giovedì 11 novembre 2021

tanti auguri lalla

Tanti auguri a me!
Me li faccio in anticipo, nella vigilia, perché sono una Strega, me ne frego della sfiga e con le superstizioni ci vado a nozze. Adoro il mio compleanno, mi garba parecchio essere nata e a dire il vero mi sento già in odore di festeggiamenti da almeno una settimana. Mi sono già comprata una nuova splendida orchidea e dei fantastici pantaloni a quadretti colorati.
Quest’anno poi, mi sono fatta un regalone! Ma facciamo un passo indietro.
Nel giugno 2017 scrissi questo post dove esprimevo 3 desideri al Genio della Lampada:
il Re dei Sugolini: è estate, adesso ci vuole il Genio della Lampada!
Brava grulla.
Ovviamente il Mago onnipotente in questi 4 anni non si è mai palesato, ma poco male.
Da quando vivo in questa bella età di mezzo, mi sono resa definitivamente conto che devo darmi da fare da sola per realizzare i miei sogni, perché se aspetto che (non dico lo faccia qualcun altro al posto mio, ma neanche che) qualcuno mi aiuti a farlo, sto fresca.
Meglio così, chi fa da sé, fa per tre!
Certo, anche a me per una volta nella vita, piacerebbe che qualcuno mi organizzasse una fantastica festa a sorpresa (io adoro le sorprese!) o mi invitasse a cena fuori tutta in ghingheri (tipo Cenerentola al ballo), ma visto che non è mai accaduto, di solito a organizzarmi le serate ci penso io.
E torniamo ai desideri, che senso avrebbe tenerli in un cassetto? Meglio procedere, quando possibile.
Il primo dei desideri era pubblicare un libro, il secondo, che mi sparisse la pancia, il terzo, di divertirmi in una tresca amorosa.
Sulla pancia preferirei sorvolare, ogni tanto mi impongo 6 mesi di orribili privazioni alimentari che mi portano a perdere giusto quei 4 kg che poi riprendo nei 6 mesi successivi (e la pancia, nelle varie oscillazioni, non si smuove di un etto, è la mia ultima, inespugnabile, resistenza adiposa). Stendiamo un velo pietoso (soprattutto sul punto vita).
Per la tresca, trovare qualcuno di interessante non è facile, ma i miei ormoni non sono ancora deceduti e ogni tanto mi danno il tormento (ovviamente indirizzandomi verso un personaggio sbagliato). In questi anni, due o tre volte, c’ho pure provato, ma devo aver frainteso qualcosa nelle tecniche di base per l’abbordaggio… e se non le ho capite a quest’età, che aspetto? La menopausa?
Insomma, com’è, come non è, alla fine mi becco sempre il 2 di picche. Altro velo pietoso.
Ma parliamo del libro, il desiderio n°1, quello più importante, in alto lassù sul podio.
Ecco il regalone: l’ho scritto e farlo è stato uno spasso!
Nessuna pretesa, un simpatico romanzetto rosa. La verità è che a settembre avevo ancora tanta voglia di mare e di un po’ di batticuore.
Di fatto, non avrei potuto avere nessuno dei due se non me li fossi inventati, invece così, soddisfazione massima! Sono tornata in vacanza e mi sono innamorata dei miei personaggi, loro mi hanno ricambiato impregnandomi la mente di passione. Che botta!
Per un mesetto buono, occhio pallato alle 5:00 del mattino con i dialoghi che mi fiorivano spontaneamente in testa (orariuccio, lo so, ma il giorno c’avevo da fare altro, tipo vivere una vita reale, per esempio). A bruzzico mi toccava alzarmi e scendere a digitare le scene sul pc, altrimenti non riuscivo a riprendere sonno. Poi alle 7:00 mi suonava la sveglia e via a lavorare. Sicché, oltre a
che botta, anche che fatica!
Alla fine, il romanzetto credo che parli soprattutto di un viaggio nel quale superare i propri traumi affettivi, lasciarsi andare, mettersi in discussione e riacquistare fiducia (soprattutto in se stesse). Comunque niente di particolarmente illuminante, né originale, tutta roba abbastanza ironica e con poche velleità artistiche.
Sono quasi certa che un editore disposto a pubblicarlo, non lo incontrerò mai. E questo non dispende dalle poche velleità artistiche, credetemi, ma dal fatto che non sono dell’ambiente e non conosco nessuno. Avessi pure scritto il capolavoro rosa del nuovo millennio, non lo troverei comunque. Proverò a fare proposte e vedremo. Mi concedo 6 mesi (giusto il tempo dell’usuale dieta), poi me lo auto-pubblicherò su Amazon e chi s’è visto s’è visto.
Almeno è gratis, che è un po’ il motto della mia vita per quanto riguarda la divulgazione della mia produzione.
E’ come per i dipinti, se non erro, ad eccezione di quelle organizzate da Alauda, non partecipo a una mostra dal 2012 e il motivo è che mi rifiuto di dare dei soldi per esporre il mio lavoro.
Pubblico su internet, almeno è gratis, se alla gente fa schifo quello che dico, scrivo o dipingo, che mi cancelli dai contatti o si giri pure dall’altra parte. Ognuno ha il sacrosanto diritto di fare schifo quanto gli pare!
In ogni caso, io in quello che faccio ci investo tutta me stessa, mi ci impegno parecchio (risultati a parte), insomma ci butto il sangue, non mi sembra il caso di tirar fuori pure dei denari.
Dipingo per me (e mi fa anche da terapia, beata la pittura e chi l'ha inventata!). Oppure dipingo su commissione grazie al passa parola, e quando accade è sempre un onore immenso.
Finché non incontro un gallerista disposto a farmi esporre gratuitamente e a prendere una percentuale solo in caso di eventuali commissioni o vendite (evento che sospetto essere più raro che incontrare il Genio della Lampada o un editore per il mio libretto), mi arrangio da sola e mi va benissimo così.
In conclusione, da sole si può riuscire a fare tutto ciò che si vuole: io organizzo viaggi (e poi li intraprendo), dipingo (e ogni tanto vendo), scrivo storie (e magari tra un po’ me le pubblico).
Posso viaggiare, dipingere, scrivere. Anche innamorarmi.
Sì, lo so, parecchie adesso staranno storcendo il naso.
Ma che tristezza questa poveretta ridotta a fantasticare del nulla.
Penserete che l’amore per un personaggio nato nella mia testa, non sia un sentimento reale.
E quale lo sarebbe di più? Quello che le altre donne (molto più equilibrate di me) provano per uomini in carne e ossa? L’oggetto dell’amore non è sempre e comunque una proiezione?
Mi pare che parecchie (compresa io) si tenda a innamorarsi di un banale stronzo narcisista e a vederlo attraverso due belle fette di prosciutto sugli occhi, come se fosse l’essere più speciale, meritevole e elevato del mondo.
E’ comunque finzione allora, con lo scotto che (nel mentre) tocca lavare calzini e mutande e (alla fine) una si fa pure molto male.
Non lo so… nella vita è giusto provare varie strade e fare ciò che ci si sente, nel mio caso, non provo il desiderio di ripetere esperienze già vissute. Non cerco un compagno, qualcuno che (ci scommetto!) alla fine si metterebbe la pantofola e pretenderebbe di sentirsi a casa sua (in casa mia). Semmai cerco un regalo tutto per me, un giocattolo divertente, una sorpresa appassionante.
E quindi, tanto per non stare a grattarsi la (odiata) pancia in attesa che il Genio si faccia vivo, perché non regalarmi viaggi indimenticabili e sorprendenti avventure? Perché non dipingere tutto il mio mondo? Perché non scrivere le mie storie?
Infondo, mi costa solo un po’ di sonno... ma sapeste che goduria!

