lunedì 27 febbraio 2017

in onore a tutte le donne con le palle

Il Carnevale è una festa che divide. Non come il Natale che piace a tutti, non come il Capodanno che  deprime in egual misura il popolo. Il Carnevale divide, fin da bambini. Cioè, li vedi quelli in preda all’euforia con un travestimento improbabile, assemblato alla meno peggio in casa (come da sempre faccio io) e quelli che nonostante indossino un modello “ufficiale” che costa quanto una notte in Bed &Breakfast, hanno un muso lungo fino ai piedi e si vergognano come cani. Li guardi negli occhi e lo capisci che il loro unico pensiero è: “Quando finisce questo strazio?”.
Il Carnevale è una questione, oserei dire, genetica. C’è chi ha il gene del “trasformismo” e chi non ce l’ha. Tipo quello che ti fa piegare la lingua in due oppure no. Non credo che nessuno scienziato ci si sia mai dedicato in modo serio, a parer mio dovrebbe. Forse è un gene che nella giungla primitiva accomunava il primate al camaleonte, valla a sapere… io sono un camaleonte! Anche i miei figli lo sono. Noi ci travestiamo molto spesso, non solo quando il Carnevale lo rende socialmente accettabile. E’ così divertente mascherarsi e interpretare un ruolo diverso, è così liberatorio. Probabilmente è anche il gene degli attori. Mi piace un sacco!

La mia mamma, la settimana scorsa, essendo che mi ama, mi ha detto una cosa molto bella: che è fiera di me per come ho reagito a quello che è successo, che ho una forza incredibile e che “si toglie tanto di cappello”. Io però ero preoccupata di non aver pensato abbastanza alle persone intorno a me e allora lei, essendo molto arguta, mi ha detto una cosa centrata: “Non dire fesserie! Devi pensare Lalla che è come se tu fossi stata schiacciata da un autobus e avessi dovuto passare 4-5 mesi tutta tritata al CTO, in una situazione disperata, senza sapere se avresti mai più potuto camminare… nonostante ciò, hai continuato a prenderti cura dei tuoi figli, dei tuoi studenti e a gestire tutti gli altri… nessuno sa come hai fatto, ma dopo nemmeno un anno, cammini di nuovo!”.
E’ vero: cammino di nuovo. E faccio anche dei bei saltelli a dire il vero.
La forza evocativa di questa metafora mi ha fatto venire in mente una grande pittrice che è stata davvero, letteralmente, schiacciata da un autobus. E’ tornata a camminare e non ha mai smesso di dipingere. Un giorno, rivolgendosi a Rivera (che gliene ha fatte di cotte e di crude) gli disse: "
Ci sono stati due brutti incidenti nella mia vita, Diego: quell'autobus e tu. Tu sei di gran lunga il peggiore…". Nonostante abbia sofferto e zoppicato tutta la vita, neanche con i piedi in cancrena, ha mai abbassato lo sguardo.
Questo Carnevale, in onore a tutte le donne con le palle, io sono Frida.


lalla

P.S. Sabato ho organizzato una festicciola per i ragazzini, un tè per le signore e una pizzata per tutti.
Mentre mi disegnavo il monociglio, Elia mi guardava storto: “perché ti trucchi da sgorbio?”
“Ma che dici?! Mi sto travestendo da Frida Kalho! E’ stata una grande pittrice e una grande donna. E’ molto famosa, sai? Tu non la conosci perchè sei ancora un ragazzino, ma vedrai che i genitori mi riconosceranno”. Gli mostro la foto su google.
“Se lo dici tu, a me sembra un po’ sgorbio”.
Ok, ammetto che due genitori all’ingresso si sono complimentati: “che bel vestito da cinese” (?), ma gli altri mi hanno riconosciuta. Nessuno (forse per educazione) ha detto che ero sgorbia, ogni tanto coglievo degli sguardi straniti, probabilmente avranno pensato che sono un po’ strana a vestirmi in maschera a 41 anni, possibile? Ma se il cappellino di fiori l’ho confezionato io stessa e indossato per il matrimonio di mia sorella Chiara?… almeno stavolta era Carnevale!

