venerdì 15 luglio 2016

1. finchè morte non ci separi

Premetto che questo blog non è il Vangelo, non vuole spiegare né insegnare niente a nessuno.
Comunque non ho scritto questo post per raccontare la verità, ma solo quello che provo.
Più in generale scrivo perché scrivere mi fa stare bene e io ho bisogno, ora più che mai, di fare cose che possano farmi stare bene.
Riferimenti a persone e cose sono raramente casuali perciò se qualcuno si offendesse nel leggerlo, smetta semplicemente di farlo.



Io sono morta.
adoravo la mia vita e la mia famiglia, ero felice e ringraziavo, mi sentivo fortunata e lo dicevo, ma il nostro tempo sulla terra è limitato, poteva succedere in qualsiasi momento ed è successo: sono morta.
Ho assaporato l’amore per il mio compagno per quasi due decadi, l’ho nutrito senza fatica, spontaneamente, perché non avrei potuto fare altrimenti, perché vivevo per lui, vivevo per noi. Era un’unione meravigliosa, mi faceva sentire forte e protetta, eravamo complici, giocavamo tutto il tempo, facevamo l’amore, ci facevamo promesse, ci prendevamo per il culo, progettavamo il nostro futuro insieme, ridevamo. Come si fa a non essere felici quando si è incontrato l’amore vero, quello dei film e delle fiabe, che dura per sempre? Da atei, sapevamo di non essere eterni ma questo non ci spaventava e qualche volta parlavamo del senso della vita, di come sarebbe stato bello invecchiare insieme e un giorno voltarsi indietro, prima di morire, e vedere i nostri figli, magari i nostri nipoti, intorno a noi, andarsene soddisfatti sapendo di avergli insegnato la cosa più importante: che l’amore esiste.
Certo, la strada verso un così dolce addio non poteva essere tutta in discesa e infatti ci sono stati momenti difficili legati a una bimba mai nata e alle problematiche incontrate cercando un secondo figlio. Qualcosa si è rotto, non in me, ma nel mio compagno sì. Infine, 3 anni fa, la mia Piccola Fata stava finalmente arrivando e lui è stato davvero male, io gli sono stata accanto con tutta me stessa perché ero convinta che ammalarsi facesse parte della vita, non fosse una colpa, non una debolezza, ma un’altra prova da affrontare insieme.
Ma i miei sforzi non sono serviti a niente: alla fine della malattia lui è morto, prima di me, non pensavo che potesse succedere, non così presto, ma è successo, è morto.


E’ arrivato un tizio nuovo al suo posto che non ha capito quanto speciale fosse quello che avevamo costruito, non gli bastava più, voleva sentirsi invincibile, lui che era stato vinto, voleva qualcosa di diverso per dimostrare a se stesso di essere più vivo di prima: voleva successo, libertà e novità. Ha smesso di guardarmi, ha smesso di guardare i nostri figli. Non ha provato in alcun modo a difendere quello che avevamo, lui voleva solo cambiare e l’ha fatto lavorando nell’ombra.
Ha cominciato ad allontanarmi, a chiudermi fuori da questo suo progetto di rinascita, a ricavarsi degli spazi segreti, un pezzettino alla volta. Io ogni tanto percepivo questo desiderio di fuga e non capivo il perché, così ho cercato di assecondarlo, di lasciarlo libero di fare tutto quello che voleva, del mio corpo, della nostra vita, tutto quello che avrebbe potuto farlo sentire finalmente appagato. Ed il bello è che continuavo a essere felice perché l’amore vero può arrivare a manipolarti, a farti credere che quello che vuole il tuo amore sia quello che vuoi tu. Non è servito a niente. Sono stata stupida a pensare di potercela fare, ero perdente in partenza perché io ero stata la donna di un altro, del mio grande amore, non del nuovo tizio. Io non potevo andare bene, qualsiasi cosa avessi fatto io ero obsoleta e marchiata della colpa più grande: essere stata testimone della nostra felicità e del suo cambiamento. Il nuovo tizio fingeva di essere il mio amore, ma in verità non sopportava l’uomo che io tanto avevo amato, lo riteneva debole, odiava quella debolezza e odiava me che gliela ricordavo anche solo esistendo al suo fianco.
E così il nuovo tizio, pochi mesi fa, ha fatto l’unica cosa possibile che gli consentisse di andare avanti e di realizzare il suo nuovo progetto di vita: mi ha uccisa. Prima mi ha semplicemente ferita, ignorandomi come essere umano, poi ha deciso, velocemente, di scancellarmi e sostituirmi con una nuova donna adeguata al nuovo tizio, infine, ancora più velocemente e senza preavviso, di calare la maschera e di colpirmi al cuore e al cervello nel momento in cui ero più debole. E io sono morta. Non potevo fare altro, solo morire.


