lunedì 13 settembre 2021

progetti brutti, ma forse divertenti

Per trovare l’umore giusto ed affrontare al meglio il nuovo anno scolastico, a settembre, mi garba sempre mettermi seduta e compilare una lista delle “cose (belle) da fare” oltre a lavorare.
Belle anche se, appena sotto il podio, è costantemente presente la voce “perdere X kg” (ci terrei a precisare che X va intesa come una variabile e non come numero romano!) quest’anno, fortunatamente, la X è una quantità < 5.
Nelle prime posizioni ci sono invece viaggetti, progetti di pittura e scrittura. Quest’anno anche il forte desiderio di tornare a scolpire…
Ma non ci dilunghiamo, sono propositi segreti, invece vi svelo nel dettaglio solo una delle voci di questo 2021/22 perché è davvero ridicola, ma forse, divertente.
Pronti… pausa ad effetto…

Ho deciso di provare a scrivere un libro brutto, ta-dan!
Ci siete rimasti male? Potrei cercare di passare meglio definendolo in modo più accattivante? Potrei dire “da leggere sotto l’ombrellone”, “romantico”, “soft-erotico per casalinghe disperate”, “rosa”? …
Vabbè, via, si fa prima a dire brutto.
Da qualche anno, in mezzo a libri drammatici, saggi, fantasy o spensierati ma con un minimo di sale, ogni tanto anche io ci infilo uno di questi libri da encefalogramma piatto e facendolo, mi sono resa conto di alcune cose:
1. Tutti seguono uno schema particolarmente semplice e ripetitivo.
Lei è povera, ma colta (requisito fondamentale è che conosca a memoria i libri di Jane Austen e Thomas Hardy), è bellissima, ma ingenua e vergine (stranino, ma poi, una volta avviata all'argomento, si scoprirà essere parecchio focosa). Lui è ricco e potente, bellissimo e mooolto esperto nelle arti amatorie (anche un po’ troppo), ma è un asociale con un carattere di merda e di solito le donne le usa come strofinacci per il pavimento, c’ha le turbe ed è pericoloso (comunque anche lui sotto sotto è un romanticone e conosce a memoria i libri di Jane Austen e Thomas Hardy). Lei è attratta, ma ha paura, però ci rimane impantanata intuendo che lui non è veramente uno stronzo bensì un’anima tormentata con svariati traumi infantili (la crocerossina è sempre di moda, come la letteratura inglese), è combattuta e proprio questo dualismo attrazione-timore la fa innamorare come una pera cotta, si concede (il sesso è fantastico e le garba un casino) e quindi viene accompagnata nel paese delle meraviglie tra lusso e lussuria. Anche lui è combattuto, desidererebbe dominarla e possederla tipo un oggetto (è psicologicamente parecchio messo male), ma non vorrebbe ferirla/distruggerla (sai com’è, potrebbe capitare stando accanto a uno spostato), attraverso vari lasciamenti/fughe/ritorni, alla fine, inaspettatamente (si fa per dire) anche lui si innamora di lei perché lei è speciale (vabbè), entra in modalità pera cotta ricoperta di caramello fuso e si redime. Insomma lei col suo amore lo ha salvato (evviva le crocerossine!). E vissero per sempre felici e contenti con tanto di figliolanza al seguito, ma nonostante ciò, continuando a fare sesso stellare. L’apice del realismo e dell’originalità.
2. Nonostante la demenza di fondo, credeteci che anche ‘sta roba va saputa scrivere. Alcune saghe “prendono”, altri libri sono veramente illeggibili e, ombrellone o meno, non resta che cestinarli senza pietà dopo le prime 10 pagine.
3. Quasi tutte sono trilogie, ma sospetto che ciò dipenda solo dal fatto che il primo abbia venduto, quindi mungiamo la mucca e infine facciamoci il film hollywoodiano (brutto anch’esso).
Ecco, io 
non sono mai riuscita a pubblicare una sola riga, alla soglia dei 46 anni, del tutto disincantata sul reale valore culturale di un tale tipo di scrittura (zero), ma anche sulle mie doti narrative, vorrei provare a divertirmi e a rientrare almeno nella prima tranche del punto 2. Non a caso scelgo un termine finanziario, tante le volte venisse bene (“bene” si fa per dire, quanto può venire bene una roba del genere), lo pubblicassi (miracolo!), ci guadagnassi pure due euro e poi mi facessero scrivere la trilogia e vai di filmone con protagonisti sexy (e perché no?)!