giovedì 23 febbraio 2017

vi dirò una cosa in faccia, a costo di bagnarmi il culo

Alcune persone hanno voglia di dirti la loro in faccia.
Così, tanto per gradire e quasi come fosse un vanto “io sono una/uno che le cose le dice in faccia!”.
E’ un atteggiamento che non ho mai compreso, né condiviso, che tra l’opzione “dire le cose dietro le spalle” e “dire le cose in faccia”, magari si son scordate di vagliarne una terza: “non dirle affatto”.
Allora entra in scena la storia del “dare i consigli” (a parer mio parecchio sopravvalutata). Con la scusa di darti dei consigli (non richiesti) ti rifilano dei giudizi. Piglia e porta a casa.
Io cerco di dare consigli il meno possibile eccetto che ai miei figli e ai miei studenti, a loro ne do un sacco, ma in questo caso il tentativo è appunto quello di “educare” (
suggerire le risposte non serve, si tratta di fornire indizi ed esempi, sempre cercando di rispettare le inclinazioni personali) e non mi piace farlo, ho sempre paura di sbagliare, ma volente o nolente lo DEVO fare: quello dell’educatrice è il mio ruolo. Un ruolo che mi è stato concesso dal mio utero e dal Ministero dell’Istruzione (oltreché da una bella tonnellata di forza di volontà, in entrambi i casi).
Per il resto, cerco di dare consigli solo ed esclusivamente se sono stati richiesti. E anche in questo caso è un gran casino, ci vogliono molto tatto e prudenza perché può capitare (spesso) che le persone che chiedono il tuo parere in verità non vogliano ascoltarlo, ma più semplicemente trovare una conferma a quello che già pensano. Più raramente, c’è chi un consiglio lo vorrebbe davvero. E' meglio procedere in punta di piedi. E’ così complicato riuscire a capire fino a che punto spingere nel discorso la tua opinione o plasmarti su quella degli altri… insomma, è tanto difficile non fare del male (perfino quando un consiglio ti viene chiesto) che proprio non le capisco le persone che gratuitamente ti “dicono le cose in faccia”, così, tipo ceffone in pieno viso!
Comunque, ognuno è fatto a suo modo e ha opinioni diverse, per fortuna.
Ognuno, in una società abbastanza evoluta e civile (come nonostante tutto è la nostra), può scegliere
il posto da occupare  nel mondo.
Io non ho scelto di lavarmene le mani alla Ponzio Pilato, la mia non è una scelta di comodo, è più una scelta di pudore e di rispetto. Io me ne sto da una parte, osservo le persone con grande interesse, provo a capirle e mi rendo disponibile all’ascolto. Poi faccio questo: cerco di distribuire allegria ed entusiasmo intorno a me (e di rompere le palle il meno possibile). Stop.
Forse non è un granchè, ma ci sono posti peggiori, più insulsi o più ingombranti.
Anche perché, ma che diritto avrei io di giudicare o interferire nella vita degli altri? Qualcuno (eccetto il mio utero e il Ministero dell’Istruzione) mi ha investito di questo ruolo? Chi lo dice, ad esempio, che io sia una madre “migliore” delle altre? Nessuno, e infatti non mi ci sento proprio! Per questo non mi sono MAI permessa di andare a consigliare/criticare le mamme intorno a me sul fatto che stessero nutrendo/vestendo/addormentando i propri figli nel modo sbagliato. Condivido il loro modo di crescere i figli? In qualche caso sì, in qualche caso no, ma è possibile che sia io a sbagliarmi, o forse (come appare più logico) facciamo un po’ di cose sbagliate e un po’ di cose giuste entrambe, o più semplicemente: chissenefrega, ognuno farà quel che può con i mezzi che ha!
Insomma, io seguo il principio “vivi e lascia vivere”.
Ma è un principio non universalmente condiviso e così io, in faccia, mi sono sentita dire di tutto. Tu sei fatta così, tu sei fatta cosà, tu sbagli di qui, tu sbagli di là, tu non sei capace di fare questa cosa qui, tu non sei capace di fare questa cosa qua. Piglia e porta a casa.