lalla



giovedì 14 ottobre 2021

grazie Tigro

Prima o poi se ne vanno anche i gatti, quelli belli paffuti e padroni di casa.
Quelli che bisogna temere, amare e ringraziare.
Grazie Tigro dei vaffanculo che mi hai soffiato e dei morsi che fingevi di darmi ogni sera, quando ti sollevavo per metterti a dormire fuori, mi sono serviti a ricordarmi sempre, in questi 12 anni, che avevi una tua dignità. Che non ti saresti mai abbassato a fare il soprammobile peloso.
Grazie delle fusa e della vicinanza, che mi concedevi solo quando piaceva a te.
Grazie di avermi accolto e salutato ogni volta che rincasavo, come fossi stato il migliore dei cani.
Grazie del tuo sguardo verde, truccato e affilatissimo.
Grazie di aver partecipato (e controllato) tante cene, seduto sul tavolo occhi negli occhi, immobile come una sfinge, senza mai varcare il confine della tovaglia, neanche se sopra c'era una bistecca.
Grazie della morbidezza del tuo pelo, unico e spettacolare, mai sentito prima su nessun animale del mondo. Era ancora splendido oggi, quando ti ho adagiato in quella buca di terra. L’ho scavata io la buca, con pala, fatica e lacrime. Poi ti ho acciambellato con cura, come se dormissi, e ti ho ricoperto. Te lo dovevo. Non potevo lasciarti su quel piano di metallo, dal veterinario, ti ho riportato a casa, nel giardino dove sei sempre stato.
Grazie della bontà con cui hai accolto e cresciuto ogni piccolo gatto arrivato in casa tua, Gattolinzi, Daenerys, Magellano e i loro figli. Sono tutti anche figli tuoi Tigro.
E a proposito, scusami tanto di averti sterilizzato, non sono mai riuscita a perdonarmelo, spero che tu abbia avuto comunque una vita di gatto piena e soddisfacente.
E poi, grazie di esserti nascosto in casa ieri sera (approfittando che io fossi dietro alle doglie della tua figliastra) e di aver trovato poi, nel pieno della notte, la forza di salire le scale e montare sul mio letto, non so come tu abbia fatto nelle condizioni in cui eri.
Grazie di aver passato la tua ultima notte con me, spero che stare vicini ti abbia un po’ consolato. Grazie di non essertene andato da solo, di aver aspettato che rientrassi a casa e potessi accompagnarti io a morire. 
Grazie di tutto gattaccio bellissimo, non ti dimenticherò.

lalla

P:S. la vita si diverte a chiudere strani cerchi, proprio oggi Daenerys ha partorito altri 4 micetti, senza il Tigro a coccolarli non sarà più la stessa cosa.

Tigro, ottobre 2009
"il Gatto della Strega", primavera 2019

Tigro e un cucciolino di Daenerys, primavera 2021

Tigro, ottobre 2021


lunedì 13 settembre 2021

progetti brutti, ma forse divertenti

Per trovare l’umore giusto ed affrontare al meglio il nuovo anno scolastico, a settembre, mi garba sempre mettermi seduta e compilare una lista delle “cose (belle) da fare” oltre a lavorare.
Belle anche se, appena sotto il podio, è costantemente presente la voce “perdere X kg” (ci terrei a precisare che X va intesa come una variabile e non come numero romano!) quest’anno, fortunatamente, la X è una quantità < 5.
Nelle prime posizioni ci sono invece viaggetti, progetti di pittura e scrittura. Quest’anno anche il forte desiderio di tornare a scolpire…
Ma non ci dilunghiamo, sono propositi segreti, invece vi svelo nel dettaglio solo una delle voci di questo 2021/22 perché è davvero ridicola, ma forse, divertente.
Pronti… pausa ad effetto…

Ho deciso di provare a scrivere un libro brutto, ta-dan!
Ci siete rimasti male? Potrei cercare di passare meglio definendolo in modo più accattivante? Potrei dire “da leggere sotto l’ombrellone”, “romantico”, “soft-erotico per casalinghe disperate”, “rosa”? …
Vabbè, via, si fa prima a dire brutto.
Da qualche anno, in mezzo a libri drammatici, saggi, fantasy o spensierati ma con un minimo di sale, ogni tanto anche io ci infilo uno di questi libri da encefalogramma piatto e facendolo, mi sono resa conto di alcune cose:
1. Tutti seguono uno schema particolarmente semplice e ripetitivo.
Lei è povera, ma colta (requisito fondamentale è che conosca a memoria i libri di Jane Austen e Thomas Hardy), è bellissima, ma ingenua e vergine (stranino, ma poi, una volta avviata all'argomento, si scoprirà essere parecchio focosa). Lui è ricco e potente, bellissimo e mooolto esperto nelle arti amatorie (anche un po’ troppo), ma è un asociale con un carattere di merda e di solito le donne le usa come strofinacci per il pavimento, c’ha le turbe ed è pericoloso (comunque anche lui sotto sotto è un romanticone e conosce a memoria i libri di Jane Austen e Thomas Hardy). Lei è attratta, ma ha paura, però ci rimane impantanata intuendo che lui non è veramente uno stronzo bensì un’anima tormentata con svariati traumi infantili (la crocerossina è sempre di moda, come la letteratura inglese), è combattuta e proprio questo dualismo attrazione-timore la fa innamorare come una pera cotta, si concede (il sesso è fantastico e le garba un casino) e quindi viene accompagnata nel paese delle meraviglie tra lusso e lussuria. Anche lui è combattuto, desidererebbe dominarla e possederla tipo un oggetto (è psicologicamente parecchio messo male), ma non vorrebbe ferirla/distruggerla (sai com’è, potrebbe capitare stando accanto a uno spostato), attraverso vari lasciamenti/fughe/ritorni, alla fine, inaspettatamente (si fa per dire) anche lui si innamora di lei perché lei è speciale (vabbè), entra in modalità pera cotta ricoperta di caramello fuso e si redime. Insomma lei col suo amore lo ha salvato (evviva le crocerossine!). E vissero per sempre felici e contenti con tanto di figliolanza al seguito, ma nonostante ciò, continuando a fare sesso stellare. L’apice del realismo e dell’originalità.
2. Nonostante la demenza di fondo, credeteci che anche ‘sta roba va saputa scrivere. Alcune saghe “prendono”, altri libri sono veramente illeggibili e, ombrellone o meno, non resta che cestinarli senza pietà dopo le prime 10 pagine.
3. Quasi tutte sono trilogie, ma sospetto che ciò dipenda solo dal fatto che il primo abbia venduto, quindi mungiamo la mucca e infine facciamoci il film hollywoodiano (brutto anch’esso).
Ecco, io 
non sono mai riuscita a pubblicare una sola riga, alla soglia dei 46 anni, del tutto disincantata sul reale valore culturale di un tale tipo di scrittura (zero), ma anche sulle mie doti narrative, vorrei provare a divertirmi e a rientrare almeno nella prima tranche del punto 2. Non a caso scelgo un termine finanziario, tante le volte venisse bene (“bene” si fa per dire, quanto può venire bene una roba del genere), lo pubblicassi (miracolo!), ci guadagnassi pure due euro e poi mi facessero scrivere la trilogia e vai di filmone con protagonisti sexy (e perché no?)!