Un film un po’ bruttino con un gran finale si salva, invece anche la pellicola migliore può essere rovinata da un epilogo indignitoso. Ai mie occhi semplici il nuovo tizio appare non solo crudele, ma piuttosto banale e squallido.
Così l’ho detto al mio assassino, nel momento finale, quando, sorridendo, mi stava uccidendo, quando tutta la vita mi stava passando davanti e il dolore mi dilaniava: “Sarebbe stato meglio per me che tu fossi caduto con un aereo, tutti noi avremmo continuato ad amarti per sempre”.
Non l’ha presa bene. Non è poi tanto di larghe vedute questo tizio.
Ha frainteso, il ragionamento valeva anche per me: avrei preferito che un tumore mi avesse portata via, avrei lottato con tutte le mie forze perché avrei voluto il tempo di veder crescere ancora un po’ i miei piccoli capolavori, ma poi me ne sarei andata sapendo di lasciarli nelle mani di un uomo meraviglioso, pensando di aver avuto poco tempo, ma di essere stata fortunata, di essere stata amata fino alla fine, di aver avuto dalla vita tutto quello che conta. Non dobbiamo essere ipocriti, dirci delle bugie, il tempo sulla terra è per tutti limitato, se fosse stato tutto riempito d’amore a me sarebbe bastato.
Pazienza, evidentemente non scrivo io la sceneggiatura della mia vita: ormai i finali alternativi e strappa-lacrime sono andati, ormai siamo entrambi sentimentalmente morti, ma fisicamente sopravvissuti e a ciascuno toccherà una seconda vita.
C’è chi addirittura mi dice che sbaglio a essere così pessimista, che vorrebbe farmi credere che è una fortuna avere l’opportunità di ricominciare da capo, poter cambiare vita.
Ma che culo! Perché non la cambiano loro?
Peccato che a me piacesse quella di prima. Io non la volevo questa seconda occasione.
Sono obbligata a rinascere perché devo salvare questo maledetto film il cui finale, diciamocelo, ha fatto proprio schifo. Devo usufruire di tutte le mie forze per creare un sequel  in grado di chiudere in bellezza.
Me lo merito io e se lo meritano i miei bimbi.
Ma tra il dire e il fare… è difficile, credetemi.
Prima di tutto l’amore vero, quello dei film e delle fiabe, ha una fregatura: è eterno davvero. Lui  sì, non muore mai, e se a distruggerti è stato proprio l’uomo della tua vita e sorrideva vedendoti rantolare, lui mantiene la sua intensità, ma si trasforma in un sentimento di rigetto e schifo, un sentimento atroce, una tortura infinita. Non è facile rinascere provando un sentimento così.
Mi sento stanca, non sono più romantica e ho paura, rinascendo, di diventare più cattiva della Fenice degli Xmen.
La difficoltà maggiore di questa “seconda occasione” è che non avrò il lusso di ripartire da zero: il nuovo tizio non se ne andrà mai.
Avete presente quello piuttosto squallido e banale? Vuole bene ai miei figli, sono anche suoi, li crescerà ed essendo fiero di quello che è diventato ci terrà ad essere un esempio per loro.
Non è bello affidare i propri bambini a una persona che non stimi e di cui non ti fidi, a un estraneo. Domani quell’estraneo terrà a dormire la mia bambina di 2 anni con sé, lontana da me, per la prima volta.
E io devo stringere i denti e augurarmi buona fortuna per la mia nuova vita.

Lalla
P.S. il sentimento di morte e rinascita che provo è tanto forte da aver sentito il desiderio di cambiare nome, di allontanare tutto ciò che rappresentava Lalla e di diventare Ilaria. Elia mi ha fatto desistere: ”Lalla ti sta troppo bene” e allora ok mio Piccolo Re dei Sugolini, niente Fenice, proverò a rinascere restando lalla per sempre.

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