Che, tra parentesi, tutte queste cose essenziali “da dire in faccia” non si sa perché, ma raramente sono cose belle.
Allora, oggi ho voglia di fare un’eccezione, di rendermi antipatica buttando anche io lì un consiglio così, tanto per gradire.
Premessa: un sacco di gente a un certo punto del proprio percorso entra in crisi, mette in discussione una vita intera, o più semplicemente si sente insoddisfatta, perde di vista il senso e la meta.
Non parlo di coloro a cui l’equilibrio chimico è andato completamente in tilt (perché, onestamente, non esiste una cosa più seria dell’equilibrio chimico di un corpo e io, detto tra noi, sono sempre stata imbevuta in un cocktail perfetto e pure costante, non me lo sogno neanche di sottovalutare il culo che ho).
Ma per tutti gli altri, non lo so, forse mi sbaglio, ma mi sembra di percepire una specie di allergia alla coerenza e alla determinazione condite da una decadente deriva psicanalitica generale. Ora, io non sono una psicologa e una delle mie migliori amiche lo è, non la voglio offendere quindi che sia chiaro: si tratta solo di sensazioni, di dubbi miei così, random.
Mi guardo in giro e non capisco, è la psicanalisi che ha questa pecca o sono le persone a farne un uso distorto? Tutto questo “lavoro interiore” forse fa concentrare troppo le persone su se stesse, sul proprio dolore/problema, le sfinisce sull’autoanalisi, le ripiega nell’introspezione e le incupisce. Fa diventare tutto ancora più grave, pesante e profondissimo.
“Ognuno deve riscoprire il suo Io interiore ed essere se stesso/a”.
E se il tuo “Io interiore” facesse cacare? Cioè, attenzione, non è detto che nel profondo si sia tutti Gandhi. E se qualcuno, nel profondo, fosse Hitler? Magari aver tracciato dei confini negli anni, aver trovato il modo di contenersi, moderarsi, adattarsi alla società e agli altri non sarebbe proprio tutto un lavoro da buttare.
“Ho bisogno di conoscere e capire me stesso/a”.
Se non ti sei conosciuto/a e capito/a per 30/40/50 anni (se non ci sei riuscito/a quando avevi una mente giovane e flessibile) cosa ti fa credere di poterci riuscire adesso? Forse hai poche capacità empatiche e di ascolto delle tue emozioni. O magari c’è poco da capire, semplicemente. O cercare di mettere un’etichetta su se stessi (e sulle altre persone) è SBAGLIATO dato che siamo esseri unici e mutevoli (potrebbe anche avvicinarsi al vero, ma é a scandenza breve). Su questa cosa dell’etichetta (come anche sull’indossare una divisa) vorrei aggiungere che a un sacco di gente piace proprio tanto, da sicurezza, da un senso di appartenenza.
A me fa schifo.
“Tutti hanno il diritto di inseguire la propria felicità”.
Ne siamo sicuri? Anche no se questo significa distruggere quella degli altri. Tutti hanno diritto a inseguirla, ma non ad ogni costo, tra l’altro: scappa parecchio in fretta e non credo proprio che si possa raggiungere mietendo delle vittime.
Ed eccoci al consiglio, citando il film “La prima cosa bella”:
Oggi non vi sentite un granchè? Invece di farvi tante domande, perché non provate a farvi un bel bagno in mare?!
Perché non provate (voi che potete!) a mordere una gustosissima schiacciata fumante ripiena di mortadella appena affettata? … proprio nell’angolino dove c’è un sacco di sale, provate!
Provate a gioire delle cose semplici della vita. Ve lo dice un’epicurea: strabastano a rendere soddisfatti. Se poi avete la sfacciata fortuna di aver messo al mondo un figlio e lui sta bene, esiste, è reale... e lo potete toccare tutti i giorni… vabbè, altro che mortadella!
E’ solo un consiglio, ma ve lo dico perché ci credo: coltivate, se potete, la leggerezza e una sana superficialità. La felicità verrà da voi senza doverla inseguire.