Adesso non mi resta che trovare un’ambientazione e una contestualizzazione abbastanza originali (senza alterare lo schema, squadra vincente non si cambia).
Devo concentrami sul personaggio maschile e le sue turbe. Lui è la chiave. Allora, vediamo… il vampiro, l'uomo d'affari sadico dominatore, l’adolescente alcolizzato violento e il capo di organizzazione criminale sono già presi, dovrò impegnarmi parecchio per trovare qualcosa di interessante!
La damigella invece non richiederà grande sforzo, in ogni romanzo è volutamente presentata come una tipa banalotta e insicura (come si sente infondo la lettrice) e proprio per questo favorisce un’immedesimazione e un grande effetto meraviglia quando il super figone maniaco scopre che proprio lei è speciale ed è quindi l’unica in tutto l’Universo Mondo in grado di far breccia nel suo cuore malato. In questo modo il cervello della poveretta rosolata dal sole fa il pericoloso e del tutto diseducativo 2+2: “allora potrebbe succedere anche a me!”.
Diseducativo sì, ma evidentemente, in prossimità del bagnasciuga, liberatorio e rilassante.
Non mi resta che cominciare e scoprire se scrivere storie un po’ melense possa rivelarsi divertente come penso. Però mettendoci un po’ d’ironia, quella per forza, altrimenti, sai che noia!

lalla

agosto 2012 - Io e "il Trono di Spade" (che non è affatto brutto) sulla spiaggia di Is Arutas (che è oggettivamente la fine del mondo).

sabato 11 settembre 2021

rimanere umani, limitare i danni collaterali e spezzare il circolo vizioso

 L’11 settembre 2001 non ero andata a lavorare al laboratorio di ceramica di Sesto Fiorentino come facevo ogni giorno, invece ero rimasta nella mia casa natale a Reggello, con la mia mamma. La mattina avevamo girato nel Valdarno per ordinare cotto e mattonelle in varie tonalità di blu. Ormai da mesi, con cura infinita, stavo sistemando una splendida casetta appollaiata sui tetti di Firenze. Mi stavo costruendo il nido insomma (come fanno le colombe). Ci sarei andata a vivere la futura estate con l’amore della mia vita, dopo uno splendido matrimonio campestre e un bel viaggio di nozze a New York! Finalmente io e lui saremmo stati una famiglia e non vedevo l’ora, una famiglia fatta di avventure, coccole e Arte, per sempre.
Sì, mi ero fatta un bel film.
Ma torniamo a quel giorno, io e la mia mamma avevamo appena pranzato, poi lei accese la televisione come faceva sempre per rilassarsi davanti a una soap opera. Quindi ecco che eravamo proprio lì, io e lei, davanti alla T.V. e non servirono chiamate al telefono o avvertimenti da parte di nessuno, ad un tratto tutte le reti si collegarono su quelle immagini incredibili. Mi è sempre piaciuto andare al cinema (oltre che farmi dei film sulla mia vita) quindi credetemi che sono un’esperta di disaster movies ed effetti speciali, posso giurarvi che quello che stavano trasmettendo fu un incredibile spettacolo di guerra. Altro che giochi gladiatori! Non credo che nessuno sia riuscito a distogliere gli occhi dallo schermo per ore e non credo che neanche i Talebani si aspettassero che venisse così bene. Potente, violentissimo e atroce. La morte in diretta così, in mondovisione, non l’avevamo mai vista. All’inizio parlavano di un incidente e ricordo la fitta di dolore che avvertii quando il secondo aereo arrivò come un missile a trafiggere l’altra torre. Perché un conto è veder morire degli esseri umani per errore o casualità, un altro è vederli uccidere volontariamente. Ricordo la mia mamma che mi chiese: “le persone sopra a quel piano in fiamme adesso come faranno a scappare?”
Avevo da poco finito l’università, mi tornò immediatamente alla memoria una lezione sulla struttura statica delle due Torri Gemelle di Yamasaki e altri, ogni piano era una sorta di mensola aggrappata al blocco centrale portante di ascensori e scale. Quel secondo aereo aveva sfondato col muso dall’altra parte, l’aveva tagliata in due.
Così capii e le risposi: “Chi si trova sopra a quel piano è condannato, non c’è più modo per scendere”. E infatti dopo un po’, sotto gli occhi orripilati dell’intero mondo, quei poveretti cominciarono a buttarsi giù dalle finestre.
Passava il tempo e per me divenne chiaro anche che le torri sarebbero cadute, così tagliate in due e infuocate, la struttura centrale in metallo non poteva resistere a lungo. E infatti mi sono sempre chiesta del perché abbiano deciso di mandare al martirio tutti quei pompieri su per le scale. A che scopo?
Io sono piuttosto ignorante sulla politica estera, allora lo ero anche di più, non sapevo bene chi fosse Osama Bin Laden e non mi capacitavo del perché qualche terrorista avesse deciso di massacrare tutta quella gente, di sicuro era una sorta di dimostrazione di potere, di rivalsa, ma in quel momento non mi interessava, vedevo solo le persone morire mentre mi si attorcinava lo stomaco dal ribrezzo.
Cominciarono a arrivare anche notizie di un terzo aereo schiantato sul Pentagono e forse un quarto… allora davanti ai nostri occhi si stava scatenando una guerra mondiale? Sembravano tutti piuttosto impanicati, io non lo so, ero più che altro atterrita.
A un certo punto entrò un ragazzo che gravitava intorno a casa nostra (e che avrò il buongusto di non nominare) uno che fino a quel giorno era sembrato tutto carino, uno fin troppo casa e chiesa per i miei gusti e, dopo aver dato un’occhiata allo schermo, se ne esordì con la seguente frase: “Ma guarda che casino! Questo scherzetto sai quanto ci costerà a me e mio padre? Le borse crolleranno domani!”. Mi sentii accapponare la pelle dallo schifo, avrei voluto tirargli un ceffone, ma il tizio non gravitava lì per me. Me ne stetti buonina e lasciai che se lo gestisse la diretta interessata. Per inciso e per fortuna, se lo sarebbe levato di torno a breve.
Dopo poco più di un’oretta, una alla volta, le due torri collassarono. Lo fecero nel modo migliore in cui avrebbero potuto farlo, perfettamente su se stesse e riducendo al minimo i danni collaterali. Dimostrarono fino all’ultimo istante il capolavoro di ingegneria che erano state. Si scavò un’incredibile voragine (nel terreno e nel cuore degli americani) quindi si alzò un’incredibile nube di fumo che inghiottì tutto e finalmente il supplizio ebbe fine. Si fece silenzio, un silenzio che, credetemi, non ha più abbandonato il sito del World Trade Center.

Non sono mai andata in viaggio di nozze a New York.
Invece ci sono stata nel 2017 con la mia mamma ed è stato il viaggio più bello della mia vita.
New York è qualcosa di spettacolare, ma parte della bellezza che percepivamo stava, sicuramente, nella nostra sensazione di rinascita. Il 2016 era stato un anno di merda per entrambe. Il mio babbo è morto a febbraio, il giorno del suo compleanno, contemporaneamente la persona in cui avevo riposto tutta la mia fiducia (avete presente quello che credevo essere l’amore della mia vita?) si era dimostrato tutto d’un tratto un banale ometto, un narcisista distruttivo e incapace di starmi vicino. Le disillusioni amorose sono cose che capitano, ma fanno molto male e anche a me si era momentaneamente aperta una voragine nel petto. Sei mesi di insonnia quasi totale, ma certi drammi personali si superano certamente meglio di quelli collettivi. Infondo se li gestisci bene fanno male solo a te, sono qualcosa che non impatta troppo sul resto del mondo.
Dopo un anno e mezzo impegnandomi per essere giusta (e limitare i danni collaterali), a mantenere la mia umanità nonostante tutto, a reagire col sorriso di fronte a figli e studenti (soffrendo come un cane la notte, da sola), mi ci voleva proprio una bella botta di adrenalina per tornare a vivere!
Per una che aveva sempre avuto paura di volare, anche solo pensare di raggiungere la Grande Mela non era poco, ma diciamo che, dopo essere sopravvissuta al 2016, mi sono resa conto di non avere più paura di niente. Tranne che di certi rapporti umani, in effetti, ma non certo degli aerei. E da allora la sensazione di potenza e forza va intensificandosi ogni anno, per dire: ho sempre sofferto di vertigini, adesso pure col paracadute mi butterei!
Eravamo arrivate a Manhattan la sera precedente, la prima destinazione fu proprio Financial District. Che effetto wow appena fuori dalla metropolitana, finalmente i grattacieli, quelli veri!
Due foto al bruttissimo toro della borsa e poi cominciammo ad aggirarci tra un colosso e l’altro, gli occhi sempre rivolti al cielo. Uno ornato in stile Decò, uno specchiato e ultramoderno, uno verdeggiante, uno brunito… eravamo abbagliate e euforiche. Non facevo altro che gioire e catturare foto.
E poi arrivammo lì, dove in poche ore erano state abbattute le Torri Gemelle e strappata la vita di quasi tremila persone. Tutta la nostra euforia fu divorata in un attimo da quei due buchi enormi.
E ci ha colpito il silenzio, quello che non se ne è mai andato. E il rispetto. I turisti sono chiassosi e colorati, spesso sguaiati, ma lì non lo erano affatto.
Arad e Walker hanno fatto un capolavoro, il Memorial è perfetto, l’acqua assorbe i rumori della città, la guardi scorrere in quelle due voragini verso la profondità del nulla e senti solo quello che è giusto sentire: la mancanza.
Non conoscevo personalmente nessuna delle vittime ma le ho viste morire, le ho sentite morire. Le ha sentite il mondo intero. Ho messo via la mia Canon e mi sono commossa, ho pianto per loro e per tutti quelli che se ne erano andati, compreso il mio babbo.

