due dati estremamente virtuosi. Pochi bambini e molti vecchi, perfetto direi.
Prima di tutto non fare figli o farne pochi è un comportamento encomiabile dato che abitiamo su un pianeta di dimensioni limitate. Siamo quasi otto miliardi (aspetta che lo scrivo con gli zeri, così è più chiaro: 8.000.000.000), ci siamo moltiplicati in modo spropositato e stiamo prosciugando le risorse della Terra in modo irreversibile. No via, un po’ d’ottimismo, irreversibile no, il nostro pianeta è molto in gamba e la Vita ha trovato sempre un modo di andare avanti. Io spero che ce la faccia ancora per millenni, nonostante noi.
Sapete in quale modo la Natura si difende quando una specie animale cresce a dismisura e mette in pericolo l’intero ecosistema? Di solito insorge una grande epidemia. Ma dai?
Questa Terra deve provare ad ucciderci, noi ce lo meritiamo, deve provare in ogni modo a decimarci, ne va della Vita stessa. Il genere umano deve ritenersi molto fortunato perché a questo giro la nostra cara Madre Natura non è stata abbastanza brava. Questo virus, almeno che non si inventi una bella mutazione a sorpresa col botto, non ci decimerà. Ma ci metterà in ginocchio, ci farà soffrire molto e ci cambierà per sempre. Questo sì.
Parlo dell’Italia, questo virus ci sta portando via una grossa fetta di società, una fetta importante e senza cui ci sentiremo meno italiani di prima. Da noi le persone vivono a lungo perché alla fine forse il nostro sistema sanitario (nonostante i tagli criminali degli ultimi vent’anni) non fa così schifo come pensiamo, ma c’è anche un altro motivo.
I nostri vecchi noi li teniamo vicini, non li chiudiamo negli ospizi, non li escludiamo dalla vita sociale, non li allontaniamo nella solitudine. Li teniamo letteralmente in vita e all’interno della famiglia perché hanno tutto il diritto di farne parte. Li facciamo partecipare alle riunioni, alle feste, ai pranzi e alle cene (vecchi e bambini). Noi, in Italia, ci mescoliamo, mangiamo, parliamo, ridiamo, fregandocene dell’età.
Non fanno così nel resto d’Europa, sappiatelo.  Parlo per esperienza, in Francia e Inghilterra i vecchi e i bambini sono esclusi dalla vita sociale e infatti in questi giorni dall’estero ci hanno detto anche questo: “In Italia il coronavirus si è diffuso maggiormente per colpa dalla famiglia”. Colpa? Mi permetterei di rispondere “vaffanculo!”.
Sì, siamo italiani, siamo macchiette che gesticolano, siamo quelli che parlano troppo forte, che mangiano e festeggiano di continuo (non siamo quelli della siesta, quelli sono gli spagnoli, lo preciso perché uno razzista e pure ignorante una settimana fa ha detto: “ma non staranno esagerando gli italiani a fermare tutto per il coronavirus? Secondo me è una scusa per fare la siesta!”)
Sì, i nostri vecchi noi li amiamo e siamo pronti a fermare tutto, a rinunciare al nostro benessere economico, a mettere a rischio l’intero sistema per salvarli (e non ci sono solo i vecchi, ci sono anche gli immunodepressi, i malati e anche molta gente apparentemente sana, ma molto fragile verso questo virus). Non è che una persona visto che non produce denaro allora non conta niente, per lo meno non in Italia. I nostri vecchi sono i custodi della nostra memoria, sono i nostri saggi, lo sapevano bene i Romani che li ritraevano con grande realismo e attenzione, indugiando su ogni ruga e segno del tempo. Molti di loro se ne stanno andando e le nostre famiglie non saranno più le stesse. L’Italia non sarà più la stessa.
E nonostante tutto quello che ho scritto, ringrazio la protezione civile che ogni giorno, subito dopo averci dato il conto dei morti, ci tiene velocemente a specificare l’età media dei deceduti.
Perché se adesso provo a pensare allo strazio di Bergamo, ai figli e ai nipoti che in videochiamata danno l’ultimo saluto ai propri cari che muoiono da soli, se penso che potrebbe capitare a me di perdere mia madre senza poterle neanche stringere la mano, mi tremano le gambe. Io sento che non ce la farei, che sarebbe troppo, ma mi sbaglio.
Io sono obbligata a rendermi conto che in qualche modo dovrei trovare la forza di andare avanti. La stessa Madre Natura che sta cercando di farci fuori, non so come, mi aiuterebbe, noi siamo geneticamente progettati per sopportare il dolore di veder morire i nostri genitori. E’ incredibile, ma è così, l’Italia ce la farà.
Non funzionerebbe mai con i nostri figli.
Proviamo tutti a immaginare se quelle 5000 vittime fossero bambini e rendiamoci conto che una guerra del genere non l’avremmo mai potuta vincere, né superare. Mai.
Quanto sono felice che la Natura, per questa volta, abbia preso male le misure.
Quanto sono felice che il Covid-19 non abbia generato una pandemia pediatrica.
Quanto sono certa che anche i nostri vecchi, che sono grandi persone, che ci hanno insegnato a vivere, a sacrificarsi e ad amare, la pensano come me.
Quanto sono felice adesso di smettere di scrivere perché Matilde si è già svegliata da una mezz’oretta, sta benissimo ed è arrivato il momento di farsi una bella colazione e una doccia, insieme.

