sabato 18 dicembre 2010

nevica? la demenza infantile ha un suo fascino

Ieri a Firenze è scesa una montagna di neve.
Disagi di ogni genere: persone bloccate in A1 fino all'alba, prigioniere di treni impantanati o di viali sommersi.
Amici e conoscenti hanno impiegato una media di 5 ore per tornare alle loro abitazioni
(mio fratello 9 e se arriva infondo a questo post brucia il mio regalo di Natale!), alcuni ad un certo punto hanno giustamente abbandonato l'auto e se la sono fatta a piedi, per svariati chilometri, nella bufera.
Sprechi e disastri di ogni genere: alberi centenari divelti, auto ammaccate, scuole e aziende chiuse.
Detto ciò, qualsiasi persona con un minimo di buon senso dovrebbe odiare la neve e farla rientrare nella categoria delle catastrofi naturali, quasi fosse un piccolo tzunami, una tromba d'aria o una scossa di terremoto.
Eppure, sarà perché sono cresciuta in campagna associando la neve alla vacanza scolastica e agli scivoloni spericolati dalla collina con un sacchetto di plastica sotto il sedere, sarà p
erché l'unico sport dove non sembro una patata lessa è lo sci, sarà perché non ho un minimo di buon senso... non posso negare l'enorme soggezione che un evento atmosferico straordinario come questo esercita sul mio spirito.
Alle 13.00, quando ha iniziato a nevicare, stavo partecipando agli scrutini trimestrali al Liceo Gramsci, mi ero recata lì 2 ore prima, in bici, avendo la sola accortezza di portarmi dietro uno spolverino di plastica (non si sa mai, c'avessero indovinato al meteo e iniziasse a cadere un po' di nevischio), tutti a commentare "speriamo non attacchi" ed anche io, ma in un angolino segreto fremevo all'idea che attaccasse.
Lo so: dovrei vergognarmi, ed infatti lo faccio, ma che ci posso fare? L'idea di un'enorme nevicata mi attraeva moltissimo e anche la sfida: ce la farò a tornare a casa?
Passate le 15.00, quando ho lasciato la scuola, tutta Firenze era avvolta nella tormenta e le strade erano ricoperte già da 10 cm di una coltre morbida e limpidissima.
I colleghi, premurosi, si preoccupavano per me e mi facevano le loro raccomandazioni. Io ho inserito guanti e spolverino e sono salita in bici. Ovviamente un po' di paura di cascare ce l'avevo, andavo piano piano, la neve che mi si attaccava alla faccia mi dava fastidio, le punta congelate delle dita mi facevano male, eppure percepivo anche una sorta di eccitazione infantile. Come quando a 5 anni cacciavi le braccia dentro l'acqua in inverno, sicura di non essere vista dalla mamma, poi ti faceva un freddo boia e ti ammalavi pure, però era bello, chissà perché!
Che scema... e mi son pure accomp
agnata bene: anche Theo partecipava al mio stato di demenza infantile. Insieme siamo andati a raccattare Elia all'asilo, lo abbiamo bardato per l'occorrenza e lo abbiamo coinvolto in una battaglia di pallate. Lui all'inizio è rimasto folgorato, era la prima volta che vedeva la neve (quella di quando aveva 7 mesi non se la ricordava di certo). Poi lo abbiamo trascinato un po' in giro per gustarci gli scenari surreali. E quando ti ricapita di vedere certe scenette di manifesta follia collettiva?
Perché in effetti ieri non ero l'unica leggermente fuori di testa (e questo un po' mi consola della mia scemenza).
Le folle di persone a piedi conquistavano anarchicamente i viali e le altre arterie del traffico cercando di rientrare a casa, come un'enorme ritirata di Russia, inadeguatamente abbigliati e completamente avvolti dalla bufera, fradici e se
micongelati, eppure, quasi tutti stranamente ilari.
In via Pietrapiana, un'intera famiglia rotolava un'enorme palla di neve sul suolo stradale come allegri scarabei stercorari (il padre era chiaramente affetto dalla mia stessa malattia, ad uno stadio più grave, sghignazzava e girava l'enorme bozzolo rischiando più volte di schiacciare una delle figlie o ammaccare le auto parcheggiate).
Alcuni invasati si prendevano a pallate, magari a mani nude, mirando alla testa e sapendo di condannarsi con molta probabilità a passare il Natale a letto con 40° di febbre.
Un tipo in centro, con indosso solo un giubbottino, stava ultimando un enorme pupazzo di neve sul tetto di una Panda (con tanto di cappello, sciarpa
e naso a carota) dubito che l'auto fosse sua, ma cappello e sciarpa penso proprio di sì.
Un nostro amico in preda all'entusiasmo, dovendosi recare all'ufficio postale a 3 km dalla sua abitazione, ha avuto la geniale idea di vestirsi da montagna, calzare gli sci da discesa e usarli in pianura, dopo due km circa ha rasentato l'infarto.
Sull'uscio di casa ho perso l'equilibrio e ho battuto la classica culata, un dolore lancinante, eppure ho riso per 10'... tutti tornati bambini ed irresponsabili!

Il nostro trio ha girovagato quasi u
n'oretta in questa atmosfera stranulata (nonostante il mio posteriore dolorante) finché l'unico sano di mente del gruppo, il Re dei Sugolini, ha sentenziato: "Ora basta! Io voglio tornare a casa perché la neve un po' mi piace, ma un po' anche no dato che ho freddo ai piedi e mi da noia quando entra negli occhi".
Chissà cosa sarebbe stata la Metafisica se De Chirico avesse visto la statua di Dante non in preda ad uno stato di sbandamento febbrile da virus intestinale, ma come l'ho vista io ieri, in preda ad uno stato di sbandamento infantile da neve!

lalla

P.S. Nei prossimi giorni, si sa, il manto candido si trasformerà in una fanghiglia sudicia, arriveranno i malanni, bisognerà rimettere le cose a posto, fare l'inventario dei danni e pagare il conto, per questo sarà più facile odiare tutti la neve, come è giusto che sia.

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