Oggi sono passati 20 anni e il mondo è sempre un gran casino.
Avete presente il detto “il dolore aiuta a crescere”? Sospetto che sia una cazzata.
O meglio, in qualcosa si cresce, in qualcosa si regredisce. E soprattutto dipende il dolore da cosa è causato, va bene se è un incidente, una sfortuna, non va per niente bene quando è stato fatto volontariamente da altri esseri umani.
Ce lo hanno dimostrato gli atleti alle recenti Olimpiadi o Paralimpiadi, venivano tutti da storie difficili, sono proprio quelle storie, quei dolori, quegli infortuni, quelle malattie, quelle difficoltà, ad aver generato in loro la forza e la potenza necessaria per vincere. Ma non era colpa di nessuno se certe sciagure gli erano successe e infatti, attenzione, sono davvero belle le vittorie conquistate con l’appoggio dei propri cari (a cui subito venivano dedicate le medaglie) e non quelle raggiunte con la rabbia, contando solo su sé stessi e schiacciando il mondo intorno a sé.
Dai grandi traumi impartiti da altri esseri umani invece difficilmente se ne esce migliori perché è quel tipo di vittoria rabbiosa e vendicativa che le persone sono portate a desiderare.
Se le vittime hanno un'indole pacifica, non pianificano vendette, ma si chiudono in sé stesse e si lasciano impadronire da diffidenza e paura (e anche queste non sono proprio migliorie del carattere).
Gli ebrei sopravvissuti alla Shoah non sono diventati un popolo più fiducioso e aperto con gli altri popoli della terra, semmai si sono fatti più guardinghi e pronti a tutto pur di tutelarsi. Gli americani dopo l’11 settembre non sono diventati un popolo più caritatevole e disposto a spartire la propria ricchezza, semmai sono diventati meno creduloni (avevano insegnato loro ai due piloti kamikaze come guidare un aereo) e gli è cresciuto ancora più pelo sullo stomaco.
Per quanto riguarda la scarsa fiducia nel prossimo, la capisco perfettamente.
Ma ho poco altro in comune con gli americani, il pelo sullo stomaco mi fa ribrezzo, come gli investimenti in borsa. Le dimostrazioni di potenza e il menefreghismo verso gli altri, sono atteggiamenti orribili.
E a forza di vittorie rabbiose e vendette, il circolo vizioso non si interromperà mai. Non dovrebbe essere questa interruzione la cosa più importante e l'unica aspirazione dell’umanità? E invece non c'è verso, tutte le energie vengono disperse nel tentativo di traumatizzarsi a vicenda.

Ora vorrei raccontare qualcosa su mio nonno Oreste Gonnelli, io non l’ho mai conosciuto davvero, di lui mi raccontava il mio babbo. Allora, innanzi tutto va detto che i miei nonni vivevano in campagna, a Reggello e che avevano una ditta di trasporti. Mia nonna Silda era ebrea, al momento opportuno fecero una specie di albero genealogico finto per negare la cosa. Comunque alcuni paesani lo avevano capito e così cominciarono a andare a casa loro a prenderle i mobili, i vestiti e i gioielli e loro dovevano stare zitti altrimenti li avrebbero denunciati. Carini i paesani, non sapete quanto e anche per questo nonostante ami la natura preferisco vivere in città (non è che i cittadini siano meglio, ma almeno si fanno di più i fatti propri). Mia nonna aveva un bel caratterino ribelle, ma il nonno era una persona pacifica, un bonaccione, forse persino un po' codardo, quindi la teneva buona e al sicuro. Al passaggio del fronte i tedeschi arrivarono da loro e comunicarono al nonno che avrebbe dovuto aiutarli altrimenti si sarebbero presi la moglie e il figlio neonato (il mio babbo era nato proprio nel ’45), ovviamente lui gli dette tutti i mezzi della sua ditta di trasporti e loro se ne scapparono prima dell’arrivo degli alleati. Il nonno non era appunto un coraggioso, né un eroe.
Una notte altri cari paesani, dichiarandosi partigiani, lo accerchiarono in un campo, accusandolo di essere stato un collaborazionista, lo presero a botte, a pugni e calci, lasciandolo in fin di vita.
Il mio babbo crebbe sano.
Ristabilita la pace, la nonna fermava le donne davanti a tutti, per strada, facendosi restituire le proprie collane. E guidando da sola il suo calesse se ne andò anche nelle case a riprendersi qualche mobile.
Il nonno invece non si riprese mai del tutto, né fisicamente, né psicologicamente, ma non denunciò mai l’accaduto. La mia mamma, che si fidanzò col babbo quando era una ragazzina, mi racconta che era una persona molto mite e di averlo visto stare spesso male e sputare sangue. Morì piuttosto giovane per una serie di emorragie interne.
Il mio babbo gli chiese il nome dei suoi aggressori, gli rispose di averli riconosciuti subito, ma che non glielo avrebbe mai rivelato, né a lui né a nessun altro “perché a un certo punto la guerra deve finire”.
Voleva essere lui quel punto, che cessassero odio o vendette. Voleva che la guerra finisse con lui e la pace ricominciasse con mio padre. Mi piace pensare che il forte desiderio di limitare i danni collaterali sia genetico.
Mio nonno non era coraggioso, probabilmente non era un eroe, ma era una persona buona ed è comunque riuscito a spezzare il circolo vizioso.
Non saranno mai abbastanza le persone capaci di farlo.