lalla

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Ritratto di Patrizio, Roma Repubblicana

lunedì 16 marzo 2020

in quarantena con il sorriso

Sì, lo so che la quarantena è dura, però bisogna che vi dica una cosa dal profondo del mio cuore: molti di voi mi hanno proprio stufato. Ma datevi una scrollata, porca miseria!
La situazione sanitaria è difficilissima, è terribile pensare ai malati che non riescono a respirare e che rischiano di non avere un letto in terapia intensiva, forse tra pochi giorni i dottori saranno costretti a scegliere chi tentare di salvare e chi lasciare morire, questo non è solo duro, è insopportabile.
Invece stare chiusi in casa propria sani e con tutte le comodità può considerarsi più che altro fastidioso, nulla di più. Vivere in questo strano limbo e non sentirsi liberi di fare ciò che si vuole non è una bella sensazione, è vero, ma non è insopportabile, perché altrimenti, sappiatelo, a essere insopportabilmente viziati siete voi!
Lo so bene da quando in seconda elementare ho dovuto saltare circa 60gg di scuola perchè bloccata nel letto con una polmonite virale attecchita in seguito alla pertosse.
Ricordo ancora la sensazione di sentirmi schiacciata dal peso delle coperte in quelle giornate infinite passate a guardare il soffitto (e meno male che era bellino, scandito da splendidi travetti di legno).
Mentre i miei compagni di scuola imparavano a scrivere per bene le c e le q, io accumulavo un bel po’ di lacune (che forse sono all’origine dei miei problemi para-dislessici). In ogni caso, non stavo sprecando il mio tempo, bensì investendolo per affinare aspetti del mio carattere di non poco interesse e utilità nella vita. Per esempio, ho sviluppato le arti della pazienza, dell’adattamento, dell’osservazione e dell’immaginazione. Ogni venatura di quel legno ce l’ho impressa nella memoria, in ogni particolarità e nodo ho imparato a scorgere una forma, un disegno particolare, una figura che poi prendeva vita nelle mie storie di fantasia. Ho imparato a trovare il buono e il fantastico anche in una situazione di costrizione. Avevo solo 7 anni e non mi sono mai lamentata, mica ero scema, l’avevo già capito che se mi fossi messa a strillare e a fare bizze la mia polmonite non sarebbe guarita prima!
Permettetemi di dirvi che di certo a me è mancata un po’ di grammatica, ma che forse a molti di voi è mancata una bella quarantena in età scolare. Non vi avrei augurato una polmonite come la mia che ha leggermente compromesso il mio sistema immunitario e mi ha poi esposto a miriadi di virus e bronchitelle nell’arco di tutta la vita. Una decina d’anni fa ho attraversato una nuova grande polmonite, anche allora mi hanno messa in quarantena e io ci sono stata, senza farla troppo lunga. Ho continuato a insegnare a distanza (senza che nessuno mi avesse obbligato a farlo) inviando lezioni scritte ai miei studenti di quinta e ho ottenuto di poter tornare in classe dopo “solo” 45gg indossando la mascherina per le seguenti due settimane.  
Non è stato così terribile, a parte i sensi di colpa verso i miei studenti, per il resto potevo girare liberamente in casa scatarrando a destra e a manca, gli unici fastidi erano la tosse notturna e le scarsissime energie (non riuscivo ad alzare abbastanza il braccio per mettere una scodella a scolare nella piattaia).