lalla

P.S. Sì, lo so, la frase “cerco di distribuire allegria ed entusiasmo intorno a me (e di rompere le palle il meno possibile)”, fa un po’ ridere considerando questo ultimo anno. E’ una delle cose che mi è dispiaciuta di più: riversare il mio sconcerto e la mia disperazione ovunque, aver preteso così tanta pazienza dalle persone intorno a me. Altro che “portare allegria”, ho chiesto aiuto, tanto aiuto e ho rotto le palle. E per me è stato innaturale imbarazzante, ma essenziale. Lo dovevo fare per forza, o sarei morta. Mi sono sfogata, tanto, ho chiesto conferme (anche solo che fosse vero, perché a me sembrava tutto impossibile) e consigli (sì, ho chiesto anche dei consigli!) su quale fosse il comportamento più corretto da seguire nell’interesse dei miei figli. E le persone che mi hanno aiutato di più sono state tanto sagge da ascoltarmi (sopportarmi!) e alla fine non darmene quasi nessuno. Perché barare non vale e suggerire le risposte non serve (come a scuola). La strada scelta non sarà mai quella giusta se non arrivi a imboccarla da sola. A chi mi ha aiutato dico grazie con tutto il cuore e a buon rendere (anche se non gli auguro certo l’inferno che è toccato a me!).

P.P.S.S. lunedì dovevo partecipare a un collegio di plesso un’oretta dopo il termine delle lezioni. Prendo un gelato e mi spingo sulla spalletta dell’Arno, c’è il sole. Mentre mi gusto il cono, vengo incuriosita da alcuni ragazzi stranieri che scavalcano furtivamente la spalletta, scendono sull’argine e si dirigono verso la pescaia. Guardo meglio, ci sono alcuni pescatori, un po’ di fidanzatini, turisti, è piuttosto popolata, tutta quella gente ha scavalcato? Forse allora non è una cosa particolarmente disdicevole…
in un attimo sono nel punto giusto del muretto, è un po’ altino… mi guardo intorno veloce (se mi vedono dei colleghi sai che figura!) non c’è nessuno, ma perché no? Salto! La pescaia è in parte bagnata e c’è un po’ di limo, cerco di non impantanarmi. I ponti e le case si riflettono sull’acqua, nonostante ci siano altre persone è tutto umanamente silenzioso (i turisti dormono, i fidanzatini si baciano, i pescatori pazientano) e naturalisticamente rumoroso (a pochi metri l’Arno precipita fragorosamente). Un’oca si sta ripulendo le piume in bilico sul bordo della diga. Non resisto: mi distendo accanto all’oca sulle pietre più asciutte con la testa a 10 cm dal filo d’acqua, dove sembra immobile. Chiudo gli occhi e ascolto, sento: il sole caldo sulle palpebre, la calma dell’Arno accanto a me, il suo nervosismo a pochi metri da me, il gusto di cacao in bocca... e il culo bagnato finito in una piccola pozzanghera! Passano 20’, devo tornare indietro verso la scuola. Ripercorro a ritroso il sentiero e arrivo al muretto. Al primo tentativo di risalire non ce la faccio per niente perciò mi prende il ridere e al secondo va pure peggio, poi un po’ di panico (penso alla figura di merda che dovrò fare telefonando a un collega per farmi aiutare), mi concentro e al terzo ce la faccio. Con una piccola corsetta arrivo in tempo alla riunione. Salgo le scale a due a due, arrivo nella sala, molti hanno le facce stanchissime e abbastanza assenti, io ho ancora il sole sulle guance, il cacao in bocca, il culo bagnato... e tanta voglia di fare!