Adesso non mi resta che trovare un’ambientazione e una contestualizzazione abbastanza originali (senza alterare lo schema, squadra vincente non si cambia).
Devo concentrami sul personaggio maschile e le sue turbe. Lui è la chiave. Allora, vediamo… il vampiro, l'uomo d'affari sadico dominatore, l’adolescente alcolizzato violento e il capo di organizzazione criminale sono già presi, dovrò impegnarmi parecchio per trovare qualcosa di interessante!
La damigella invece non richiederà grande sforzo, in ogni romanzo è volutamente presentata come una tipa banalotta e insicura (come si sente infondo la lettrice) e proprio per questo favorisce un’immedesimazione e un grande effetto meraviglia quando il super figone maniaco scopre che proprio lei è speciale ed è quindi l’unica in tutto l’Universo Mondo in grado di far breccia nel suo cuore malato. In questo modo il cervello della poveretta rosolata dal sole fa il pericoloso e del tutto diseducativo 2+2: “allora potrebbe succedere anche a me!”.
Diseducativo sì, ma evidentemente, in prossimità del bagnasciuga, liberatorio e rilassante.
Non mi resta che cominciare e scoprire se scrivere storie un po’ melense possa rivelarsi divertente come penso. Però mettendoci un po’ d’ironia, quella per forza, altrimenti, sai che noia!

lalla

agosto 2012 - Io e "il Trono di Spade" (che non è affatto brutto) sulla spiaggia di Is Arutas (che è oggettivamente la fine del mondo).

