mercoledì 19 dicembre 2018

le classi dell'amore

Mancano pochi giorni a Natale.
Vorrei raccontarvi di alcune classi speciali.
Voi non siete insegnanti, per lo meno, la quasi totalità di voi non lo è, quindi non potete saperlo. Che le classi non sono tutte uguali, che ne esistono di speciali.
E' una cosa rara, insegno da 14 anni, ne ho incontrate poche, le conto sulle dita di una mano: la prima, molti anni fa, al Liceo Scientifico di Sesto Fiorentino, un'altra nello Scientifico di Campi, una alla scuola media di Pratolino... può darsi che ne abbia anche adesso, ma eviterò di sbilanciarmi a riguardo perché quelli dell'Internazionale sono svegli e magari vengono a leggermi.
Parlo di quelle classi che, quando guardi l'orario e sai che stai per entrarci, fai un sorriso perché hai proprio voglia di vedere i tuoi studenti. Sai che con loro starai bene pure se ammollerai dei 3 e ti toccherà fare degli urlacci. Starci volentieri non dipende dal fatto che tra gli studenti ci siano delle eccellenze o che siano tutti bravi, ubbidienti, studiosi o calmi. Non è questo. E non è manco questione di far squallidi favoritismi, non sono io a percepire una classe speciale, è la classe ad esserlo. E' un'alchimia un po' indecifrabile che hanno, presi tutti insieme. Nemmeno loro sanno come succede, quale sia la chiave, però anche loro la sentono, sanno di averla. E ogni tanto se ne approfittano, o almeno ci provano, perché no? Infondo sono adolescenti, uno dei loro compiti è scoprire fino a dove possono spingersi, mettere alla prova se stessi e l'adulto. Il compito dell'insegnante invece è cercare di non rompere l'idillio, facendoli rimanere nei ranghi, non è facilissimo (chi sa di avere fascino proverà sempre ad usarlo per ottenere un trattamento di favore).
Tra me è me, le chiamo "le classi dell'amore".
Ora, lasciamo perdere le battutine cretine, già mi tocca subirne da parte dei colleghi se nei Consigli di Classe mi esprimo in favore dei ragazzi con troppo trasporto (nessuno stupore a riguardo, di simpatici burloni è pieno il mondo, figuriamoci il Collegio Docenti!)
Parlo di Amore nel senso di empatia, nel senso di accettazione, nel senso di coesistenza, nel senso di rispetto. Come vi ho detto, non è mai stata una sensazione mia, soggettiva, bensì oggettiva e anche i colleghi simpaticoni sopracitati, alla fine hanno sempre concordano con me.
In ciascuna di queste classi c'erano il secchione (e/o la secchiona), l'antipatico un po' polemico (e/o l'antipatica un po' polemica), il timido (e/o la timida), lo sbuccione (quasi sempre maschio a dire il vero!), il narciso (maschio pure quello), la gatta morta (femmina) e il maschietto con l'ormone a 1000... va bene, c'erano tutti gli stereotipi e tutte le stranezze eppure ognuno accettava l'altro, io li accettavo tutti e tutti accettavano l'insegnante. Accettavano me, che gli ammollavo i 3 come caramelle, ma anche i 10 a dire il vero, purché se li meritassero (sia i 3 che i 10).
Fare questo lavoro bene è difficile, farlo bene insegnando la mia materia (anzi, le mie due materie) e avendo solo 2h a settimana è ai limiti della fantascienza, con l'orario completo sarebbero 9 classi da preparare e valutare ogni settimana (umanamente impossibile), alla fine (per una questione di sopravvivenza) gli insegnanti mollano (e gli studenti pure).
Tanti colleghi mi prendono un po' in giro perché ancora non mi arrendo e ce la metto tutta (anche con le classi respingenti, soprattutto con quelle): "sei troppo fogata", "ma chi te lo fa fare di correggere tutte le tavole ogni settimana?!", "fai troppo, è tempo sprecato".
Tempo sprecato?

E invece.
Succede che la dolcissima Giulia, con cui ho passato meno di un anno, mi ricontatti per anni e infine mi scriva il giorno della sua laurea in Architettura ringraziandomi e dicendomi che aver conquistato quel traguardo era anche merito mio. E io sono davvero commossa e felice per lei.
Succede che Sara, piena di talento e speciale (ma con poca voglia di studiare) era sempre passata inosservata dai colleghi finché non sono arrivata io e sono riuscita a vederla, succede che la abbandoni dopo 3 anni per vincere un concorso incinta di Matilde e che lei mi scriva nell'estate del 2016 (in un periodo proprio di merda per me), mi mandi la foto del suo 27/30 all'esame di St.Arte, dicendomi che lo dedica a me e che le dispiace di non aver saputo fare di meglio "ma lo sa che la teoria non è mai stata il mio forte" e io le risponda che all'Università avevo preso lo stesso voto al primo esame di St.Arte e che non sarei potuta essere più fiera di lei!
Succede, due anni fa, che Alice e Francesca abbiano bisogno di qualche consiglio per passare il test di ammissione a Disegno Industriale e pensino a me, quindi facciamo due incontri, le seguo un po' online e loro, bravissime: passano entrambe il test!
Succede l'anno scorso che Erika, tenera e coraggiosa allo stesso tempo, appassionata di uno sport poco conosciuto in Italia, mi scriva: "Salve Prof, sono anni che non ci sentiamo, ma ho sempre continuato a seguirla e oggi, quando mia mamma mi ha chiesto che cosa volessi fare da grande, perché volessi inseguire il mio sogno e che tipo di persona volessi diventare, io, volevo dirglielo, ho pensato che mi piacerebbe diventare come lei" e io mi senta onorata, mi commuova di nuovo come una bambina. E poi mi senta in colpa anche, abbia paura, anzi sia terrorizzata della responsabilità che porto.


Ne parlo con alcune professoresse, il confine tra giusto o sbagliato è labile: ho il terrore di influenzarli troppo, di andare oltre il mio compito. Tutti gli insegnanti si fanno queste domande? Ma perché succede? Da sempre, in classe impongo un regime poliziesco per il rispetto delle regole, ammollo 2 a chi non consegna le tavole dopo due settimane, applico note disciplinari se becco qualcuno a copiare, decurtazioni di voti a chi è in ritardo, li faccio lavorare il doppio di qualsiasi altra prof. della mia materia che abbia mai conosciuto. Perché non mi hanno mai bucato le gomme allora?
Ecco però, va detto, io provo a essere giusta, io li guardo, li ascolto, li rispetto, questo sì.
Si affezionano a me perché io mi affeziono a loro.
Perciò sono troppo empatica? questo è il problema!
E sono un'attrice, in classe mi piace fare teatro, gesticolo, mi agito, li faccio ridere, li stupisco. Ho una voce stridula e potentissima che tiene svegli (probabilmente imparano la St.Arte anche nell'edifico accanto). Negli anni tanti colleghi e colleghe, sentendomi spiegare dal corridoio, mi hanno detto che sono bravissima, che si sente la passione, che affascino le classi. I bravi insegnanti sono questo? Persone carismatiche che ammaliano branchi di studenti ignari? Un'altra cosa: io sono affascinante? Con questa voce da gallina?
Se è così, io però sono un'adulta e vorrei sfuggire alla regola "chi sa di avere fascino proverà sempre ad usarlo per ottenere un trattamento di favore".
E qui sta il vero problema: essere sempre stata secchiona è una lama a doppio taglio. Mi impegno al massimo perché sono continuamente sottoposta all'ansia da prestazione, quindi cerco l'approvazione degli altri, è l'unica cosa che possa allentare questa pressione e, c'è poco da fare, quando arriva, mi fa stare bene. E' un sollievo. 
Il mio peccato, lo so, in ogni rapporto della mia vita, è quello di avvertire un disperato bisogno di approvazione. La maledizione di desiderare di sentirsi dire continuamente "brava".
Non è un peccato da poco. E' un peccato grave. Non dovrei cercare gratificazione nel mio rapporto con gli studenti, è sbagliato.
Ricapitoliamo: mantenere un clima accogliente (sennò si sentono respinti) e frizzante (sennò si addormentano), creando un contatto umano (sennò diventano anaffettivi), imponendo regole ferree (sennò si rammolliscono), spiegando appassionatamente (sennò di annoiano), facendoli lavorare come muli (sennò si adagiano), mettendocela tutta (o non ce la farai mai) ma in tutto questo niente, nessuna gratificazione e affezionarsi zero, pure se ci passi due ore a settimana per cinque anni e per cinque anni li vedi piangere, ridere, esultare, arrabbiarsi, litigare, far pace, superare i propri limiti, te cuore zero... ma come si fa? Qualcuno ci riesce? Qualcuno sa farlo davvero? L'equilibrio perfetto è impossibile, solo i funamboli possono trovarlo, io non lo sono!
Ne parlo con un'amica psicologa, le spiego il mio punto di vista: che voglio insegnare il più possibile ai miei studenti, ma temo di influenzarli troppo, ho il terrore di plagiarli. E lei mi risponde una roba molto da psicologa, ma stupenda (perché è mia amica) e molto rassicurante: "lalla, ma te mica li conduci nella droga o li spingi a lasciarsi andare! Tu li esorti a scegliere la propria strada con coraggio, a impegnarsi per realizzare i propri sogni, a migliorarsi, a dare il massimo. Tu li fai sentire visti forse per la prima volta... stai tranquilla, non è un male e non preoccuparti: chi viene affascinato dalla persona che sei, lo fa perché è sulla tua stessa lunghezza d'onda, lo fa perché già ti assomiglia, mentalmente e empaticamente siete vicini. Non li conduci mai dove vuoi tu, ma dove sentono di voler andare".
E speriamo sia vero, via...
Per fortuna ci sono gli altri, non sono sola, siamo 9 insegnanti nel Consiglio di Classe, i ragazzi hanno a disposizione un ventaglio completo (come quello che gli proporrà poi la vita): il buono, il distaccato, l'empatico, il severo... ci compensiamo a vicenda, la responsabilità non ricade solo su di me. Meno male.