lalla

venerdì 23 luglio 2021

la sindrome di lalla

Io, delle volte, c’ho la “sindrome di lalla”, che non sarà la sindrome di Stendhal, ma è comunque una roba parecchio strana.
La prima volta mi è venuta a soli 17 anni, eravamo in gita agli Uffizi per vedere il “Tondo Doni” recentemente restaurato. Il mio professore di Storia dell’Arte era molto serio, competente e, dal mio punto di vista, pallosissimo. La guida che ci spiegava le fasi del restauro e gli agenti chimici applicati era probabilmente altrettanto competente e ancora più pallosa. Io ero una liceale molto seria, secchiona e piuttosto saccente. Mi ero fatta l’errata convinzione che la Storia dell’Arte fosse un’altra materia da studiare. Punto.
Quel giorno ho capito che mi sbagliavo, che l’Arte può essere soprattutto un viaggio da intraprendere, un luogo da esplorare, qualcosa da scoprire. E sentire.
Il “Tondo Doni” non mi piacque, un po’ per la guida logorroica, un po’ perché eravamo tutti affastellati e si vedeva male, un po’ perché Michelangelo è un violento e io a quei tempi non lo ero proprio e forse la “sindrome di lalla” presuppone una certa empatia emotiva. Non so. Non mi piacque perché nonostante l’arditezza compositiva, la potenza delle forme aggettanti e l’energia vitale, io non riuscivo a guardare altro che il piede di Maria, quel piede rosa stile Peppa Pig sul verde prato, quel piede quasi virile, ritagliato e laccato… e non mi piaceva quel piede via, mi dispiace dirlo ma è così, non mi piaceva per niente. Peccato. E invece no, nessun peccato (negli anni gli ho chiesto scusa tante volete e Michelangelo mi ha perdonato) e quella guida noiosa, la mia impreparazione culturale e l’ossessione per il piede porcello, sono state tutte una fortuna, mi hanno spinto a fare una cosa che non facevo mai: distrarmi.
Mi sono distratta, mi sono allontanata dal gruppo e mi ha subito chiamato lei, una splendida donna nuda dai setosi capelli sciolti, lo sguardo ammiccante e la pelle morbidissima. E calda. Quanta meraviglia! Sono rimasta incantata a esplorare ogni centimetro del suo corpo, richiamata continuamente da quegli occhi così vivi. Quegli occhi parlavano solo a me, mi stava guardando come io guardavo lei, la mia Venere.

A un certo punto fu il professore a farmi uscire dal mio stato di beatitudine, mi scosse fisicamente le spalle “Gonnelli, ma che ci fai qui? Siamo già tutti oltre la sala successiva, è un quarto d’ora che ti cerco!”. Un quarto d'ora?
Il mio primo rimprovero scolastico e il mio primo vero innamoramento artistico.
Che botta!
Pensai un sacco di cose, tipo:
1. “ma che cavolo mi è successo?" e subito dopo: "Che figata pazzesca!!!”.
2. “sono una cretina: non ho capito un tubo dell’Arte, non è solo un susseguirsi di nozioni tipo date e nomi di musei e opere”. E subito dopo mi assolsi dando mentalmente la colpa a quel pover’uomo del mio professore per non avermi aiutato a capire prima.
3. “questo Tiziano Vecellio sì che è un pittore, che armonia cromatica, che incredibile sfumato… altro che il rosa maiale ritagliato di Michelangelo!”. Beata gioventù… ve l’ho detto che ero saccente. Saccente ma anche molto curiosa. Passai il pomeriggio a studiare le pagine del libro che parlavano di questo autore sconosciuto (ancora non affrontato nel programma) e poi a scovarlo sulla nostra Treccani. Decisi che ne valeva la pena, avrei fatto di tutto per conoscere la Storia dell’Arte ed esplorare i musei, volevo riprovare a tutti i costi quella sensazione!
4. E mi chiesi: "Sarà contagiosa?" Magari! Mi sarebbe piaciuto un sacco infettare altre persone con la “sindrome di lalla”. Decisi che l’unico modo per farlo sarebbe stato diventare insegnante di Storia dell’Arte, un’insegnate diversa da quello che avevo avuto io. Ma pover’uomo! Era un bravo insegnante e io una stupida ragazzina (ma quanto sono spietati i giovani?!), ancora non so se sono alla sua altezza, ma ci provo ad attirare i miei studenti verso l'Arte e di certo quello che sono diventata e cerco di diventare ogni giorno, lo devo a quella prima meravigliosa volta in cui sono stata stregata dalla Venere d’Urbino.
Racconto spesso questo aneddoto anche ai ragazzi perché, effettivamente, mi ha cambiato la vita.
Poi è successo ancora, nei momenti più starni e con le opere e gli autori più disparati.
Mi è successo pochi anni dopo in una splendida mostra su Gustav Klimt a palazzo Strozzi, ci sono tornata tre volte e da allora il mio amore per Klimt è inesauribile.
Mi è successo nell’abside mosaicato della Basilica di San Vitale a Ravenna nel 1997. Mi sono proprio persa, disorientata, sentita dentro uno scrigno.
Lo stesso anno mi ha quasi fatto piangere il giovanile “Riposo durante la fuga in Egitto” di Caravaggio alla Galleria Panphilj di Roma e nessuno mai potrà togliermi dalla testa che quello è il suo massimo capolavoro.
Mi è successo con Wassili Kandisky durante un viaggio a Barcellona nel 2003, non ero lì per vedere lui, ma al piano terra della casa Milà di Antonì Gaudì c’era una mostra gratuita sul suo periodo lirico (dopo aver pagato un salatissimo biglietto per vedere la Pedrera, la mostra è gratuita, che fai, non ci vai?). Dopo l’università ero un po’ meno saccente, ma avevo ancora dentro di me quel brutto pregiudizio delle persone che sanno disegnare bene con formazione accademica, nonostante i 9 esami di Storia dell’Arte, sottovalutavo l’Astrattismo. Che sventola mi presi! Dopo la seconda composizione fui completamente risucchiata dalla sua danza cromatica, cominciai a rimbalzare in superficie e in profondità, fino a precipitare magnetizzata soprattutto dal blu. C’avrei passato le ore, il mio compagno d’allora dovette praticamente trascinarmi fuori, quasi non parlavo più. Quanta bellezza, mi scoppiavano i sensi e allo stesso tempo si rilassavano.
Mi è successo nel 2004 con alcune tele di Vincent Van Gogh dopo aver raggiunto pedalando sotto la pioggia le sale deserte del Kroller Muller Museum in Olanda.
Nel 2007 mi ha catturato e sedotto il sinuoso “giovinetto di Mozia” (un figo assurdo, altro che rigidità dei Kourus!), un capolavoro quasi dimenticato, raggiungibile con una gita in barca verso l’antica colonia fenicia.
Mi è successo ancora nel 2008 alla Tate Britain di Londra, ero andata a vedere “l’Ophelia” di Millais (non l’ho mai vista, nel 2008 era in prestito e nel 2018 la sala era chiusa per una crepa) e sono stata rapita da “Garofano, giglio, giglio, rosa” di John Singer Sargent. Incredibile l’effetto cromatico dei fiori fluorescenti appena arriva il crepuscolo, ho una rosa in giardino che mi regala lo stesso tono cromatico per 5’ ogni sera d’estate e io con la mente posso tornare di nuovo a quel capolavoro.
Mi è successo con Pavel Filonov qualche anno fa (in una mostra a Palazzo Strozzi sull’arte Russa dove ero andata soprattutto a cercare Kandisky), poi nel 2019 sono andata a Mosca e a San Pietroburgo per salutare ed amare di nuovo entrambi.

Mi è successo nel 2015 con la meravigliosa “epopea slava” di Alfons Mucha a Praga (e anche František Kupka mi diede un bel colpo).

Nel 2017 ero andata alla pinacoteca di Brera soprattutto ad ammirare (tra le altre cose) la “Pala di Brera” di Piero della Francesca e “il Cristo morto” di Andrea Mantegna, entrambi grandiosi, ma sono stati i ferraresi a darmi il tormento e soprattutto “la madonna della candeletta” del Carlo Crivelli, che genio!

Mi è successo ancora tante (tantissime) volte e ogni volta è una sensazione incredibile.
Mi succede praticamente ogni volta che incontro una ragazza di Paul Gauguin, anche perché mi sono sempre ritenuta una di loro. Oppure ogni volta che ammiro una natura morta di Oscar Ghiglia, con quell’armonia assoluta e quei colori che cantano, quanta infinita grandezza in un autore così trascurato. Foquet, Pisanello, Beato Angelico, Lippi, Bellini, Ingres, Segantini, Klee, Boccioni, Carrà... ancora e ancora... sono davvero innumerevoli gli autori che amo e le cui opere mi hanno fatto sentire ricambiata.