sabato 11 settembre 2021

rimanere umani, limitare i danni collaterali e spezzare il circolo vizioso

 L’11 settembre 2001 non ero andata a lavorare al laboratorio di ceramica di Sesto Fiorentino come facevo ogni giorno, invece ero rimasta nella mia casa natale a Reggello, con la mia mamma. La mattina avevamo girato nel Valdarno per ordinare cotto e mattonelle in varie tonalità di blu. Ormai da mesi, con cura infinita, stavo sistemando una splendida casetta appollaiata sui tetti di Firenze. Mi stavo costruendo il nido insomma (come fanno le colombe). Ci sarei andata a vivere la futura estate con l’amore della mia vita, dopo uno splendido matrimonio campestre e un bel viaggio di nozze a New York! Finalmente io e lui saremmo stati una famiglia e non vedevo l’ora, una famiglia fatta di avventure, coccole e Arte, per sempre.
Sì, mi ero fatta un bel film.
Ma torniamo a quel giorno, io e la mia mamma avevamo appena pranzato, poi lei accese la televisione come faceva sempre per rilassarsi davanti a una soap opera. Quindi ecco che eravamo proprio lì, io e lei, davanti alla T.V. e non servirono chiamate al telefono o avvertimenti da parte di nessuno, ad un tratto tutte le reti si collegarono su quelle immagini incredibili. Mi è sempre piaciuto andare al cinema (oltre che farmi dei film sulla mia vita) quindi credetemi che sono un’esperta di disaster movies ed effetti speciali, posso giurarvi che quello che stavano trasmettendo fu un incredibile spettacolo di guerra. Altro che giochi gladiatori! Non credo che nessuno sia riuscito a distogliere gli occhi dallo schermo per ore e non credo che neanche i Talebani si aspettassero che venisse così bene. Potente, violentissimo e atroce. La morte in diretta così, in mondovisione, non l’avevamo mai vista. All’inizio parlavano di un incidente e ricordo la fitta di dolore che avvertii quando il secondo aereo arrivò come un missile a trafiggere l’altra torre. Perché un conto è veder morire degli esseri umani per errore o casualità, un altro è vederli uccidere volontariamente. Ricordo la mia mamma che mi chiese: “le persone sopra a quel piano in fiamme adesso come faranno a scappare?”
Avevo da poco finito l’università, mi tornò immediatamente alla memoria una lezione sulla struttura statica delle due Torri Gemelle di Yamasaki e altri, ogni piano era una sorta di mensola aggrappata al blocco centrale portante di ascensori e scale. Quel secondo aereo aveva sfondato col muso dall’altra parte, l’aveva tagliata in due.
Così capii e le risposi: “Chi si trova sopra a quel piano è condannato, non c’è più modo per scendere”. E infatti dopo un po’, sotto gli occhi orripilati dell’intero mondo, quei poveretti cominciarono a buttarsi giù dalle finestre.
Passava il tempo e per me divenne chiaro anche che le torri sarebbero cadute, così tagliate in due e infuocate, la struttura centrale in metallo non poteva resistere a lungo. E infatti mi sono sempre chiesta del perché abbiano deciso di mandare al martirio tutti quei pompieri su per le scale. A che scopo?
Io sono piuttosto ignorante sulla politica estera, allora lo ero anche di più, non sapevo bene chi fosse Osama Bin Laden e non mi capacitavo del perché qualche terrorista avesse deciso di massacrare tutta quella gente, di sicuro era una sorta di dimostrazione di potere, di rivalsa, ma in quel momento non mi interessava, vedevo solo le persone morire mentre mi si attorcinava lo stomaco dal ribrezzo.
Cominciarono a arrivare anche notizie di un terzo aereo schiantato sul Pentagono e forse un quarto… allora davanti ai nostri occhi si stava scatenando una guerra mondiale? Sembravano tutti piuttosto impanicati, io non lo so, ero più che altro atterrita.
A un certo punto entrò un ragazzo che gravitava intorno a casa nostra (e che avrò il buongusto di non nominare) uno che fino a quel giorno era sembrato tutto carino, uno fin troppo casa e chiesa per i miei gusti e, dopo aver dato un’occhiata allo schermo, se ne esordì con la seguente frase: “Ma guarda che casino! Questo scherzetto sai quanto ci costerà a me e mio padre? Le borse crolleranno domani!”. Mi sentii accapponare la pelle dallo schifo, avrei voluto tirargli un ceffone, ma il tizio non gravitava lì per me. Me ne stetti buonina e lasciai che se lo gestisse la diretta interessata. Per inciso e per fortuna, se lo sarebbe levato di torno a breve.
Dopo poco più di un’oretta, una alla volta, le due torri collassarono. Lo fecero nel modo migliore in cui avrebbero potuto farlo, perfettamente su se stesse e riducendo al minimo i danni collaterali. Dimostrarono fino all’ultimo istante il capolavoro di ingegneria che erano state. Si scavò un’incredibile voragine (nel terreno e nel cuore degli americani) quindi si alzò un’incredibile nube di fumo che inghiottì tutto e finalmente il supplizio ebbe fine. Si fece silenzio, un silenzio che, credetemi, non ha più abbandonato il sito del World Trade Center.