Insomma.

Succede che tanti altri studenti (Greta, Federico, Elena, Francesca, Giulia... scusate, adesso non posso elencarvi tutti, ma sapete che sto parlando di voi) ogni tanto mi abbiano contattato per raccontarmi quello che fanno, mi abbiano chiesto un consiglio, un piccolo aiuto oppure mi abbiano fatto un saluto (per farmi sapere che pensano ancora a me e per scoprire se io ho ancora voglia di ascoltarli). Quando succede, mi fa tanto piacere sentirli, li vedo inseguire i propri sogni (la fotografia, un blog sulla moda, lo sport...), li vedo laurearsi (in medicina, architettura...) li vedo innamorarsi, li vedo diventare genitori, li vedo in viaggio, hanno tanta strada davanti e tanta voglia di fare!

E poi.
Succede che pochi giorni fa in una classe siano tutti ansiosi e si lamentino per il troppo carico di studio e un compito che li aspetta. Io gli dico che li capisco, so che è dura, ma le verifiche vanno fatte: servono soprattutto a loro, per crescere, per capire se stanno studiando e apprendendo nel modo giusto e quando le valutano i professori devono cercare di essere giusti, non buoni... poi faccio una battuta sugli accidenti che sicuramente mi tirano ogni volta che sono a disegnare oppure quando esco di classe dopo avergli restituito le tavole valutate! E una studentessa mi risponde subito: "Ma figuriamoci Prof! Lei è diversa: ci da solo dei voti, lei non ci giudica". E questa, detta così, con leggerezza, è una delle cose più belle che mi siano mai state dette, ma spero che i ragazzi si stiano sbagliando e che valga anche per tutti gli altri prof.

Infine.
Succede che ieri sera mi scriva Niccolò, dopo tanto, tantissimo tempo. Niccolò era uno studente che studiava poco e che sembrava farsi scorrere tutto sulle spalle, che sembrava vivere solo di leggerezza e in superficie. Sembrava agli altri così, non a me. A me piaceva un sacco e sono certa che molto del clima delizioso che si respirava in classe fosse merito suo. Niccolò mi scrive per farmi gli auguri di Natale, per complimentarsi delle mie pitture, per dirmi che non avrebbe mai potuto desiderare un'insegnante di St.Arte migliore di me e che non mi dimenticherà mai.
Nemmeno io lo farò, ma non lo so, non credo di meritare tanta riconoscenza solo per aver tentato di fare bene il mio mestiere. Anche volendo mettere per un attimo da parte la questione affascino/non affascino, io ce la metto tutta, è vero, ma faccio tanti errori, ho tanti limiti. Fatico a imparare i loro nomi, faccio confusione con le date, con le nozioni. Delle volte sono stanca e non gestisco la lezione con l'energia giusta, spesso e volentieri sono di fretta. Qualche volta mi ammalo (sentendomi in colpa). Io col cavolo che "faccio troppo" come alcuni mi dicono! Nessuno di noi insegnanti fa troppo, non sarà mai troppo, né abbastanza, quello che facciamo per gli studenti.


Però. 

È Natale cavolo!
Allora solo per una volta voglio pensare che sia tutto vero: che l'incontro con queste classi speciali (e con tantissimi altri studenti singoli) sia stata una fortuna per loro e non solo per me, che sia riuscita a fargli del bene (e meno danni possibili). Per una volta me ne sto zitta, smetto di pensare che di certo ho sbagliato e sto sbagliando un sacco di cose e me li prendo questi auguri, mi prendo tutta questa gratitudine, questi pensieri, questi ricordi, queste speranze, me li prendo e me li tengo stretti, non c'è regalo più grande!
Ragazzi miei, questo post è per voi. Spero di essere stata davvero una brava insegnante, io c'ho provato (e continuerò a provarci). Quello che in questi anni voi mi avete dato, ciò che voi avete insegnato a me, è molto più di quello che io ho fatto per voi.
Grazie.
Grazie per avermi ascoltata anche se avreste voluto starvene da tutt'altra parte invece che a scuola, grazie per esservi spaccati la schiena sulle tavole, grazie per esservi fatti venire la tendinite a forza di scrivere appunti,
grazie per aver creduto in voi stessi e un po' anche in me, grazie per aver reso le ore passate insieme così liete e di non averle dimenticate.
Trascorrete uno splendido Natale accanto alle persone che amate (senza studiare o lavorare, mi raccomando, lo sapete come la penso: sgobbate come muli tutti i giorni, ma in vacanza fate vacanza) e poi ripartite, andate avanti così e conquistate il mondo!


lalla

P.S. A onor del vero, anche.
Succede che la settimana scorsa, parlando del suo futuro con uno studente appassionato di Storia dell'Arte, questo mi dica che vorrebbe continuare a studiarla, ma non certo "finire" a fare l'insegnante di liceo: "non so proprio lei come faccia, con un sacco di gente che non gliene frega nulla" e "comunque non ci penso proprio a cosa farò da grande, anzi, spero di morire prima dei 40 anni, non ne vale proprio la pena di vivere oltre". Perciò insomma, al di là della drammatica teatralità, in due frasi prima mi ha dato della fallita e poi della vecchia decrepita che non merita di vivere.
Non me la sono presa (lui è uno di quelli che mi ascolta), poi vabbè, in classe è una Diva e si esprime sempre in quel modo un po' bischero di chi vuol fare il grosso, il superiore, il distaccato... sarà vero, a me non sembra.
C'è di peggio: ci sono i furbini, quelli smaliziati, quelli che non gliene frega nulla davvero, che sotto sotto ti guardano strafottenti e ti sfidano, quelli capaci di trascinare in basso una classe intera... con loro insisterò fino a perderci il sonno, non li mollo porca miseria. Non è detto che alla fine non riesca a trovare una chiave, non è detto che non cambino rotta, che non si rendano conto che io non mi arrendo e che sono lì per loro. Se riuscissi ad arrivare a uno soltanto di questi leader in negativo, so che potrei guadagnarmi un'altra "classe dell'amore".

P.P.S.S. Ecco, ragazzini dell'Internazionale, magari avete letto questo post e io, cretina, vi ho suggerito un'idea malsana... non vi provate a bucarmi le ruote della bici!!! Ho una rete di spionaggio infallibile e vi beccherei di sicuro.

4 anni fa, con frangetta (e banana di pezza proiettata in testa) mentre spiego "il Perseo" di Benvenuto Cellini.
il mio regalo di gennaio per tutte le classi: un mese di Disegno Ornato.
In questa foto due ragazze di prima: riporto della figura in scala e chiaroscuro in un'unica direzione.

E subito dopo essersi rilassati col chiaroscuso... l'argomento più odiato di tutto il quinquennio:
le Proiezioni Ortoganili della retta generica!


venerdì 16 novembre 2018

io la penso come Masaccio

Giorni fa ho scritto un post che parlava del passato, di molte cose che mi hanno fatto soffrire, e magari non sono stata abbastanza bella/allegra/rassicurante/positiva.
Una persona dall’animo giusto e gentile ci è rimasta male, a me dispiace perché probabilmente l’ho molto rattristata e così (animata dalle migliori intenzioni) mi ha scritto: "ormai le persone intelligenti hanno capito com’è andata, a questo punto sarebbe bello che tu non scrivessi più di lui, sarebbe bello che scrivessi solo di altro”.
Ed ha ragione: sarebbe bello, ma non sarebbe vero. Perché gli altri avranno pure capito, ma io forse ancora no, non del tutto, non in tutti i momenti, non sempre.
E' un grafico sinuoso che ogni tanto ha delle ricadute verso il basso, ma tranquilli: il trend è molto positivo.
Il tempo passa e io riesco a essere sempre più distaccata, però non sono in grado di dire se lo sarò mai completamente e forse mi va bene così: infondo per riuscire ad anestetizzare completamente i miei sentimenti su ciò che è stato, sarei costretta a farlo su metà della mia vita. Io non voglio questo, ho bisogno di mantenere fino infondo il contatto con quello che ho provato e con quello che provo. Non mi voglio anestetizzare.
Quindi la verità è questa: io non sono sempre bella/allegra/rassicurante/positiva.
Fidatevi che lo sono parecchio, ma non in ogni singolo minuto secondo di ogni singolo giorno.
Ogni tanto quello che sento non è bello. Non è bello, ma io lo sento lo stesso e non me ne vergogno.
Non capirò mai perché invece gli altri se ne vergognino e se ne dispiacciano così tanto, non solo delle proprie fragilità, ma soprattutto delle mie.
Bè, sono io effettivamente a tirarli dentro alla mia vita perché sono una che rompe: che non se ne sta zitta a gioire/patire in un angolo, sono una che racconta, che analizza, che condivide (soprattutto con la scrittura e la pittura, ma anche con le chiacchiere).
Ultimamente mi è venuto di pensare alle cose che faccio, voglio dire: volendola considerare nel suo complesso, esiste un senso, un nesso comune, nella mia produzione?
A chi legge, a chi guarda, a chi mi conosce, che tipo di messaggio arriva?

