domenica 1 gennaio 2023

amarmi

Il piacere non è una questione da sottovalutare.
E' uno dei più grandi motori della vita. La piccola dose di droga che il nostro corpo anela. La piccola dose per cui facciamo tutto. Siamo tutti dei tossicodipendenti in cerca di una ricompensa. Il piacere fisico, il piacere psicologico. Per un’atea come me, non c’è molta differenza. Siamo anima e corpo, indissolubili. Nutro l’uno, nutro l’altra. Muore l’uno, muore l’altra. E viceversa.

In Arte, la prima allegoria del sesso arriva a metà del Cinquecento a Firenze con Agnolo Bronzino. Venere e Cupido si baciano e si toccano lascivamente davanti ai nostri occhi. Intanto si ingannano: l’una cerca di sottrarre una freccia dalla faretra del figlio, l’altro di rubare la tiara della madre. Maschere teatrali ammiccano al travestimento, al risveglio dei sensi, all’interpretazione di ruoli. Il Tempo (con la sua clessidra) incornicia con un drappo la scena e ricorda il mutare delle sensazioni e il degenerare delle emozioni. Le allegorie della Gioia (un bimbo con i sonagli alle caviglie e dei fiori destinati ad appassire presto), della Gelosia, della Follia, circondano i due protagonisti. La virtuosissima tecnica di Agnolo (fatta di linee curve, superfici levigate e colori smaltati) indugia sui corpi sinuosi, sui glutei sodi, sui volti perfetti e su ogni raffinatissimo dettaglio. L’opera oggi si trova a Londra e posso confermare che tanto stile e bellezza dal vivo sono ipnotiche. Il sesso è spiegato e raccontato (in modo intellettualistico per l’utenza ristretta della corte medicea) come qualcosa di delizioso, ma pericoloso: un piacere temporaneo e ingannevole, che può portare alla rovina e alla disperazione. Periodo difficile il Manierismo, ansie da prestazione artistiche, crisi religiosa e politica, gente un po’ ripiegata su sé stessa e poco allegra.

Una cinquantina d’anni dopo, il piacere ci viene mostrato in tutto il suo splendore e, finalmente, senza controindicazioni. Lo fa il grande Gian Lorenzo Bernini nel gruppo scultoreo dell’estasi di Santa Teresa. L’angelo trafigge compiaciuto Teresa e la santa viene travolta da un’ondata di sensazioni fortissima che ne scuote il volto e le membra, lasciandola senza forze. Non si trattava di una provocazione, né di blasfemia e, nonostante l’epoca inquisitoria (nel Seicento i Gesuiti bruciavano le persone senza farsi troppi problemi), l’opera non fu assolutamente messa in discussione. Il grande spettacolo barocco sfruttava le sensazioni di meraviglia suscitate nello spettatore, lo coinvolgeva emotivamente al solo scopo di veicolargli la certezza che esistesse un’unica e sola grande chiesa cristiana, quella di Roma (cosa ovviamente falsa, dato che il protestantesimo le aveva sottratto mezza Europa). Ma Bernini e compagnia avevano capito benissimo che per veicolare un messaggio di propaganda alle grandi masse, non serviva tentare di convincerle con un ragionamento razionale (più o meno comprensibile o giusto), ma trascinarle emotivamente.
E, tornando alla nostra Teresa trafitta, come si fa a rappresentare un’estasi religiosa? Cos’è un’estasi religiosa? Come puoi spiegarla a una massa di fedeli peccatori e ignoranti? Datemi retta, meglio farla sentire, che spiegarla. Gian Lorenzo non era un santo, ma un genio. L’unica cosa che potesse avvicinare lo spettatore a un concetto tanto difficile (e labile), era farlo attraverso la rappresentazione di un’estasi fisica (conosciuta da tutti). E grazie al suo infinito talento funziona benissimo. Ogni volta che mi ci trovo davanti, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, avverto la stessa ondata di emozioni in ogni fibra del mio corpo e lo ringrazio. Fatelo anche voi, lasciatevi trascinare dal piacere artistico senza vergogna perché siete nel giusto. Il piacere non è un peccato, il piacere è nutrimento per il corpo e lo spirito di noi persone imperfette e comuni, ma non banali. Per noi che santi non siamo.
E a proposito di questo, ecco uno scritto della Santa, tanto per scagionare Gian Lorenzo e tutti noi:

«Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.» (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)

Per incontrare il più grande cantore del piacere, facciamo passare tre secoli e spostiamoci a Vienna, durante la Secessione Viennese. 
Il magnifico Gustav Klimt, anima guida di Ver Sacrum, era una sorta di seduttore seriale. Per capirsi, amava fisicamente le sue modelle perché sopra ogni cosa inseguiva il piacere, voleva provarlo e rappresentarlo. Per Gustav le donne sono misteriose, pericolose e potenti. E anche il sesso è pericoloso, ma senza rimorsi, il pericolo gli piace. Lo brama. Desiderio e paura, dolore e piacere. Insieme hanno sempre funzionato benissimo e per sempre funzioneranno (non a caso un romanzetto rosa-fantasy come Twilight ha venduto milioni di copie).
Guardiamo Giuditta I, ho avuto la fortuna di poterla di nuovo ammirare a Roma questa primavera. Porta ancora tra le mani la testa di Oloferne, ma di lui (come del messaggio religioso) a Klimt importava poco e questo trofeo macabro lo relega in basso a destra, chissenefrega se gli spettatori manco lo notano. Non ci credete? Si divertiva a esporre la seconda versione, Giuditta II anche come Salomè. La prima è un’eroina religiosamente positiva, l’altra negativa, ma sono entrambe donne seducenti e assassine, questo gli interessava. Il vero protagonista del quadro è il piacere. La questione è che Giuditta ha appena ucciso un uomo e le è piaciuto parecchio. Dischiude le labbra, le palpebre vibrano e la donna lupa, splendida e invincibile, gode davanti ai nostri occhi. Puro sesso.
I quadri di Klimt facevano scandalo, sia chiaro, ma per fortuna niente roghi. Non a caso, Vienna era la città di Sigmund Freud e della sua psicoanalisi (che spiega qualsiasi aspetto della mente legandolo al sesso).

E veniamo al mio, di piacere.
Non ho bisogno di un angelo che mi trafigga, per ottenerlo. Non ho bisogno di un uomo che mi possieda, per raggiungerlo. E neppure di ucciderne uno come Giuditta.
Posso più semplicemente fare tutto da sola, assecondando la mia natura.
Sono l’unica persona autorizzata ad usare ed abusare del mio corpo. Per questo non gli concedo quasi mai riposo. Lo torturo privandolo del sonno per scrivere o lo logoro attraverso estenuanti sedute pittoriche nelle quali combatto, patisco e quasi perisco. Ma infine, quando mi salvo… oh, se solo potessi farvi sentire quanto è dolce il sapore nella mia bocca.
Porto il mio corpo (e la mia mente) allo sfinimento e lo faccio solo per il mio piacere. O meglio, per far cessare l’esigenza, la sete. Perché in effetti un tossicodipendente soffre senza la sua dose quanto un assetato patisce senza la sua fonte. Il piacere è l’appagamento di un bisogno. L’unico modo di trovare la pace.
La mia è una pace meravigliosa e che provo spesso, ma purtroppo (o per fortuna) breve. Mi nutro dell’amore per la mia famiglia e per i miei figli, ma non mi basta. Mi nutro dell’impegno nel mio lavoro e delle gratificazioni con i miei studenti, ma non mi basta. Mi nutro di cibo, di sensazioni, di scoperte, di viaggi e di Arte, ma non mi basta. Mi nutro della mia scrittura, ma non mi basta. Mi nutro della mia pittura, ma niente mi basterà mai perché la vita mi piace tutta.
Mi sazio e in breve tempo avverto un nuovo appetito. Allora so che è già il momento di rimettermi in gioco. E’ faticoso, sì, ogni tanto devo fermarmi per riprendere le forze.
Ma penso proprio che, una volta recuperate, mi concederò di giocare e di godere all’infinito.
E che lo farò senza rimorso alcuno perché mi amo.


lalla
"Amarmi", olio su masonite, 70 x 50 cm.
P.S. Il quadro non so ancora se è finito, ma oggi lalla aveva voglia di scrivere questo post, è il primo dell’anno, non potevo certo dirle di no e il senso del dipinto è questo.