Ma nel complesso, una passeggiata di salute rispetto ai due mesi passati completamente immobile e imbottita di medicinali nella primavera del 2005. In quel caso dovevo evitare che il mio corpo espellesse prematuramente il povero Elia. Il mio Re dei Sugolini abitava la mia pancia da soli 5 mesi, non era proprio il caso che la lasciasse così presto. “Completamente immobile” significa che potevo alzarmi solo per fare i miei bisogni nel bagno, fine. Tutte le altre funzioni le facevo a 180° e senza storcere il naso.
Moltissime persone, venendomi a trovare, si meravigliavano: “ma come fai a non diventare pazza?”. Si chiedevano come facessi ad affrontare quel periodo difficilissimo con il sorriso.
Mica ero scema, anche per me il periodo era difficilissimo, ma non per le ragioni che pensavano loro. Quelli si meravigliavano di come potessi restare immobile e docile, ma non era certo quella la parte difficile. La parte difficile era cercare di scacciare la paura quando ogni nuova contrazione mi ricordava che la vita del mio bambino era in pericolo, la parte difficile era conservare l’ottimismo.
Ma se ogni contrazione mi metteva paura, ogni calcetto mi ricordava che c’era una ragione dentro di me, la più importante di tutte, per tenere duro e non arrendermi.
Io ho sempre seguito questo ragionamento: se la situazione è di merda e io non posso cambiarla perché non dipende da me, posso almeno chiedermi: “c’è qualcosa che io possa fare o un modo di comportarmi che per lo meno eviti di peggiorare le cose?”.
Se durante la gravidanza del piccolo Re mi fossi agitata e disperata avrei finito solo per far aumentare le contrazioni, l’unica cosa che potevo (e dovevo) fare per mantenere in vita Elia era rimanere immobile in quel letto e restare calma e positiva. E’ andata bene, ha funzionato.
Per favore, adesso proviamo tutti insieme a fare altrettanto. Un po’ di autocontrollo, per l’amor di Dio!
Stiamocene tutti chiusi in casa buoni e tranquilli, forse andrà bene, forse funzionerà.
Non possiamo davvero sapere come andrà (come non lo sapevo io col mio bambino), ma più di questo non possiamo fare.
Non sono una che tende a drammatizzare e anche io due mesi fa ho creduto alla fandonia “è solo un’influenza” (d'altronde l’hanno detta persone molto più accreditate di me) e inizialmente ho pensato che aver bloccato le gite scolastiche fosse un provvedimento esagerato, ma ho fatto in fretta a prendere meglio le misure su cosa stava realmente accadendo e ad adeguarmi alla situazione, con civiltà.
Probabilmente nei prossimi due mesi bruceremo metà della produttività del paese, in ogni caso non vedo un’altra soluzione possibile. Se per adesso non siamo capaci di sconfiggere il virus, dobbiamo almeno provare a rallentarlo quel tanto che basti per dare a tutti gli ammalati la possibilità di essere curati.
Non credo che la proposta inglese di immolare i più deboli in nome del mantenimento del benessere economico sia una strada da potersi seriamente prendere in considerazione, non senza essere una specie di nazista disposto a rinunciare all’unica cosa che conti: rimanere umani.
Percorriamo insieme questa strada economicamente suicida e se alla fine saremo stati capaci di salvare anche solo un migliaio di persone in più, credo che dovremo andarne davvero molto fieri.
Nessuno di noi adesso è in grado di saperlo con certezza, ciò che invece sappiamo è quanto siamo fortunati a non essere tra quei malati bisognosi di cure.
Finché sarà così, io me ne starò a casa con i miei figli, tenendoli impegnati e facendoli sorridere il più possibile e lavorerò come un ciuco nella didattica a distanza cercando di trasmettere ai miei studenti la forza di non arrendersi, di non mollare, di andare avanti.
Col sorriso e sentendosi, per adesso, molto fortunati.