Ogni anno nelle terze, a ottobre, spiego Masaccio.
Firenze, primi del '400.
Masaccio non piacque molto ai suoi contemporanei, in quel periodo i ricchi committenti preferivano l’elegante e raffinato Gotico Cortese, solo il trascorrere del tempo e il revisionismo della Storia dell’Arte lo hanno reso accettabile al gusto (sempre ammesso che ai più anche oggi possa piacere).
E' il pittore dell’Umanesimo per eccellenza, il solo della sua epoca ad aver avuto il coraggio di mettere davvero al centro dell’universo l’uomo (o meglio, soprattutto la donna) e di averne elevato ciascuna caratteristica fisica (bella o brutta) e ciascuna emozione (bella o brutta) nella dignità di essere rappresentata, solo e soltanto per il solo fatto di essere umana.
Nella “Cacciata dal Paradiso Terrestre” della Cappella Brancacci la luce reale della finestra concretizza i corpi dei progenitori e crea ombre portate ancorandoli a terra, facendoli scendere dal paradiso nel mondo della materia, della polvere, del dolore, della fatica, del sudore e del sangue, del reale. Adamo si copre il volto disperato, ma è ancora anatomicamente armonioso, invece Eva è addirittura deforme, sgraziata nel corpo e devasta dallo shock emotivo, il volto è trasfigurato dalla disperazione: gli occhi trasformati in fosse scure e la bocca in una voragine che grida. Ha tutte le ragioni del mondo per lasciarsi andare allo scoramento, povera donna, ripudiata dal padre, condannata alla morte e al supplizio umano ("tu donna partorirai con dolore", a proposito, grazie Dio: ci sono passata, non è uno scherzo), sentendosi pure in colpa e piena di vergogna per aver suggerito a quell'altro fesso di assaggiare un frutto (ora, va bene rispettare le leggi, ma quelle cretine  e che limitano la conoscenza e l'indipendenza del pensiero umano, anche no). Eva non è classicamente bella, ma è straziante e vera, come solo le donne possono essere.


E vabbè, penserete, Eva è una peccatrice: quello che Masaccio voleva dirci non è questo, ma che la sua bruttezza esteriore è l’impronta visiva del suo peccato.
E allora la coeva Eva peccatrice del goticheggiante Masolino che le sta di fronte? Tutta elegante e raffinata?
E se ancora non siete convinti spostiamoci in Santa Maria Novella, a guardare la "Trinità" e soprattutto Maria, unico essere vivente venuto al mondo senza peccato originale (una donna, nota bene): il suo viso è incredibile.
Ci vuole un coraggio pazzesco per sottoporre una Madonna alle leggi della prospettiva matematica codificata dall’ingegno umano, per rappresentarla non bella e vecchia, una madre vera che mostra al mondo il sacrificio del figlio e che manifesta sul proprio volto un dolore lancinante (eppure non gridato), ma accettato e raccontato con dignità e fierezza. 

Masaccio è il mio eroe, ma credo che abbia potuto fare tutto questo con Maria perché si trattava di una donna (non penso che i suoi committenti gli avrebbero concesso di farlo con Cristo) oppure i suoi affreschi non solo sarebbero piaciuti poco, li avrebbero proprio presi a picconate.
Un altro parecchio coraggioso era Donatello, lui ha ustionato la pelle e scarnificato il corpo della sua "Maddalena Penitente" , inoltre ha provato a umanizzare anche un Cristo crocifisso, ma l’ex-amico Brunelleschi lo criticò dicendo che era troppo rozzo e sembrava “un contadino”. Vabbè, Gesù non era figlio di un contadino, ma di un falegname, non ci vedo una grande differenza. A dire il vero, credo che non ce la vedesse neanche Brunelleschi (ce l’aveva anche lui tanto coraggio: è stato in grado di far crescere su Firenze un fungo gigante autoportante, un segno violento che ogni giorno ricorda ai fiorentini l'arditezza del suo ingegno e mostra all’esterno, spavaldo, il materiale povero con cui è costruito), solo che lui c’aveva litigato di brutto con Donatello e si sa che il rancore è una brutta bestia.
E insomma questi tre moschettieri dell’Umanesimo, col loro caratteraccio, la loro intelligenza e il loro coraggio, hanno inventato il Rinascimento.
Masaccio è stato il meno fortunato, è morto "per veleno" a soli 27 anni, rimanendo piuttosto incompreso. Senza i pittori mediatori (Beato Angelico, Paolo Uccello, Filippo Lippi...) che seppero fondere le novità rinascimentali con l'eleganza e la ricchezza gotica, che seppero ricondurre le figure all'idealizzazione e alla bellezza classica, il Rinascimento sarebbe morto con lui.
Perché tutti la pensano come i ricchi committenti di allora (solitamente anche i miei studenti) e preferiscono immagini belle ed eleganti.

E invece io la penso come Masaccio.
Io penso che il proverbio "i panni sporchi vanno lavati in casa" sia il più brutto del mondo, che in effetti vanno per forza lavati in casa perché in strada non abbiamo la lavatrice, ma una volta lavati vanno stesi fuori senza vergogna, che tutti li vedano a prendere il sole e l'aria fresca, perché solo così torneranno puliti.
Io spero di possedere una briciola dell'intensità e del coraggio di Masaccio e di usarle nella mia scrittura, nella mia pittura, nella mia vita, per raccontare la verità di quella che sono e di quello che sento, nel bene, nel male e persino nell'assurdo.
Io non sono perfetta, io non sono infallibile, io non sono conforme, io non sono sempre bella, ma va bene così: io sono un essere umano coerente a me stessa e tanto basta.
Questo vorrei insegnare ai miei studenti e ai miei figli, questo mi piacerebbe comunicare a tutti coloro che vorranno ascoltarmi: che non c'è vergogna nel provare paura, rabbia o sofferenza oppure nel risultare esuberanti, giocosi e chiassosi, che non c'è vergogna nel sentirsi particolari ed estranei, nell'avere le proprie idee e nel cercare di difenderle e di affermarle con coraggio. L'unica vergogna è mentire (a se stessi e agli altri), l'unico vero sbaglio è nascondersi dietro una bella maschera. Perciò non lo fate, siate sinceri e veri.

lalla
 

P.S. Ovviamente i miei figli e i miei studenti non mi hanno mai visto come Eva, non mi hanno mai visto imprecare, piangere o gridare disperata, ma per carità! Il mio compito non è certo quello di traumatizzarli, ci pensa già abbastanza la vita. Inoltre, anche volendo, non ho mai pensato di somigliarle molto (me la immagino molto più ribelle, gatta morta e umorale di me).
Non vi pare che io somigli di più alla dolce, all'apparenza mite, ma in verità non meno determinata e disobbediente Maria? Non sono certo immacolata, ma come lei ho deciso di affrontare la vita e il mondo: trasparente, dignitosa e fiera.

"Autoritratto con sciarpa di seta", 2012, particolare.
L'ho dipinto pochi giorni dopo aver subito un raschiamento in seguito all'ennesimo aborto spontaneo.

venerdì 9 novembre 2018

la testata stregata, i film, le facce, la gente, le cacche di cane e i fiori

Questo post è troppo lungo e parla di cose del passato, non lo leggete, è meglio.
Fosse per me, manco l’avrei voluto scrivere.
Io vivo nel presente e vorrei parlare solo di quello.
Ma vivo in una casa piena di oggetti che mi parlano, l’80% vengono da una storia antica, quindi di quella amano conversare. In questi due anni ho buttato via un po’ di roba, troppo poca per i miei gusti. E’ difficile: io vorrei far tacere tutte queste voci, ma Elia ha il diritto di sentirle, ha il diritto di ricordare, non potevo mettergli a soqquadro la casa da un giorno all’altro. Ci aveva già pensato qualcun altro a mettergli a soqquadro la vita, da un giorno all’altro.
E allora con tutta questa matassa di oggetti ci convivo, però insomma, quando uno di loro urla troppo forte e al secondo richiamo non si cheta, lo butto via. Un oggetto alla volta, pian piano e senza fretta sto “detheizzando” la casa e la mia vita.
Uno di questi oggetti parlanti è la mia testata del letto, la sua è una lunga storia.
Davvero troppo lunga, andate a farvi un giro.