Nel 2017 a NYC sono praticamente vissuta 6gg di fila sotto l’effetto della “sindrome di lalla” (l’Empire State Building, il Memorial del World Trade Center, il Guggenheim… il MOMA dove ho conosciuto Robert Rauschenberg!) penso che per una settimana sia stata l’unica reazione chimica a sostenere in vita il mio corpo nonostante il jet lag.
Assiri ed Egizi mi stregano con facilità. 
Talvolta entro in questo stato di beatitudine e stordimento all’interno di luoghi o architetture. Dopo che mi succede non riesco a smettere di parlarne, cerco notizie sull'autore, mi fisso, mi incuriosisco, studio. Vorrei spiegare con più chiarezza, perdonatemi, forse non ne sono capace. 
C’entra sicuramente anche col senso dell’autenticità, col fatto di trovarsi proprio in quel posto o lì davanti, a 20 cm dal quadro, dove è stato l’autore (ma che emozione!) e non potrebbe succedere consultando soltanto un libro. 
C’entra anche con l’effetto sorpresa, quasi sempre vado per vedere qualcosa e poi ne scopro un’altra (a parte che con “la battaglia di San Romano” di Paolo Uccello a Londra, ero andata proprio a vedere quella e ci sono quasi rimasta secca), ma non sapevo davvero chi fossero Tiziano, Filonov, Sargent & co. prima che, con uno dei loro capolavori, mi sdraiassero completamente.
C’entra, io credo, con l’essere emotivamente e cerebralmente in sintonia con quello che provava e trasmetteva l’artista nel momento della creazione. Voglio dire: ora come ora la “Venere d’Urbino” di Tiziano non mi procura più un tale shock perché sono io ad essere cambiata, non lei, la ammiro comunque con tutta me stessa, ma non sono più la lalla di 17 anni che l’ha amata la prima volta.
Pochi giorni fa l’ho provata di nuovo al museo Revoltella di Trieste, c’ero andata per vedere “il meriggio”, una delle mie opere preferite del grande Felice Casorati e dopo averlo ammirato (è davvero magico) gironzolavo un po’ stanca tra le opere delle altre sale. Ed ecco che improvvisamente arriva questa bambina spiritata a togliermi il respiro.
Ovviamente io, nella mia infinita ignoranza, non sapevo neanche chi fosse

Carl Frithjof Smith e non avevo mai sentito parlare del dipinto “dopo la prima comunione”.

Una visione straordinaria, quella faccia incredibile mi ha tenuta lì molti minuti, in ostaggio, guardandomi negli occhi e parlando solo a me. Cioè, anche la mia mamma ha ammirato il dipinto, ma nel mio caso è chiaro che si trattava di qualcosa di più, di qualcosa di patologico.
Alla fine del percorso non potevo ancora andarmene, così ho lasciato lei a riposarsi al piano terra e sono tornata di corsa al quarto piano per salutare la mia bambina per l’ultima volta. Le foto che le ho fatto non rendono l’idea, ma come potrebbero farlo? Quello che c’è stato tra me e lei è una cosa privata, comprensibile solo a me (e a chi la mia sindrome ce l’ha).
E se la mia una sindrome non fosse, ma solo una pazzia, non mi importa perché sarebbe una pazzia bella.

lalla

venerdì 7 maggio 2021

perché la Strega è nuda

Perché non mi interessa essere un’artista, e non lo sono.
Invece mi interessa essere vera, e lo sono.
E mi ci mostro pure, così come sono, a tutti, sempre, senza imparare che indossare un vestito di menzogne potrebbe proteggermi (ma mi rovinerebbe), mi ci mostro a costo di farmi distruggere, ogni volta. A costo di risultare repulsiva, ogni volta.
Sono sincera, sono pura, sono empatica, sono una Strega maledetta, così sono e così mi mostro, a tutti.
Le persone come me non sono facili da frequentare, io lo capisco, fanno comodo, ma diventano velocemente scomode. Sono sempre stata la persona giusta a cui chiedere aiuto, ma non quella da invitare alle feste.
E dire che a me festeggiare piace un sacco, ma lo faccio con quell’entusiasmo tutto mio, troppo ingombrante, troppo diretto, troppa me.
Perché non so cosa sia la vergogna. Esibizionista.
Se sono allegra fischietto, se c’è una musica mi metto a ballare, prendo sempre la parola, dico la mia, fastidiosamente sicura e eternamente insicura di me. Mi propongo, mi espongo. Poi me ne pento. Vivo nell’eterna paura di essere invadente (e lo sono), di disturbare (e lo faccio). Sono sempre impegnata nel cercare di fare la cosa giusta, sempre corretta, sempre sincera. Ingombrante. Petulante. Indifesa. Mi aggiro per il mondo fiera della mia diversità, ma appena scopro di risultare troppo sopra le righe e di venire esclusa dai giochi, appena mi sento giudicata, ci rimango ogni volta di merda.
Dovrei imparare a filtrare, a proteggermi, in realtà l’ho sempre fatto, ma non nel senso che mi avrebbero augurato gli altri. Non ho mai cercato di mostrarmi migliore di quello che sono (altrimenti avrei avuto disgusto di me stessa). Non riesco a fingere sentimenti che non provo, non posso trattenere le emozioni che mi pervadono. Viene tutto fuori, allo scoperto. Ho rinunciato a conformarmi, ho preferito rimanere diversa. Ci vuole coraggio. O semplicemente incoscienza.  Scegliendo questa strada sono stati gli altri a erigere per me le barriere che mi avrebbero protetta, a mantenere le distanze. A non invitarmi alle feste. Le Streghe non si invitano alle feste.
Fin dalle elementari sono sempre stata sola con me stessa (e meno male che mi piaccio parecchio, altrimenti sai che supplizio). Gli altri a rincorrersi in cortile e io che passavo la ricreazione seduta a disegnare nel mio banchino. Meglio così, erano tutti molto pericolosi per me, questo l’ho sempre saputo. Gli altri che sapevano mentire, gli altri che sapevano fingere. Loro, ne ero certa, prima o poi avrebbero desiderato bruciare la Strega. In molti ci hanno provato, ma su questa terra siamo tutti diversi (non solo io) e così ho avuto la fortuna di incontrare poche e preziosissime persone speciali, poche e preziosissime persone che adoro.
Mi è capitato anche di innamorarmi, non dell’amore che popola il mondo. Cioè, non di quello “per convenienza”, che pretende qualcosa in cambio, né di quello intenso e fisiologico, ma passeggero (che dura tre mesi e poi se ne va, come è giusto che sia). Insomma, non mi sono innamorata di un amore normale, ma di un amore streghesco. E ho peccato di superbia: ho creduto di aver trovato un’altra persona capace di sentimenti sinceri e eterni come i miei e che oltretutto si fosse innamorata di me. Addirittura pensavo (ma è incredibile, lo pensavo veramente!) che avremmo affrontato tutta la vita insieme, perfino che nei momenti di bisogno ci saremmo aiutati a vicenda e che io non sarei più stata sola. Scema!
Quanto sono stata sciocca ritenendomi in grado di giudicare (annebbiata dagli ormoni prima e dall’affetto poi)? Quanto può essere ingenua una ragazza innamorata? Possibile che le ingiustizie, i disequilibri e le dipendenze che vedevo chiaramente nelle altre unioni non mi avessero messo in guardia? Bastava guardarsi intorno per scoprire che l’appoggio e la sincerità che cercavo non esistono nel 90% delle coppie.
Chi mi ha dato il diritto di ritenere che il nostro rapporto fosse diverso?!
Questo errore è il più comune di tutti: ci si sente tanto speciali e invece le nostre vite alla fine si rivelano così banali. Vent’anni di illusione. E poi, secondo natura, anche lui ha tentato di bruciarmi, Un dolore inimmaginabile (feriscono di più le persone che si amano) e il crollo completo di ogni mia convinzione.
Potevo rimanerci secca, non scherzo.
E invece no, proprio per nulla.
Io dalle fiamme, risorgo. Con calma e santa pazienza, rimettendo ogni tassello al suo posto. Una volta caduto il velo dell’illusione, mi è apparso di nuovo tutto molto chiaramente. Non era la nostra vita a essere banale. Non era banale il mio amore per lui, non era banale il mio sorriso, non era banale il mio entusiasmo, non era banale il modo in cui avevo generato i nostri figli e neanche quello in cui li stavo crescendo (loro che banali non lo sono proprio per niente!). Io non sono una persona banale, sono una Strega e nella vita di banale ho fatto solo una cosa: fidarmi.
Ma ero giovane, innamorata, ci può stare. E meno male che è andata così altrimenti non sarebbero venuti al mondo il mio Re dei Sugolini e la mia Piccola Fata.
Non conosco la furbizia e non sarei mai riuscita a imbastire un rapporto per ottenere qualcosa, non mi sarei mai accompagnata con un uomo per fare dei figli. Il desiderio di procreare era direttamente collegato al mio amore per lui e alla convinzione di essere ricambiata. Questo equivoco, questa mia ingenuità ha il grande merito di avermi regalato la mia famiglia. E quindi posso solo ringraziarmi, non ho rimpianti. Non ho vergogne.
Non mi vergogno di ciò che è stato, della mia vita passata, non la rinnego, ma non desidero neanche riviverla. Non mi vergogno delle mie rughe, né delle mie cicatrici. Non mi vergogno dei miei capelli bianchi. Non mi vergogno delle mie mammelle enormi, fuori misura, morbide e materne (hanno allattato i miei figli). Non mi vergogno dei miei anni e non cerco di nasconderli, mica li ho rubati, sono fiera di averli vissuti.

