giovedì 6 maggio 2010

cosa c'è scritto nel DNA

Succede in questi giorni che io debba studiare.
E siccome nel mio DNA c'è scritto che sono secchiona, studio.
All'inizio controvoglia, poi pian piano ci piglio anche gusto, perchè i veri secchioni sono così.
E succede che fra gli argomenti mi capiti di leggere tante cose che riguardano la percezione visiva dell'opera d'arte, la sua semiologia e la sua storia... alcune hanno poco senso e sono (a mio parere) delle iperboli concettuali, ma altre mi sconcertano per quanto le senta vicine.
Si, mi sconcerta scoprire che già nella Grecia classica (dove per la prima volta l'opera d'arte è stata elevata ad un fine e non solo usata come un mezzo) l'atteggiamento verso i vari Fidia o Policleto non fosse affatto quello venerativo che ci potremmo immaginare. La popolazione nutriva sentimenti contrastanti: ammirava tecnica e perizia, ma disprezzava lo sforzo manuale e fisico legato al mestiere d'artista ponendolo così allo stesso livello di un manovale.
Così, già il grande scultore Policleto tentava di difendersi giudicando inadeguato il giudizio del pubblico, ignorante delle regole dell'arte e facilmente ingannato da falsi valori.
Addirittura Platone, il super cervellone dell'antichità, che disapprovava l'arte (considerandola solo un'imitazione della realtà, a sua volta sbiadita imitazione del mondo delle idee) si è espresso in materia giudicando un falso artista ed un vigliacco colui che, per ottenere il successo, asseconda la massa, incapace di comprendere.
Per finire, mi colpisce Vitruvio (autore del più antico trattato d'arte guinto fino a noi) che lamenta l'aleatorietà dei giudizi, i maneggi e i favoritismi durante i concorsi e fa notare quanto sia importante per un artista la disponibilità di notevoli somme di denaro che gli consentano di uscire dall'anonimato!
Succede quindi che mi faccia un sacco di domande e come al solito non trovi le risposte.
Per esempio: possibile che società capaci di pensieri tanto profondi e attuali in un passato lontanissimo abbiano poi tirato i remi in barca e al giorno d'oggi si ritrovino col culo per terra? (parlo della Grecia sull'orlo del baratro economico e sociale, ma anche della nostra Italia, discendente della grande Roma e della mia Firenze, figlia del Rinascimento).
Oppure: possibile che dopo millenni sia rimasta invariata la posizione dell'artista? O in effeti sia peggiorata: sarebbe bello al giorno d'oggi guadagnare quanto un manovale...
Parlo della categoria in generale, non di me, perchè non è detto che io sia un artista.
A proposito, siccome sono fuori esercizio secchionesco, dopo due ore di studio tendo a fondere, così stacco un po' e mi capita di imbattermi in questo articolo su un libro di Francesco Bonami.
Lo leggo e condivido quasi tutto, il tipo mi pare un critico d'arte piuttosto sveglio ed è nato a Firenze, meno male, indice che la nostra città ancora non è del tutto morta (poi però è scappato a vivere a New York...). Comunque, il libro parla di avere più o meno "l'arte scritta nel DNA".
Parla dei falsi artisti, che scritta non ce l'hanno; dei falsi galleristi, che sono dei volponi; dei molti soldi spesi per confondere le masse (come al tempo di Platone e Vitruvio).
Verso la fine Bonami accenna al fatto che si possa essere degli artisti veri, ma non buoni, non capaci fino in fondo.
Io non lo so cosa c'è scritto nel mio DNA (tranne, appunto, l'essere secchiona).

Sarebbe confortante pensare di rientrare in questa ultima categoria.
Insomma, non vorrei essere una truffatrice, magari un'incapace, ma sincera.

lalla

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