Un antefatto: ci siete mai entrati nel temibile “tunnel della sfiga”? Tipo che di punto in bianco ti tocca tutta una serie di fregature senza soluzione di continuità? Che poi tu sei pure una bella tosta e sicché non è che ti abbatti alla prima sfiga, e nemmeno alla seconda, e nemmeno alla terza, e manco te ne stai lì come un’ameba a prender schiaffi, reagisci ogni volta, ogni volta rialzi la testa, ogni volta smetti di pensare al passato, a quello che è stato e ti riaffacci ottimista verso il futuro. Ogni volta pensando “dalle ceneri delle brutte esperienze si rinasce arricchite e meglio di prima”, ma purtroppo non sei la Fenice e soprattutto, ancora non l’hai capito, ma sei entrata nel “tunnel della sfiga” e da lì manco la Fenice sarebbe uscita incolume. C’è poco da fare: non dipende da te (da come sei o da come ti comporti), qualunque cosa tu faccia non sei padrona del tuo destino: pian piano precipiterai dalla padella nella brace, sui fornelli, nel tostapane, infine nel micro-onde e meno male che in casa non hai il forno a legna di Hansel e Gretel, altrimenti pure lì!
Insomma, voi mai? Io invece sì.



Cominciamo: come detto nel post precedente, dopo un anno passato ad abituarmi all’idea che il mio babbo e la mia famiglia tutta fossero ammalati e mutilati nel corpo e nello spirito, mi stavo affacciando al 2008/2009 desiderosa di voltare pagina e piena di belle speranze. Bè, chi visse sperando…
Non è stato solo un anno peggiore quello che mi aspettava, ma pure bastardo perché all’inizio faceva ben sperare: il babbo andava benino, io avevo questo giocattolo nuovo del blog che mi entusiasmava e anche il Re dei Sugolini, che alla materna palesava un po’ di problemi di socializzazione, ormai aveva legato con i compagni e sembrava molto più tranquillo. Suvvia, un bel periodo e andiamo che splende il sole: spieghiamo le vele verso il mare aperto… e infiliamoci in una tempesta!
Talmente mi ero fatta prendere dalla corrente positivista che un giorno a pranzo eravamo solo io e quel tipo che amavo e (nonostante le terribili disavventure registrate durante la gravidanza di Elia e la sua/mia quasi morte al momento del parto) ebbi un’idea malsana: avere un altro bambino, anzi: essendo in vena di sognare, meglio se una bambina e l’avrei chiamata Emma. Bel film mi ero girata, vero? A fine pasto lo comunicai al tipo tutta giuliva, a quello non parve il vero, andammo in camera e rimasi incinta. Maledetti ormoni traditori, sono stati loro a parlare quel giorno, ne sono certa, non il mio cervello!
Comunque, io sono un po’ streghetta e iniziai a dipingere un grande legno di compensato trovato a un cassonetto (ganza l’idea di riabilitare un oggetto rifiutato e gettato nella spazzatura, avete mai sentito parlare della storia della cacca di cane da cui nascono fiori? Ve la spiego dopo). Volevo creare una testata del letto fatata, sarebbe stata la nostra ninna nanna, ogni sera e ogni mattina ci avrebbe raccontato quell’amore infino che provavamo l’una per l’altro, quello stato di grazia, quell’abbandono totale alla positività, quel brivido meraviglioso che si prova tuffandosi nel vuoto e nello stesso tempo sentendosi sicuri, quella condivisione, quel sogno che ci stava cullando (lo so, lo so: romantico da procurare il diabete, che volete che vi dica? Era pur sempre un bel film!).
Cavolo, se ci ripenso, incredibile con quale cieco ottimismo mi stessi buttando nel fuoco! Un po’ mi ero fatta fuorviare dalle solite frasi cretine che tutti ripetevano sempre: “ogni gravidanza è diversa dalle altre” “vedrai che questa sarà una passeggiata rispetto alla gravidanza di Elia” “finalmente avrai l’occasione per goderti questa esperienza” “una donna incinta non è una donna malata, anzi: è in stato di grazia!” “la seconda volta il parto è una passeggiata”…

Niente è andato come pensavo e guardate che in gravidanza si pensano un po’ tutte, bellissime o pessime, ma niente, neanche vicina ci sono andata, neanche quando la pensavo bruttissima e temevo di ripetere l’esperienza precedente (giravo un sacco di film, ma quelli dell’orrore no!). A parte le nausee che cominciarono a torturarmi, a parte il fegato che andò subito in tilt, a parte le contrazioni che dal quarto mese mi costrinsero a riposo: tutto questo lo avevo messo in conto, ma per il resto niente, niente è andato come pensavo. Intanto il tipo cominciò a comportarsi in modo un po’ strano, non sembrava molto coinvolto, non voleva “perdere tempo” per accompagnarmi alle ecografie “Viste quelle di un figlio le hai viste tutte, non puoi farti accompagnare dalla tua mamma? A che serve che venga anch’io? Andrà tutto bene, sei tu che sei troppo ansiosa!”.
Adesso, col senno di poi, potrei dire: “troppo ansiosa una s… non mi fate parlare! Troppo scema a tenermi accanto uno del genere!”. Ma allora, chi ci capiva più niente, se mi sentivo un po’ trascurata davo la colpa ai miei ormoni, e invece quelli, poverini, questa volta si stavano comportando proprio bene.
La testata del letto mi sussurrava cose strane, che mi tornavano poco, e io smisi di dipingerla, l’odore dei colori mi dava la nausea e non ce la facevo a tenere le braccia alzate, mi stancavo troppo.
Poi le nausee allentarono la presa e io ripresi la pittura riuscendo a finire, però ve lo confesso: la parte sinistra (quella che conteneva il tipo) non mi ha mai soddisfatto del tutto, mi sembrava un po’ meccanica e ripetitiva (anche negli arabeschi cromatici dello sfondo), la verità è che l’avevo dipinta cercando di tenerla in silenzio e non era più del tutto  sincera.
La gravidanza è continuata piuttosto bene fino al quinto mese e io, anche se un po’ delusa dalle noie fisiche e dal contorno un po’ freddino, continuavo a gustarmi il mio sogno e la mia positività. Fino all’ecografia morfologica. Quel giorno il tipo mi accompagnò (era curioso di scoprire il sesso) e non era solo, brutti dementi irresponsabili: portammo con noi anche il Re dei Sugolini a “conoscere” la new-entry. Sembrava davvero meritarselo, lui che invece era già troppo coinvolto e non faceva altro che disegnare patate con occhi e ciglia dicendo che era il ritratto di “Emmolina”, la sua sorellina nella pancia della mamma!
Stavano scherzando di questo (del fatto che il fratello avesse o meno indovinato il sesso) i tre maschi attorno a me, mentre il Dottore mi preparava all’esame bagnandomi la pancia col gel.
Ed eccoci arrivati, del tutto sconsideratamente, al momento topico.
Ogni volta che nella mia vita c’è stata una deviazione repentina e inarrestabile io l’ho vista scritta in una faccia. Cioè: da una singola espressione ho capito tutto quello che sarebbe successo dopo. Gli altri intorno a me no, non so come hanno fatto, ma non si sono mai accorti di niente, hanno lasciato scorrere le proprie vite nell’inconsapevolezza. Eppure erano così chiare quelle facce, così violente! Come hanno fatto gli altri a non vederle? Come hanno fatto a non riconoscere quelle porte spalancate su un baratro?
Nel momento preciso in cui io le ho individuate, ho anche sentito con assoluta certezza che mi ci avevano già spinto dentro e che non sarei mai più potuta tornare indietro. Quelle facce mi si sono stampate nel cervello.
Una di queste facce, che purtroppo rimarrà sempre con me, è quella che, per una brevissima frazione di secondo, trasfigurò il dottore che mi stava facendo l’ecografia morfologica. Quella faccia, inaspettata e inappellabile poteva avere un solo significato possibile: “c’è qualcosa di gravissimo. Fine del sogno e della positività”. Fine del film.
“Dottore, cosa c’è che non va?”
E lui, stizzito, sentendosi colto in fallo: “ma niente Signora, è solo che si muove, non riesco ad avere una buona visione del cranio” e cambiando discorso, vigliaccamente: “ha ragione il piccolo Elia: è una femmina, è Emmolina”. A quel punto poteva proprio risparmiarselo di farci sapere il sesso.
Poi, prima di uscire, mi fece sedere e vuotò il sacco.
Ora, non è la sede per spiegare cosa avesse il mio feto: in poche parole il cervello non andava bene, ma non era una diagnosi certa, potevamo sperare in un ritardo evolutivo.
Io odio l’incertezza, non c’è niente di peggio del non sapere e del non capire. I parametri per interrompere la gravidanza c’erano tutti, a livello legale, ma io volevo e pretendevo la chiarezza necessaria che mi consentisse di fare una scelta (giusta per noi e giusta per lei).
In Italia i tempi erano strettissimi (la legge sull’ITG fa schifo, non concede i tempi per gli accertamenti necessari), nessuno poteva dirci davvero come stessero le cose, capii subito che solo un elemento avrebbe potuto chiarire la situazione: il tempo. Per fortuna al confine con l’Italia c’è la Francia e così ho potuto concederglielo, come avrei potuto fare altrimenti? Ai figli tutto si concede. Mi sono resa conto che forse quella sarebbe stata l’unica cosa che avrei mai potuto fare per mia figlia: non farmi prendere dal panico e darle tutto il tempo di cui aveva bisogno. Io non lo so come fanno le altre donne, io sono per lasciare la libertà di scelta a tutte, ma nel mio caso, per come sono fatta io, non avrei mai potuto prendere così alla leggera una decisione tanto irreparabile, farlo così, a caso, mi sembrava un’ingiustizia terribile. Mi sono sottoposta ad analisi in Italia e all’estero, abbiamo ascoltato molti esperti e fatto consulti di ogni genere.
Il tipo accanto a me aveva ripreso interesse, anzi era tutto infervorato, traduceva testi di medicina alle due del mattino, non ne sono certa ma penso che avesse imbastito una specie di battaglia personale per dimostrare che la bambina fosse sana. Ho resistito un altro mese, l’ho fatto per lei e ne sono fiera, ne valeva la pena, anche se era terribilmente triste sentirla scalciare e “sopportare” i complimenti al mio pancione o gli sguardi dei passanti.