Il 23 marzo 2021 un’orchidea che avevo in casa da due anni ha rifiorito. Non sono un’esperta coltivatrice, ma adoro le orchidee e sono anni che le trasloco cercando un angolo adatto della casa con giusta illuminazione/umidità/temperatura, una rifioritura non si era mai verificata, questa splendida pianta/farfalla mi ha regalato una gioia immensa. Ho desiderato di dipingerla. Di dipingere il senso di rinascita che accompagna ogni primavera.
E’ la mia quarantacinquesima, ma non mi ci abituerò mai, sono meteoropatica, ogni anno il ritorno della luminosità, dei fiori, del tepore, mi fanno innamorare ancora di più della vita.
Ho fatto delle foto cercando di sovrapporre al mio cuore il gambo reciso e il punto del nuovo germoglio., cercando di trasmettere Bellezza e Armonia, nonostante tutto quello che di imperfetto e vero mi caratterizza e mi rende quella che sono. Ci vuole coraggio. O anche semplicemente incoscienza.
Questo cerco ogni giorno nella mia vita, la Bellezza nella verità.
La pittura, per lo meno la mia, deve essere verità.
Ho rinunciato alle mani (che di solito adoro dipingere), come nelle veneri preistoriche volevo concentrare tutta l’attenzione sui caratteri femminili, diventare una sorta di allegoria di fertilità che ri-nasce dal vaso insieme ai fiori.
Ho decentrato la composizione, avevo bisogno di lasciare uno spazio indefinito e luminoso e di condurre il mio sguardo oltre il quadro, verso l’ignoto, verso la rinascita.
Quindi ho iniziato a dipingere ed ero tanto emozionata, timorosa di mostrarmi per come sono (per come sono diventata negli anni), ma convinta di volerlo fare, a costo di farmi distruggere.
Quando finalmente la pittura si è incamminata nella direzione che volevo, quando mi è sembrato di averla domata, quando mi sono guardata nei pigmenti e mi sono riconosciuta, mi sono sentita potente e ho voluto scattare questa foto.

Avevo voglia di far dialogare le due lalla, quella in carne ed ossa e quella dipinta, di sentirle altrettanto vere e fiere, di mostrare l’amore che le lega (l’amore materno che mi lega a ogni mio quadro e l’amore e la comprensione che provo verso me stessa). E avevo voglia di giocare con la mia immagine di Strega, dal naso dritto e tagliente come quello di una scultura etrusca, dai capelli lunghi e avvolgenti come lacci.
L’ho pubblicata su Facebook, ha fatto scalpore.  Molte persone hanno capito e le ringrazio di cuore.
Un tipo mi ha attaccato dicendo che i seni piccoli sono più eleganti, che mostrando i miei grandi seni nudi veicolavo alle giovani ragazze il messaggio che un seno piccolo è brutto e che addirittura le istigavo a farsi delle protesi… follia.
Delirio a parte, tra tutte le cose che volevo trasmettere, una bella quantità di maschietti ha visto solo il richiamo erotico della poppa e sono fiorite richieste di chat private, inviti, complimenti più o meno velati tipo “collega, fai sangue” (collega di chi? Fo sangue da dove?) o addirittura “le aureole scure mi fanno impazzire” (buon per te)… avrei dovuto sentirmi lusingata? Scusate, posso comprendere, ma a me questo tipo di approcci da solo fastidio. Invitatemi quando leggete un mio scritto, è meglio. Anzi, invitatemi se mi incontrate nella vita reale, se ne avete il coraggio, non ce l’avete mai avuto, non mi avete mai invitato. Ad uno meno volgare ho pure risposto: “ti piaccio perché sono virtuale, fidati che dal vero non ti piacerei”. In ogni caso, poco male, ma chi li conosce?
Mi ha messo più in crisi la reazione della mia mamma, anche se lei non ha detto nulla di male, ma non le è piaciuto proprio che dipingessi il mio corpo nudo, imperfetto e vero, l’ha definito “porno”. Non l'ha fatto con cattiveria e non voleva offendermi, ma io non sapevo neanche cosa risponderle, io che spiego in classe l’erotismo di Klimt e Schiele, la sessualità perversa di Bellmer, il voyeurismo pedofilo di Balthus, il martirio del corpo della Abramovic, devo aver farfugliato qualcosa sull’accettazione di sé, sul cercare la Bellezza oltre gli stereotipi… ma farfugliavo proprio male, eh.
La conosco bene, ha ideali di perfezione molto radicati, non avrei dovuto prendermela, anzi, per non metterla in imbarazzo non avrei dovuto mostrarle la foto (e il quadro).
Ma è incredibile, basta che da parte sua arrivi un leggero dissenso, per frantumarmi tutta l’autostima.
Devo far tesoro di queste sensazioni e stare molto attenta con i miei figli, noi mamme manco ce ne rendiamo conto di avere in mano un potere così devastante (feriscono di più le persone che si amano, anche quando non vogliono farlo). Mi sono incupita per quasi un giorno, poi ho ripreso a dipingere e mi è passata.
Ho anche bloccato un po’ di profili Facebook (tanto per tirarmi su!) e sono tornata a divertirmi.
Infondo che cambia?
Una Strega può essere giovane o vecchia, bella o brutta, non fa differenza, resta comunque una Strega e come tale farà sempre paura.
 

lalla
"un'altra Primavera", olio su masonite 60x80 cm.