lalla


P.S. Ma le persone che dicono di annoiarsi poi? Io lavoro davvero moltissimo (faccio lezioni in videoconferenza per alcune classi e per le altre registro delle spiegazioni a braccio, piuttosto indignitose, che carico su you-tube) inoltre intrattengo la Piccola Fata e la aiuto con i compiti (da dicembre sta imparando a casa a leggere, scrivere e far di conto, ha chiesto lei di imparare e si impegna molto e insomma con una certa lungimiranza ha intrapreso un percorso di “istruzione parentale” giusto con due mesi d’anticipo sul resto degli studenti italiani), cucino in abbondanza per entrambi i figlioli, pulisco la casa, esco a fare la spesa ogni tre giorni, nutro i gatti, poto il giardino. Tempo per dipingere, niente. Tempo per scrivere, sono riuscita a rubarne giusto un’oretta oggi.

P.P.S.S. E tanto per farsi due risate, a proposito dei video con le lezioni su you-tube, li registro direttamente con la ap “fotocamera” di window, a braccio, fingendo proprio di essere a scuola e poi li carico senza alcuna post-produzione. Lo scopo sarebbe quello di far sentire meno abbandonati gli studenti, ma i video, diciamocelo, sono abbastanza imbarazzanti.

Rivedendomi sarei potuta rabbrividire per quanto risulto approssimativa (mi verrebbe voglia di migliorare delle frasi, aggiungere qualcosa o correggermi), ma in realtà il particolare che me li ha resi del tutto intollerabili è una altro.
Premessa: negli anni ’90, come gran parte dei giovani d’allora, anche io iniziai a guardare “Beverly hills 90210”, un telefilm davvero tristansuolo con interpreti che fingevano d’essere bellocci e adolescenti e sinceramente non mi pare che fossero né l’una né l’altra cosa (se non mi sbaglio, una bruttina era la figlia del produttore e una vecchiarella la moglie di un altro?). Comunque, la magia dello schermo televisivo mi aiutava a crederci fino a quando accadde l'irreparabile. Una delle protagoniste finte-gnocche si chiamava Brenda e sembrava la meno raccomandata, interpretava quella bella, povera e un po’ ribelle, tutto ok finché non mi accorsi che c’aveva uno dei due occhi piazzato più basso dell’altro di 1 cm. Capisco che una gli occhi non sceglie da sola dove piazzarseli e che molto probabilmente sia io ad avere un grosso problema di fissazione con le simmetrie, in ogni caso da quel momento fine dei giochi, non ce l'ho più fatta a guardare neanche una scena e a credere che tutti si innamorassero di lei, come facevano a non accorgersi che assomigliava a Sloth dei Goonies???
Ebbene, i miei video sono una prova inconfutabile: anche io faccio parte del club!
Il mio sopracciglio sinistro (che davanti allo specchio si finge mansueto e perfettamente allineato all’altro) in verità è un vero traditore e mentre io cerco di spiegare la Storia dell'Arte lui se ne parte per la tangente allegro e contento fino a raggiungere metà della mia fronte. Tenete conto che io ho la fronte alta, altissima! Altro che 1 cm! Maledetto bastardo di un sopracciglio, ma come si permette?!
Ecco, fine dei giochi, appena i miei studenti si accorgeranno di lui, non ce la faranno più a seguire le mie spiegazioni. Hanno tutta la mia comprensione, sarò clemente.
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Brenda Walls
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Sloth