Lei mi ha ripagato: alla fine mi ha dato una certezza, certo non era quella che avrei desiderato sentirmi dare, ma almeno mi ha accompagnato nella strada che ho bovuto percorrere. É peggiorata drasticamente, le deformazioni si sono propagate, praticamente metà del cervello si è riempito d'acqua, i lineamenti del volto sono scesi, il cranio si è aperto in due: basta.
Per il bene di Elia, per il bene mio e anche per il suo: basta. Per il bene del tipo non posso dirlo perché mi pare che da quel momento in poi abbia iniziato a sbroccare.
Il 29 luglio 2009, nel giorno del quarto compleanno di Elia, ho partorito a Nizza una piccola salma e ho impedito a quella creatura innocente di proseguire il suo percorso di dolore. L’ho partorita da sola perché il tipo se n’è andato (col solito senno di poi, in quel momento, senza preavviso e senza un saluto, mi ha lasciato la mano, è uscito da quella stanza e dalla mia vita, non c’è mai più rientrato veramente), mi ha lasciato sola tra le lacrime a spingere, circondata da estranei che parlavano una lingua per me incomprensibile. Aveva di nuovo perso interesse, d’altronde visto nascere un figlio (vivo) li hai visti tutti, giusto? Non valeva certo la pena restare e guardar nascere una figlia (morta). Solo le cose nuove, facili e piacevoli valevano la pena di essere vissute. Sì, lo so cosa pensate del tipo, ora lo so anch’io, ma prima no, prima non sapevo niente. Ci rimasi malissimo, ma trovai il modo di scusarlo, pensai solo che non ce l’avesse fatta.
Io invece dovevo farcela per forza. Non vale la pena solo di fare le cose più piacevoli o più facili, vale veramente la pena di fare solo una cosa: quella giusta. E io l’ho fatta da sola. Non è stata una passeggiata di salute, ma l’ho fatta, senza rimorsi: non è colpa di nessuno se quella creatura stava così male, siamo animali, è la nostra natura, sono cose che possono succedere e bisogna farsene una ragione.
Però insomma, un bell’annetto leggero, vero?

Ed eccoci a settembre e al nuovo anno: 2009/2010. 
Elia è caduto nel sonno dal letto (in vita sua è caduto due sole volte) e si è spezzato la clavicola, l’ho accudito tre settimane, una volta rientrato alla materna, ha preso l’influenza, che culo.
Dalla scuola, per l’incarico annuale, la chiamata tardava ad arrivare. Alla fine quell’anno mi toccarono solo 2h.
Con 2h di insegnamento a settimana se mi avessero chiesto “che lavoro fai?” avrei potuto ancora definirmi “insegnante”? Con 2h a settimana non si campa e non ci si sente stanchi e realizzati. Stressati sì, pure di più che con l’orario pieno.
Che potevo fare, stare a piangermi addosso perché io sono una brava insegnante e tutto questo era ingiusto? Ma per carità! Come al solito: nella vita si va avanti e ci si adatta, ancora e ancora… (che donna, anche i film dei supereroi mi sono sempre riusciti benissimo).
Mi concessi di dedicarmi ancora di più alla pittura e magari farla diventare un lavoro. Non facevo niente di male infondo, era la scuola (il “lavoro ufficiale”) ad avermi tenuto in sospeso e allontanato, quindi ero del tutto giustificata a dedicarmi ad altro (si trattava di adattamento appunto, non di tradimento) e il mio maledetto senso del dovere, per una volta, mi lasciò in pace.
Cominciavano ad essere una bella pila di sfighe a cui dover reagire: alla malattia del mio babbo, alla gravidanza andata male, alla semi-disoccupazione, alla sensazione di fallimento… tutti intorno a me a raccontarmi la storia che “finalmente avevo del tempo per me”, “adesso sì che avrei potuto seguire la mia strada e le mie passioni”, “finalmente sarei stata davvero me stessa” e magari “avrei venduto i miei quadri e avrei avuto un grande successo”, “ma che fortuna essere rimasta senza lavoro!” (“che fortuna aver perso la bambina” no, fino a quel punto non ci era arrivato nessuno, tranne il tipo, lui pure quello mi ha detto, nel 2016, mai dire mai).
E comunque: che palle tutte queste frasi fatte del cavolo.
La gente vorrebbe che ce le raccontassimo ogni volta che la prendiamo in tasca, ogni volta che prendiamo una sberla, di quelle forti da spostarti la mandibola, ma sono solo cazzate!
Diciamo, più onestamente, che, nonostante le sberle ripetute e nonostante tu sia entrata nel “tunnel della sfiga”, in qualche modo si va avanti, ci si adatta e ci si reinventa.
Ecco, adesso ve lo spiego: non è che da una cacca di cane deve per forza nascere un fiore, cioè magari il cane aveva mangiato proprio acido e ha diserbato per bene il terreno, oppure ci nasce un po’ d’erba stentarella, o (passato il tempo debito) ci nasce la stessa identica erba di prima (che infondo siamo fatti come siamo fatti e se io di lavoro facevo l’insegnate e non la pittrice voleva dire che per lavoro avevo scelto di fare l’insegnate e non la pittrice e infatti dopo 8 anni faccio di nuovo l’insegnate e, per diletto, la pittrice)…che non se la prenda nessuno a male: il fiore può darsi che nasca comunque, 10 cm più in là, e assai probabilmente sarebbe nato pure senza la cacca di cane!
Comunque, la testata del letto (quella dipinta col film del nostro amore) parlava forte, protestava e mi dava fastidio, non riuscivo più a guardarla, non so, forse l’avevo stregata davvero, non ce la volevo in camera. E’ rimasta molti mesi nello studio in attesa di una cornice.
In agosto mi erano pure iniziate le coliche d’aria allo stomaco e la gente a dire “vedrai che è per quello che ti è successo” “saranno crisi psicosomatiche” “sarà per il dolore mentale che provi a causa dell’ITG, ma che non esprimi abbastanza, per questo il tuo corpo ti fa stare male fisicamente”… Ah, sì? E datemi uno psicofarmaco allora! Ma io che la stavo a sentire a fare “la gente”? Guarda: da una parte meno male che adesso (dopo che sono stata piantata) non mi caca più nessuno!
Altro che psico-balle: era la cistifellea piena di sabbia, la gravidanza aveva appesantito tutto il mio sistema epatico (già malridotto di suo), a ottobre mi sono operata e me l’hanno tolta: fine delle coliche (e delle cazzate psicosomatiche).
Appena rimessa iniziai a dipingere con maggiore impegno e dedizione, mi sbilanciai anche con investimenti economici (non è il momento, ma prima o poi un bel post su quelle sanguisughe dei galleristi ci starebbe proprio bene!) e insomma in quell’autunno cercai di trasformare in professione qualcosa che non lo era mai stato e guarda caso non lo è diventato mai. Non ho avuto successo proprio per niente, ho continuato a vendere sempre pochissimo e meno male che la scuola ha avuto di nuovo bisogno di me o sarei alla fame.
I mesi passarono, arrivò l’autopsia della piccola salma da Nizza, malformazioni molto gravi e anomalie cromosomiche (non la solita “famigerata” trisomia conosciuta da tutti, siamo tipi un po’ speciali, anche nei malanni).
Abbiamo fatto degli accertamenti, anche su di noi. Una volta conosciuto il nemico, col permesso del mio epatologo e della nostra genetista, ho deciso di riprovarci. Il tipo diceva di amarmi e di desiderare tantissimo un altro figlio, io avrei fatto qualsiasi cosa per cercare di renderlo felice e di farlo rientrare veramente nella nostra vita (nel nostro quadro). Sì, certo, ora lo so: il suo non era un desiderio d’amore, probabilmente aveva già smesso di amarmi perché io mi ero macchiata, ero colpevole di aver partecipato ad eventi imperfetti; il suo era solo un desiderio di rivalsa: voleva dimostrare di poter avere un altro figlio sano.
Ma non ho rimorsi, non ho deciso solo per lui: anche io desideravo un altro figlio, ero stata io quel giorno a chiedere il secondo e la mia gravidanza iniziata non era mai finita. Ero ancora psicologicamente incinta, rimasta in attesa di qualcuno che non era arrivato mai.
Questo nuovo progetto mi riagganciò al vecchio sogno, d’un tratto quello che la testata del letto mi raccontava sembrò di nuovo possibile, sincero e giusto, costruii una cornice e la appesi al suo posto.
Ricominciai a girare il mio film, ma ben presto mi accorsi che costava troppo.
Era diventato un salasso psicologico e fisico: dopo pochi mesi un nuovo aborto spontaneo (OK, può capitare), poi un altro (succede), poi un altro ancora (ma perché?) e ancora uno (dopo che gli avevo già visto battere il cuore in ecografia): basta.
Per il bene di Elia e per il mio bene: basta.
Vorrei dire per il nostro bene, cioè anche del tipo, ma non posso dirlo perché mi pare che per lui quegli aborti non significassero niente “ma che vuoi che sia, dopo quello che è successo a Nizza?”, per me invece significavano tutto e rischiavano di distruggermi. Lui avrebbe continuato a provare in eterno (d'altronde il corpo era il mio, l’anima pure evidentemente, che gli costava?). Una decisione del genere, da parte mia, era imperdonabile perché a quel punto gli fu chiaro: era solo colpa mia se lui non poteva avere un secondo figlio sano e dimostrare di essere perfetto.
E infatti, non me lo lasciò fare: dopo qualche mese di silenzio, una sera d’agosto, senza il mio consenso, mi mise incinta.