martedì 4 maggio 2021

la Bellezza mi salva dalla distopia

E’ più di un anno che siamo impantanati in una pandemia mondiale. 
Roba da film di fantascienza di quella pesa, dove nella descrizione leggi “ambientato in un futuro distopico” e tu non sai bene cosa significhi “distopico” finché non lo vedi e allora capisci: significa “di merda”. 
Eppure gli sventurati protagonisti in qualche modo ci vivono nella distopia (pure se puzza) e gli succedono delle cose, tipo che sopravvivono (o anche no), lavorano (o anche no), si ribellano (o anche no), si innamorano (o anche no) e robe così. 
La sopravvivenza mia e dei miei cari per adesso è OK e non so dirvi quanto mi senta grata per questo. Ma la strage giornaliera è insopportabile. Se ne sta andando una fetta enorme di popolazione e il fatto che siano quasi tutte persone di una certa età è ancora più grave in Italia che in altre nazioni. Da noi gli anziani fanno parte della famiglia, siedono al tavolo per il pranzo domenicale, raccontano aneddoti ai nipoti, tramandano il lessico famigliare, custodiscono la memoria. Alla fine di questo massacro avremo perso una parte importante e bella del nostro paese, solo allora ci renderemo conto di essere un po’ meno italiani di prima e tutto sarà ancora più triste. 
Parlando del lavoro, vista la situazione sono fortunata ad averne ancora uno e sono fiera di averlo portato avanti con dignità, in un anno non ho perso un’ora di lezione e i miei studenti non sono rimasti indietro in niente nella mia materia, tantomeno nell’entusiasmo (che è la cosa più importante). Ma quanto mi è costato, quanto mi/ci costa, sembrano passati due, tre anni, non uno. Siamo inevitabilmente tutti molto stanchi e chi ha parlato di allungare l’anno scolastico per “recuperare” le ore perse, è un folle. 
Durante il primo lock-down la gestione della scuola è stata durissima e totalizzante, in più mi sono fatta un mesetto di polmonite e nonostante questo ho continuato a insegnare come nulla fosse, a pre-registrare lezioni nelle ore più impensate e caricarle su You-tube, sempre disponibile a rispondere alle domande, collegata con studenti e colleghi h24 su tre diversi canali virtuali (Argo, Teams, Whatsap). Contemporaneamente, la gestione del mio ragazzino (che intanto cambiava voce e diventava un ragazzone) e della mia bambina (a cui insegnavo a leggere, scrivere e far di conto). Tempo per la pittura: zero. Sul finale ero abbastanza stremata, ma ce l’ho fatta, sono un essere altamente adattabile. Aiutava pensare al “prima” che era ancora molto vicino, il “durante” sembrava faticoso e orribile, ma passeggero.
Il lock-down ha funzionato, ma lo Stato non ne ha approfittato per fare un cavolo di nulla (tipo restaurare qualche scuola che cade a pezzi o aumentare i mezzi pubblici, per dire). Esame di maturità e poi finalmente è arrivata l’estate che abbiamo passato al mare con la mia mamma e isolati dal resto del mondo. Da lontano guardavo afflitta e disgustata le immagini di folle in discoteca e ammucchiate negli apericena, consapevole che in autunno saremo tornati nella merda distopica. Tutti a dire “che brutto anno scolastico è stato il 2019/20” e io che non mi capacitavo, non capivano che il prossimo sarebbe stato peggiore?
Da settembre ci hanno ributtato in classe, 20-25 studenti senza mascherina, distanza legale di 1m tra le rime boccali (il ché significa che bastava che si chinassero a prendere entrambi un libro nello zaino per baciarsi in bocca). Scientificamente parlando, incredibile.
E mentre la pandemia riprendeva (ovviamente) vigore, abbiamo sperimentato in presenza tutte le percentuali possibili, il 75%, il 100%, il 25% lo 0% (prima di Natale), poi il 50%, di nuovo lo 0%... ogni volta colleghi eroici hanno dovuto reinventare un orario nuovo per l’intero istituto in meno di 48h. Devo confessare che quando due settimane fa dal ministero hanno tirato fuori il 60% e infine il 70% avrei voluto indire una marcia di studenti e insegnanti (tutti ben distanziati) per chiedere una percentuale a caso tipo il 58% o meglio il 69 (che almeno fa goliardia), per una volta sarebbe stato giusto prendere un po’ per il culo questi imbecilli che ci governano, dato che quest’anno si son divertiti così tanto a farlo loro. Possibile che nessuno sappia che per garantire una didattica efficace e un apprendimento sereno degli studenti, la prima cosa che serve è un minimo di chiarezza e stabilità? Vabbè.
Comunque, nonostante il delirio delle percentuali, nonostante il mio ruolo di insegnante completamente denaturato (non posso più girare tra i banchi e nessuno può vedermi sorridere), nonostante le privazioni, nonostante i molteplici tamponi eseguiti (soprattutto sulla Matilde), nonostante le varie quarantene, nonostante le notizie funeste dei media, nonostante tutto quello che viene detto contraddetto ogni giorno sui vaccini, nonostante i 200 morti giornalieri, nonostante tutto, va ammesso, molto tristemente, che questa precarietà è diventata una sorta di normalità. Una normalità distopica.
Una normalità fatta di volti coperti e mani igienizzate, una normalità fatta di distacchi e solitudini profonde. Il “prima” ormai sembra lontanissimo e forse, irrecuperabile.
In autunno ho capito che non potevo permettermi il lusso di aspettare il suo ritorno, ho capito che l’attesa mi/ci avrebbe distrutto. Dovevamo accettare di essere diventati i protagonisti di questo maledetto film di fantascienza. Sono, appunto, un essere altamente adattabile, ho smesso di pensare al “prima” e mi sono costruita un “durante” accettabile.
I miei studenti rischiavano di lasciarsi andare e non avrebbero potuto vedermi sorridere? Li avrei sorpresi continuamente, avrei fatto sorridere loro! Le mie lezioni sono diventate ancora più informali, degli show di intrattenimento. Loro mi hanno ripagato continuando a impegnarsi e imparare.
I miei figli avrebbero dovuto rinunciare alla vita sociale? Li avrei coccolati, intrattenuti e scossi il più possibile! Siamo scappati sull’argine dell’Arno a fare un pic-nic cinese a ottobre (quando ancora si poteva), abbiamo comprato il gelato a dicembre, quasi ogni domenica abbiamo imbastito serate cinema con pizza sul divano, abbiamo giocato insieme, solo 4 volte siamo potuti tornare dalla mia famiglia in campagna (distanziati e mascherinati). Per fortuna Elia ha ripreso a cantare nel gruppo rock (sta prendendo le misure con i suoi nuovi bassi) e Matilde si è pian piano inserita in seconda elementare. Loro mi ripagano sempre e comunque, solo perché esistono.
Nel “prima” i week-end senza figli mi concedevo di andare a ballare, uscire con le amiche o fare un viaggetto, adesso avrei dovuto passare giornate intere chiusa in casa da sola? Mi sono concessa qualche passeggiata con la mia migliore amica e di riempire le ore con quello che più amo fare, soprattutto, dipingere! Il tempo non è mai abbastanza, non ci penso proprio a sprecarlo rimpiangendo la movida.
Ho scritto poco, ma è solo perché ho dipinto molto e per me sono la stessa cosa, dipingere e scrivere. Sono sempre io che cerco una via per uscire fuori, è solo la strada che cambia.
Da mesi l’immersione in questa maleodorante distesa di feci, in questo clima di orrore e insicurezza costante, mi fa desiderare di creare immagini che alludano alla Bellezza. Mi manca tanto la Bellezza, quella dei musei, dei viaggi, delle scoperte, dei sorrisi, della gioia sregolata (senza regole), della spensieratezza.
La Bellezza, qualcuno ha detto, ci salverà.
Io non so se questo sia vero, forse non lo è per tutti, per me credo proprio che sia così.

lalla

P.S. La mia splendida Piccola Fata ha posato per questo dittico. Dipingerla mi ha regalato un sollievo indescrivibile. Indescrivibile, nonostante io lo conosca molto bene. Lo provo ogni giorno da quando è arrivata su questa terra, da quando la osservo muoversi, meravigliosa, davanti ai miei occhi.
Questa bambina pochi giorni fa ha compiuto 7 anni.
Lei è la Bellezza e mi ha già salvato.