Non sono mai andata in viaggio di nozze a New York.
Invece ci sono stata nel 2017 con la mia mamma ed è stato il viaggio più bello della mia vita.
New York è qualcosa di spettacolare, ma parte della bellezza che percepivamo stava, sicuramente, nella nostra sensazione di rinascita. Il 2016 era stato un anno di merda per entrambe. Il mio babbo è morto a febbraio, il giorno del suo compleanno, contemporaneamente la persona in cui avevo riposto tutta la mia fiducia (avete presente quello che credevo essere l’amore della mia vita?) si era dimostrato tutto d’un tratto un banale ometto, un narcisista distruttivo e incapace di starmi vicino. Le disillusioni amorose sono cose che capitano, ma fanno molto male e anche a me si era momentaneamente aperta una voragine nel petto. Sei mesi di insonnia quasi totale, ma certi drammi personali si superano certamente meglio di quelli collettivi. Infondo se li gestisci bene fanno male solo a te, sono qualcosa che non impatta troppo sul resto del mondo.
Dopo un anno e mezzo impegnandomi per essere giusta (e limitare i danni collaterali), a mantenere la mia umanità nonostante tutto, a reagire col sorriso di fronte a figli e studenti (soffrendo come un cane la notte, da sola), mi ci voleva proprio una bella botta di adrenalina per tornare a vivere!
Per una che aveva sempre avuto paura di volare, anche solo pensare di raggiungere la Grande Mela non era poco, ma diciamo che, dopo essere sopravvissuta al 2016, mi sono resa conto di non avere più paura di niente. Tranne che di certi rapporti umani, in effetti, ma non certo degli aerei. E da allora la sensazione di potenza e forza va intensificandosi ogni anno, per dire: ho sempre sofferto di vertigini, adesso pure col paracadute mi butterei!
Eravamo arrivate a Manhattan la sera precedente, la prima destinazione fu proprio Financial District. Che effetto wow appena fuori dalla metropolitana, finalmente i grattacieli, quelli veri!
Due foto al bruttissimo toro della borsa e poi cominciammo ad aggirarci tra un colosso e l’altro, gli occhi sempre rivolti al cielo. Uno ornato in stile Decò, uno specchiato e ultramoderno, uno verdeggiante, uno brunito… eravamo abbagliate e euforiche. Non facevo altro che gioire e catturare foto.
E poi arrivammo lì, dove in poche ore erano state abbattute le Torri Gemelle e strappata la vita di quasi tremila persone. Tutta la nostra euforia fu divorata in un attimo da quei due buchi enormi.
E ci ha colpito il silenzio, quello che non se ne è mai andato. E il rispetto. I turisti sono chiassosi e colorati, spesso sguaiati, ma lì non lo erano affatto.
Arad e Walker hanno fatto un capolavoro, il Memorial è perfetto, l’acqua assorbe i rumori della città, la guardi scorrere in quelle due voragini verso la profondità del nulla e senti solo quello che è giusto sentire: la mancanza.
Non conoscevo personalmente nessuna delle vittime ma le ho viste morire, le ho sentite morire. Le ha sentite il mondo intero. Ho messo via la mia Canon e mi sono commossa, ho pianto per loro e per tutti quelli che se ne erano andati, compreso il mio babbo.

Oggi sono passati 20 anni e il mondo è sempre un gran casino.
Avete presente il detto “il dolore aiuta a crescere”? Sospetto che sia una cazzata.
O meglio, in qualcosa si cresce, in qualcosa si regredisce. E soprattutto dipende il dolore da cosa è causato, va bene se è un incidente, una sfortuna, non va per niente bene quando è stato fatto volontariamente da altri esseri umani.
Ce lo hanno dimostrato gli atleti alle recenti Olimpiadi o Paralimpiadi, venivano tutti da storie difficili, sono proprio quelle storie, quei dolori, quegli infortuni, quelle malattie, quelle difficoltà, ad aver generato in loro la forza e la potenza necessaria per vincere. Ma non era colpa di nessuno se certe sciagure gli erano successe e infatti, attenzione, sono davvero belle le vittorie conquistate con l’appoggio dei propri cari (a cui subito venivano dedicate le medaglie) e non quelle raggiunte con la rabbia, contando solo su sé stessi e schiacciando il mondo intorno a sé.
Dai grandi traumi impartiti da altri esseri umani invece difficilmente se ne esce migliori perché è quel tipo di vittoria rabbiosa e vendicativa che le persone sono portate a desiderare.
Se le vittime hanno un'indole pacifica, non pianificano vendette, ma si chiudono in sé stesse e si lasciano impadronire da diffidenza e paura (e anche queste non sono proprio migliorie del carattere).
Gli ebrei sopravvissuti alla Shoah non sono diventati un popolo più fiducioso e aperto con gli altri popoli della terra, semmai si sono fatti più guardinghi e pronti a tutto pur di tutelarsi. Gli americani dopo l’11 settembre non sono diventati un popolo più caritatevole e disposto a spartire la propria ricchezza, semmai sono diventati meno creduloni (avevano insegnato loro ai due piloti kamikaze come guidare un aereo) e gli è cresciuto ancora più pelo sullo stomaco.
Per quanto riguarda la scarsa fiducia nel prossimo, la capisco perfettamente.
Ma ho poco altro in comune con gli americani, il pelo sullo stomaco mi fa ribrezzo, come gli investimenti in borsa. Le dimostrazioni di potenza e il menefreghismo verso gli altri, sono atteggiamenti orribili.
E a forza di vittorie rabbiose e vendette, il circolo vizioso non si interromperà mai. Non dovrebbe essere questa interruzione la cosa più importante e l'unica aspirazione dell’umanità? E invece non c'è verso, tutte le energie vengono disperse nel tentativo di traumatizzarsi a vicenda.