Cavolo, che anno difficile il 2015/2016!
Il tipo era di nuovo tutto infervorato, lui che finalmente aveva preso in mano il proprio destino e dimostrato di poter fare del mio corpo quel che voleva. Non ho più voglia di raccontare, non posso ricordare di nuovo come mi abbia fatta sentire in gravidanza (inadeguata e colpevole dei fallimenti precedenti), di come mi abbia umiliato ogni giorno di più e spinto verso il punto di rottura. La testata del letto, non ce la facevo più neanche a guardarla, non sopportavo come se ne stesse appesa lì, a ricordarmi di quanto mi fossi sbagliata e a compatirmi.
Non capivo dove il tipo volesse arrivare (lo voleva o no questo nuovo figlio?), non lo riconoscevo più (altro che film romantico), ero terrorizzata dalla sua freddezza e dal suo distacco, ma ormai io non potevo lasciarmi schiacciare, non potevo cedere, non adesso che finalmente, dopo ben 5 anni, nella pancia portavo di nuovo una piccola bambina e accanto a me avevo Elia, la persona più importante della mia vita. E infatti non ho ceduto mai, ho continuato a prendermi cura di entrambi i miei figli (quello fuori e quello dentro di me) e ho pure vinto un concorso scolastico, sostenendo l’orale al nono mese di gravidanza.
Invece fu lui a crollare, a un mese dal parto, mi chiese scusa in 1000 modi diversi, pianse tra le mie braccia per i successivi quattro mesi, era di nuovo così empatico e dolce, io l’ho scusato ancora (l’amore rende stupidi, il mio era infinito e veramente demente: non aspettava altro che lui tornasse da me).
Il parto di Matilde, per inciso, è stato terribile. “Ogni gravidanza è diversa”… Sì, certo, infatti ogni mia gravidanza è stata peggiore. Ero arrivata a termine, positiva allo streptococco, una mattina sono cominciate delle perdite d’acqua, "é il momento, portami all’ospedale" (il tipo era in modalità straccio da dare in terra), mi hanno rimandato a casa dicendomi che mi sbagliavo, che il sacco non si era rotto (delinquenti!), ma io la sera ho puntato i piedi e mi sono fatta riportare all’ospedale (lui non voleva “facciamo una figuraccia a tornare, ci hanno detto di aspettare le contrazioni”, è no, cazzo! Ora basta fare solo quello che mi dicono, basta fare la brava ragazza, io non me la faccio portare via mia figlia, dopo tutta questa fatica!), abbiamo indotto il parto, l’infezione era ormai gravissima e la bambina è quasi morta.
Ma porta miseria, una dritta mai?
Il dottore tentò di consolarmi: “non pianga Signora, la colpa non è certo sua, suo è il merito di essere tornata stasera, non avrebbe superato la notte, lei le ha salvato la vita”.

Dopo poche ore la mia piccola cominciò a migliorare, è una lottatrice come la sua mamma!
Ecco, una roba del genere è stata pazzesca, è stato come sfiorare l’inferno, ma proprio per questo è stata anche la porta del paradiso. Anche solo tenerla tra le braccia non poteva non rendere felici. E vedere il Re dei Sugolini, che l’ha amata dal primo istante, come facevo a non provare una gioia e una gratitudine immense?
Bo, un modo evidentemente c’era visto che per il tipo tutto questo spettacolo di meraviglia non era abbastanza, per altri 3 mesi non riemerse dal suo stato larvale e di inappetenza verso la vita. Io amavo lui quanto amavo loro e quindi vivevo spezzata in due: piena di felicità per i miei figli e piena di dolore per il mio compagno. Giravo ancora film sul nostro amore (film francesi, molto introspettivi) dove insieme saremmo stati capaci di sconfiggere la depressione e qualsiasi altra difficoltà. Come facevo a non essermi resa conto che, a parte la gravidanza di Elia, per il resto non avevamo mai affrontato nessuna difficoltà insieme?
Ero sempre io da sola a dovermela cavare, quando mai mi aveva appoggiato? Semmai aveva cercato di affondarmi! Ma perché ero tanto scema?!
A un certo punto il tipo ha trovato un modo semplice di farsi passare la depressione: “per stare bene ogni tanto ho bisogno di pensare solo a me stesso”. Ma no, davvero? Comodino. Poi ha iniziato a incolpare un po’ tutto e tutti del suo malessere (il lavoro, la casa esposta a nord, la bambina) e da lì in avanti è stato solo questione di tempo: alla fine ha incolpato me.

Ed eccoci al 2016/2017, l’anno più difficile e traumatizzante della mia vita (ma non il peggiore, alla fine ha avuto i suoi risvolti positivi).
L’anno in cui ho dovuto dire addio al mio babbo (era, purtroppo, qualcosa di inevitabile e che in ogni caso fa parte del corso naturale delle cose, è un dolore lacerante, ma che lascia tanti ricordi, è un dolore giusto).
L’anno in cui ho definitivamente abbandonato la mia carriera di "cineasta amorosa".
E’ successo dopo un’altra di quelle facce rivelatrici, quelle facce/porte sul baratro che mi porto stampate nel cervello e che non potrò dimenticare mai.
Avevo passato la notte ascoltando i respiri profondi di mio padre, sempre più distanti, sempre più leggeri, fino all'ultimo, sospeso, e infine al silenzio. Nonostante la consapevolezza di aver fatto tutto nel modo giusto, di averlo salutato insieme alla mia famiglia, nonostante la dolcezza di aver condiviso un momento di passaggio così importante, è stata una delle prove fisiche ed emotive più sfinenti della mia vita. Quando è giunta la mattina, ci guardavamo tutti come zombie cercando di connettere e di provare a organizzare le cose pratiche, tipo il funerale, per dire, ma sembrava tutto tanto irreale e basta. Sentivamo (tutta la mia famiglia, non solo io) un grande vuoto e un terribile sentimento di irreversibilità.
Il tipo è stato il solo a non partecipare a niente, poi è arrivato, me lo ricordo come fosse adesso, ha attraversato il prato e io gli sono andata incontro, già da lontano stonava, tutto vestito alla moda e con l’onda di gel nei capelli, e quando si è avvicinato ho visto quella faccia, quella faccia inaspettata, terribile e inappellabile poteva avere un solo significato possibile: “quello che provo io è bellissimo e di quello che provi tu non me ne frega niente”.
Tanto per cambiare, nel momento di bisogno, lui una mano non me l’avrebbe data.
Ero così stanca che manco ho pensato che questo volesse dire che aveva trovato un’altra e la fine della nostra storia, semplicemente basta: io in quel momento non avevo né la voglia, né la forza di gestire le sue cazzate e i suoi egoismi, gli dissi soltanto: “togliti immediatamente quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia altrimenti ti tiro un ceffone qui davanti a tutti”.
Sono stata ripudiata da un giorno all’altro e sostituita, rifiutata e buttata nella spazzatura (come quel pezzo di legno), ma guarda, lo so che nessuno ci crederà, non è questo il lato peggiore. Il lato peggiore è la disillusione del personaggio (cioè: uno che ti tradisce mentre ti muore il padre palesemente non può essere il protagonista di un film d’amore), il lato peggiore è la conseguente disintegrazione di un sogno durato 19 anni, la perdita del passato è qualcosa di peggiore rispetto alla perdita del futuro. Il futuro possiamo ancora costruircelo, certo, diverso da quello che pensavamo, ma chi può dirlo? Magari ci verrà pure meglio di quello che pensavamo (solita storia del fiore che nasce e della cacca di cane), ma la cacca resta, il puzzo resta, il passato rimane di merda, non si può più cambiare.
Il dolore che il tipo ha volutamente inflitto a me, la noncuranza con cui ha traumatizzato mio figlio e condannato mia figlia non era inevitabile, l’ha scelto lui, l’ha fatto di proposito, cancella i bei ricordi e non fa parte del corso naturale delle cose, non è mai stato giusto.
Le solite frasi fatte della gente sono fioccate a mazzi ma a questo punto ve le risparmio, poi il silenzio: sono spariti tutti. Per "la gente" vale la pena frequentare solo persone che vivono in situazioni facili e piacevoli, niente persone ferite o complicate, che hanno vissuto esperienze imperfette. In effetti "la gente” è molto simile al tipo che viveva con me, infatti tra loro c’è accordo perfetto. Meglio così. Facevano parte anche loro di una storia antica e di quella amavano conversare, se ne sono andati via spontaneamente (assai più dell'80%), uno alla volta, risparmiandomi la fatica di doverli buttare come faccio con gli oggetti parlanti di questa casa. Sono usciti dalla mia vita e così, almeno loro, hanno smesso di parlarmi del passato.
La testata del letto… inaffrontabile, ho chiuso la porta della stanza e per due anni ho dormito in un letto singolo in camera di mia figlia.