venerdì 10 febbraio 2017

verso la primavera

In verità, non ho particolari cose da raccontare.
Non che manchino belle novità, come il fatto che tra pochi mesi (incrociando le dita) dovrei essere una “donna divorziata” (che la parola fa schifo, lo so, ma la sensazione, credetemi, è proprio tutt’altra cosa!).
Non che manchino rotture di scatole, come il fatto della drastica diminuzione delle iscrizioni nel mio liceo e il pericolo di diventare il prossimo anno non solo “potenziata”, ma anche “sovrannumeraria” (cavolo, che soddisfazioni mi da la scuola italiana!).
Non che manchino preoccupazioni, come il fatto di dover gestire un Re preadolescente e una Piccola Fata infante (amorosissimi entrambi, per altro).
Nessuna di queste cose mi pesa sul cuore. Nessuno degli aspetti della mia vita mi affligge, nessuno mi sconcerta. Avevo bisogno di un po’ di leggerezza, tutti noi ne avevamo bisogno. E adesso la stiamo coltivando insieme, io e i miei piccoli. Ci alziamo ogni giorno e andiamo tutti e tre a scuola (al nido, alle medie, al liceo), poi ci ritroviamo a casa e ci dilettiamo in Barbie, trucco e parrucco (solo io e Matilde), compiti (solo io ed Elia), canto sfrenato, ballo, progetti folli, avventure, esplorazioni, cucina e degustazioni degne di Master-chef, nonché maratone cinematografiche con relative classifiche nerd e, soprattutto, coccole (per tutti).
Mi ci sento (leggera) perché tutto ha inaspettatamente preso un verso. E io lascio che ogni cosa vada nella direzione in cui vuole andare, dove era giusto che andasse (ormai da tempo), senza cercare di opporre alcuna resistenza.
Nuotare nella direzione giusta è importante, ma non sempre è facile trovarla.
Può apparire chiara davanti a te e allora si tratta solo di avere il coraggio di tuffartici dentro, io l’avevo fatto vent’anni fa: un bel tuffo di testa carpiato, col batticuore e gli occhi chiusi. Un tuffo da applausi. Poi ho fluttuato serena e ignara nell’acqua azzurra per tanto tempo, strasicura di trovarmi nella direzione giusta e di dove quel fiume mi avrebbe portato.
Non mi aspettavo più grosse sorprese.
E invece, può succedere anche di cascare in acqua quando non te l’aspetti, per sbaglio, indietreggiando sulla banchina, e di sbatterci il muso dolorosamente. Eppure, anche questo tuffo inaspettato che ti brucia sù per il naso e ti fa ingoiare una bella gozzata d’acqua salata, per quanto incredibile possa sembrare, ti scaraventa nella direzione giusta.
E una volta imboccata, c’è poco da fare, è una corrente che ti trascina in un solo verso (e indietro non si torna).
Io ve lo devo dire: ora come ora non lo so di preciso dove mi porterà questa corrente, so solo che mi sta portando lontano da dove ero (consentendomi di trattenere me stessa e tutto quello per cui vale la pena vivere). A questo punto, visto anche il gorgo infernale che ha cercato di risucchiarmi verso il fondo e a cui sono sopravvissuta senza annegare (e la conseguente fiducia in me stessa parecchio rinforzata), non mi sembra così importante cercare di “spoilerarmi” il finale.
Dovunque mi porti, sarà una sorpresa.
Dovunque mi porti, io ho intenzione di andarci con tutta la leggerezza possibile.

Perché il sorriso (e un certo malsano ottimismo) sono sempre state le mie armi migliori e anche se fa un freddo cane fuori è ed ancora inverno, io lo sento, e ne sono certa, che sto andando verso la primavera.

lalla

"verso la primavera", olio su masonite, 59x59 cm.
P.S. Esempio di classifica nerd cinematografica di lalla&Elia.
“esseri pseudo-teneri che nella rispettiva scena madre canterina ci hanno fatto venir voglia di sterminarli con un bazooka”:
1. Gli Ewok di “Guerre stellari”
2. I Troll esperti in amore di “Frozen”

3. I 7 nani di “Biancaneve” della Disney quando cantano lo jodel.