Ora vorrei raccontare qualcosa su mio nonno Oreste Gonnelli, io non l’ho mai conosciuto davvero, di lui mi raccontava il mio babbo. Allora, innanzi tutto va detto che i miei nonni vivevano in campagna, a Reggello e che avevano una ditta di trasporti. Mia nonna Silda era ebrea, al momento opportuno fecero una specie di albero genealogico finto per negare la cosa. Comunque alcuni paesani lo avevano capito e così cominciarono a andare a casa loro a prenderle i mobili, i vestiti e i gioielli e loro dovevano stare zitti altrimenti li avrebbero denunciati. Carini i paesani, non sapete quanto e anche per questo nonostante ami la natura preferisco vivere in città (non è che i cittadini siano meglio, ma almeno si fanno di più i fatti propri). Mia nonna aveva un bel caratterino ribelle, ma il nonno era una persona pacifica, un bonaccione, forse persino un po' codardo, quindi la teneva buona e al sicuro. Al passaggio del fronte i tedeschi arrivarono da loro e comunicarono al nonno che avrebbe dovuto aiutarli altrimenti si sarebbero presi la moglie e il figlio neonato (il mio babbo era nato proprio nel ’45), ovviamente lui gli dette tutti i mezzi della sua ditta di trasporti e loro se ne scapparono prima dell’arrivo degli alleati. Il nonno non era appunto un coraggioso, né un eroe.
Una notte altri cari paesani, dichiarandosi partigiani, lo accerchiarono in un campo, accusandolo di essere stato un collaborazionista, lo presero a botte, a pugni e calci, lasciandolo in fin di vita.
Il mio babbo crebbe sano.
Ristabilita la pace, la nonna fermava le donne davanti a tutti, per strada, facendosi restituire le proprie collane. E guidando da sola il suo calesse se ne andò anche nelle case a riprendersi qualche mobile.
Il nonno invece non si riprese mai del tutto, né fisicamente, né psicologicamente, ma non denunciò mai l’accaduto. La mia mamma, che si fidanzò col babbo quando era una ragazzina, mi racconta che era una persona molto mite e di averlo visto stare spesso male e sputare sangue. Morì piuttosto giovane per una serie di emorragie interne.
Il mio babbo gli chiese il nome dei suoi aggressori, gli rispose di averli riconosciuti subito, ma che non glielo avrebbe mai rivelato, né a lui né a nessun altro “perché a un certo punto la guerra deve finire”.
Voleva essere lui quel punto, che cessassero odio o vendette. Voleva che la guerra finisse con lui e la pace ricominciasse con mio padre. Mi piace pensare che il forte desiderio di limitare i danni collaterali sia genetico.
Mio nonno non era coraggioso, probabilmente non era un eroe, ma era una persona buona ed è comunque riuscito a spezzare il circolo vizioso.
Non saranno mai abbastanza le persone capaci di farlo.

lalla