Anno scorso (2017/2018) ho cominciato a desiderare di tornare in camera mia, ho pensato a varie soluzioni per la testata stregata:
1) Venderla, mi avevano suggerito la Saatchi Gallery, ma i termini di iscrizione in inglese erano difficilissimi e rischiavo di ipotecarmi la casa senza saperlo, allora ho provato a mettere un annuncio su facebook, avrei accettato offerte anche scarse pur di levarmela di torno. Secondo voi? E’ grassa se vendo 1-2 ritratti l’anno, figurati se qualcuno se la prendeva!
2) Prenderla ad accettate e poi fare un bel falò in giardino, magari di notte danzandoci intorno, una specie di rito vudù, guarda, anche adesso che lo scrivo mi ripiglia la voglia: secondo me questa un po’ sciamanica era la soluzione migliore!
3) Meno drammatica, segarla in due e bruciare solo la parte col tipo.
4) Quella che poi ho fatto e me l’ha suggerita Matilde.
Un pomeriggio giocavamo con (le mie) Barbie sul lettone (non ho mai accennato al fatto che sono una collezionista di Barbie = certamente una malata di mente?) quando la Piccola Fata mi dice: “mamma lo devi finire questo quadro, perché c’è solo Elia con te che dorme nei colori? Devi dipingere anche me!”.
Il tipo era di schiena, io ce lo vedevo moltissimo perché lo avevo dipinto pensando a lui, ma forse bastava poco per vederci qualcun altro.
Così ho pensato che se Leonardo da Vinci ha avuto il coraggio di ritoccare il quadro più famoso del mondo fino alla morte, io avrei potuto ritoccare una testata del letto un po’ mediocre.
Va detto che il tipo era pure fissato che i miei quadri fossero troppo opachi (dipingo su legno senza imprimitura) e mi aveva rotto le palle finché non avevo ricoperto la testata di vernice brillante. Tali vernici sono delle emerite schifezze e ingialliscono col tempo, in più non ci puoi rimettere sopra l’olio. Poco male, sono andata di carta a vetro, una fatica bestia ma vi giuro che mi ha dato una certa soddisfazione (anche se continuo a pensare che le accettate sarebbero state più catartiche).
Al suo posto ho dipinto i miei amori. Ma allora è vero che da una cacca di cane può nascere un fiore, anzi due? Lalla, ma che dici! Scusate, scusate, scusate: sono una brutta persona.
Non ho ritoccato la parte destra quindi alla fine io sono troppo giovane rispetto a loro, è una lalla sognatrice (e cineasta) quella raffigurata, ma va bene così.
In fondo solo da quel volto sereno, abbandonato e puro, solo dalla mia ingenuità, potevano nascere i miei figli. Non credo che avrei avuto la forza di buttarmi tra le fiamme se avessi conosciuto il fuoco. E adesso che lo conosco, ho perso quella purezza, ma posso assaggiare i suoi frutti meravigliosi.
Anche il Re dei Sugolini dorme tranquillo, sospeso tra i colori e sostenuto dai capelli della sua mamma Strega e della sua sorella Fata (lei riposa col nasino all’insù, impertinente e fiera). Dobbiamo stare attente noi femmine magiche, dobbiamo proteggere e sostenere il nostro ragazzo, dobbiamo guidarlo senza intrappolarlo (io lo so che l’amore può essere pericoloso, specialmente se magico), ma i nostri capelli sono sciolti, sono solo una carezza che lo lascerà libero di andare.
Ne è uscito un “ritratto simbolista” della mia famiglia, che (intendo il quadro) non è niente di particolarmente artistico. Invece la mia famiglia lo è.
A parer mio (al di là delle implicazioni affettive) la testata è pittoricamente migliore della versione precedente. E infatti anche il mio presente è migliore di quello di 9 anni fa: una cacca in meno e un fiore in più… e basta Lalla, ma sei proprio tremenda! Per forza che la gente ti schifa!
Il senso sarebbe: ecco perché il 2016/2017 non è per niente un anno da buttare, mi ha fatto uscire col botto dal "tunnel della sfiga".
Tornando al quadro, l’infima vernice brillante è rimasta sul mio corpo, è un’ombra giallastra che sporca gli azzurri e i bianchi, l’ha lasciata il tipo, io me la tengo per adesso (c’è poco da fare), magari un giorno riesco a grattarmela via dalla pelle, ma intanto mi rifiuto di stenderla sui miei figli.
Può darsi che questa testata cambi ancora, vorrei aggiungere tanti bianchi, schiarire, far pulito e limpidezza… ho voglia che mi parli di un futuro di fiori.
Ma insomma, anche basta, mi sa che l’ho fatta davvero troppo troppo troppo lunga, che in fondo è solo una testata del letto e se nove anni fa ero andata all’Ikea con 200 euro m’ero tolta il pensiero!

lalla

Testata del letto, olio su legno di cassonetto, 167 x 83 cm, 2009.
Testata del letto, olio su legno di cassonetto, 167 x 83 cm, 2018.



domenica 14 ottobre 2018

10 anni

No, non è un post in ritardo per il compleanno di mio figlio che compie gli anni a luglio (e inoltre è già a 13).
E’ un anniversario diverso: il 14 ottobre 2008 ho iniziato a scrivere questo blog.
10 anni e 187 post. Perché ho iniziato?
Un passo alla volta, cerchiamo intanto di capire perché ho iniziato a ottobre.
Innanzi tutto va detto che settembre è proprio un mesuccio difficile per me, provo a spiegarmi.
Io sono una secchiona e cerco di dare sempre il massimo (l’ho fatto negli studi e lo faccio nel lavoro), è una rincorsa continua per cercare di fare il mio dovere, non stacco mai la spina eppure non basta, non sono mai all’altezza delle aspettative (le mie), la parola “relax” non mi compete, io vivo nell’ansia. Tranne che in vacanza, per questo adoro stare in vacanza, la spina la butto proprio, svuoto la mente dalla tensione e la riempio solo di cose belle, tante cose belle, tante esperienze, progetti, pensieri, anche la parola “noia” non mi compete, il mio cervello pensa sempre qualcosa di meraviglioso da fare e il mio corpo lo segue a ruota. Ci starei volentieri tutta la vita in vacanza, per questo non sopporto settembre. Poi vabbè: l’abbronzatura scompare immediatamente dal viso (che si riappropria del suo luttuoso color verdognolo) e nel resto del corpo si sgretola lasciandomi “sudicia”, si sfalda a pezzettini o si esfolia stile muta di serpente, la mattina fa freddo, le giornate si accorciano drammaticamente, arrivano i primi raffreddori … schifo, schifo, schifo!
L’unica cosa che salva ‘sto mese del cavolo è il capodanno, i nuovi inizi valgono sempre la pena di essere vissuti.
Sì, lo so, per tutti gli altri il capodanno è a gennaio, ma io nella scuola c’ho passato tutta la vita, come studentessa (meno male che i miei mi hanno risparmiato almeno la materna) e poi come insegnante.
Per me l’anno inizia il 1° settembre col botto degli esami di riparazione e degli scrutini, prosegue a ritmo forsennato con interessanti preparazioni di lezioni, divertenti ore passate in classe, noiosissime correzioni (da svolgersi soprattutto nei giorni di interruzione di frequenza, tipo le domeniche, le pause natalizie e pasquali), orribili adempimenti burocratici (sono sempre di più, che palle!!!) e interminabili riunioni collegiali, poi si infittisce mostruosamente nel mese di giugno con le stressantissime valutazioni finali e gli scrutini, magari prosegue per inerzia negli esami di maturità fino a metà luglio e quindi si conclude con un mese e mezzo di meritatissimo riposo, il 31 agosto è finito.
Il 1° di settembre si ricomincia, è capodanno.
OK, ci siamo capiti, poi ricordo che a quei tempi, a inizio secolo (ganzo dire “a inizio secolo”, fa tanto Signora Belle Epoque), ero ancora “precaria” e settembre era pure peggio, perché mi licenziavano a giugno/luglio e poi mi riprendevano quando gli pareva quindi l’anno ricominciava per tutti tranne che per me, dovevo aspettare, a volte giorni, a volte mesi, per sapere “di che morte dovevo morire”, scoprire da che parte della provincia sarei finita a insegnare (se sarei finita da qualche parte) e magari in due o tre scuole molto lontane (tipo quell’anno che mi toccò la bella accoppiata Campi Bisenzio-Empoli oppure quello dopo: Empoli-Bagno a Ripoli… ma che comodità!). A settembre entravo in sospensione, mi sentivo inutile e preoccupata, era così difficile non avere nessuna certezza.
Ma perché ho iniziato proprio nel 2008?
Quel settembre lì fu una passeggiata di salute rispetto a come era stato quello precedente quando il giorno 17 settembre 2007, così, senza alcun preavviso, il babbo era precipitato a un passo dalla morte palesando, violentemente, la sua malattia. Che anno d’inferno il 2007/2008!
Ma siamo una bella squadra di lottatori, non potevamo stare solo a piangerci addosso 365 giorni perché, pover’uomo, aveva poco più di 60 anni e quel giorno era invecchiato 20 anni di colpo, oppure perché era sempre stato il nostro irremovibile riferimento (fin troppo padre/padrone) e adesso ci guardava con gli occhi smarriti di un cucciolo abbandonato, oppure perché aveva sempre posseduto un corpo immenso/invincibile e non se lo meritava di essere smontato così a pezzi, perchè tutto questo era ingiusto, perché, perché, perché… ce ne sarebbero stati così tanti di “perché” per farci piangere. E infatti un bel po’ abbiamo pianto, e non abbiamo dormito e ci siamo disperati, ma senza arrenderci mai, la parola "resa" non ci compete, noi viviamo e moriamo in battaglia. Mica perché siamo degli eroi, molto più semplicemente perché arrendersi non è consesso, non è un’opzione possibile e, sinceramente, non serve proprio a niente. Nella vita, qualsiasi sapore abbia, alla fine tocca farsi piacere la minestra, se questa passa il convento. Si fa così: ci si adatta e in qualche modo si va avanti. Per lo meno, noi facciamo così.
Quindi, tornando a me, nonostante le vacanze estive, non arrivavo ad affrontare settembre bella riposata, ci arrivavo traumatizzata e col bisogno di voltare pagina, felice di chiudere quell’anno maledetto e piena di speranza per quello nuovo. Insomma un settembre non da buttare e forse era arrivato il momento di rendersi conto che nessuno di noi è infinito, che siamo progettati a termine e di quanto non sia proprio il caso di sprecare neanche un minuto della propria vita.
Dopo un anno di adattamento alla nuova realtà, finalmente guardavamo avanti.
Ora, io in avanti ci guardo sempre a dire il vero, pure troppo, e anche dentro gli altri (ancora di più), e soprattutto dentro di me (troppissimo), perciò, dopo tanti anni, tanto per cambiare, quello che mi concessi di fare non è stato guardare, bensì rubare. Rubare un po’ più di tempo per me e per la mia pittura.
Cosa fosse un blog io non lo sapevo, ma accanto a me avevo un tizio tecnologico che mi suggerì di pubblicare i miei quadri online, accompagnati magari da un breve commento, creare insomma un blog professionale che mi aiutasse a vendere “è una cosa che va di moda adesso, ne scrive uno la ragazza di un mio amico fumettista che vuol fare la sceneggiatrice, anche tu hai sempre detto che ti piace scrivere”.
Così il 14 ottobre 2008 ho iniziato e subito dal primo post ho tradito il suggerimento di fare “un breve commento”, ho scritto una pappardella infinita e tutti si saranno rotti le scatole. C’ho provato a essere “professionale e distaccata” ma non è proprio nella mia natura, in pochi post ho iniziato a dilungarmi inutilmente (commercialmente parlando) su ogni sensazione, sono riuscita a mantenere un minimo di distacco durante i primi mesi, poi pian piano il lato oscuro ha preso il sopravvento e ho finito per riversare nelle righe tutto quello che mi passava per la testa. Addio blog professionale e distaccato che ti aiuterà a vendere.
Insomma, un fallimento? No, perché? Il mio blog ha preso la direzione che gli piaceva di più, quella di cui io avevo più bisogno, ha cambiato funzione: non mi reclamizza e non sa vendermi, ma sa ascoltarmi, coccolarmi, consolarmi… questo piccolo blog è un successo!
E intanto la vita si è fatta splendida, tante volte, e si è fatta durissima, tante altre. E il mio piccolo blog sempre ad aspettarmi paziente, quando non potevo dedicarmi a lui, e sempre accanto a me, se ne avevo bisogno.
Mi è servito nei momenti meravigliosi, quando le persone in carne ed ossa non avevano né tempo né voglia per starsene lì ad esultare con me (o forse erano troppo invidiose per farlo).
Mi è servito nei momenti orribili, quando le persone in carne ed ossa non avevano né tempo né voglia per starsene lì a piangere e imprecare con me (o forse erano troppo distratte per farlo) e non hanno saputo dirmi altro che frasi fatte o ammorbarmi con indegni luoghi comuni.
Ecco perché non ho mai smesso di scriverlo.
Insieme alla mia pittura è diventato tutt’uno, un tutt’uno che è un po’ come se fosse vivo, un altro piccolo figlio, per me certo, non per gli altri, va bene così dai, deve servire a me, non agli altri. E questa bestiola blog+pittura infondo è il mio specchio e parla sempre di me, cavolo come sono lallacentrica! Poi vabbè, mi piace illudermi: ogni tanto spero che possa servire un po’ anche a qualcun altro (sotto forma di lettore) e questo pensiero, quando mi sfiora, è bellissimo…
Quindi piccolo blog, per favore, continua a starmi vicino, nella buona e nella cattiva sorte. Continua ad aiutarmi, continua ad ascoltarmi, continua a coccolarmi.
Io sono una persona empatica (poveretta me), cioè una di quelle che sprizza sentimenti da tutti i pori e da tantissimo agli altri, che regala aiuto, attenzioni e amore a destra e a manca pretendendo e aspettandosi poco in cambio. Attenzione: il fatto che non lo pretenda e non me lo aspetti non significa che anche io non abbia bisogno di essere ascoltata, aiutata e coccolata. Altroché! Mi stupisce quante poche persone se ne siano rese conto... io ho tanto bisogno d’essere amata, di Amore puro, limpido, senza secondi fini e che duri per sempre.
Questi dieci anni mi hanno dimostrato innumerevoli volte che non posso e non devo sperare di riceverlo da nessun altro, che è sbagliato pretenderlo e perfino stupido cercarlo negli altri. Perché alla fine, nonostante i gesti gentili, i tanti sorrisi e le belle parole, alla resa dei conti, nel preciso momento in cui io di quell’Amore avrò davvero bisogno, disperatamente bisogno, tutti gli altri non saranno capaci di darmelo e scapperanno da me. Solo tu, piccolo blog, me lo darai.
Solo io me lo darò.

lalla

P.S. Ora non cominciamo con le crociate “convinci lalla che il prossimo la ama”, lo so che molte persone mi vogliono bene e che i miei figli mi amano (certo però non posso riversare i miei problemi su di loro e non posso pretendere il loro appoggio incondizionato, devo proteggerli, io sono l’adulto, il nostro non è un rapporto paritario). Non è una cosa triste quella che ho scritto, ma una serena presa di coscienza, sto parlando di un tipo di comprensione ed empatia, di un tipo di appoggio e sostegno, di un tipo di ascolto e perdono, tutti ottenibili, a parer mio, solo da se stessi.
In sostanza: io mi voglio molto bene, tutto qua, sono grata a me stessa per l'Amore che ho saputo darmi anche nelle situazioni più disparate (e disperate) e sono fiera di aver generato degli strumenti di aiuto e cura così efficienti... brava, no?

Poi, vabbè, ce n'è sempre bisogno (di ascolto e coccole, aiuto e cura), volendo tornare all’anno 2008/2009, si è detto che mi ci affacciavo con grandi aspettative, giusto?
E infatti, povera fessa, è stato un anno notevolmente peggiore del precedente, ma questa è un’altra storia… e forse un altro post.